venerdì 24 marzo 2023

"IL DUCA" di MATTEO MELCHIORRE (EINAUDI): CANDIDATO PREMIO STREGA 2023



Vagavo tra le note di cronaca dei miei avi, stupendomi di ritrovarvi piccoli guizzi di vita, pensieri, preoccupazioni, eventi lieti e tristi, impennate d’orgoglio, malumori; e ancora: eclissi, alluvioni, terremoti; casi domestici e accadimenti storici quali guerre, pesti e lotte di potere.”.

Quando la lettura fa entrare chi ne gode in altre dimensioni dell’essere.

Il Duca” di Matteo Melchiorre (Einaudi) - candidato al Premio Strega 2023 -  è un groviglio di racconti di ascendenti e discendenti in un tempo nel quale il presente ed il passato si fondono ed il lettore, grazie allo stile, alla struttura linguistica ed al mosaico terminologico adoperato, non riesce a percepire l’attualità della narrazione, pensando di galleggiare in un perenne prolungamento delle vicende degli avi del protagonista.

Le vicissitudini della famiglia nobiliare dei Cimamonte attraversano i secoli legando le esistenze degli uni a quelle degli altri in un inestricabile nodo gordiano. Nella villa del Duca lo spazio fisico si dilata nei luoghi dove i parenti e gli stretti congiunti del Duca hanno combattuto o lordato le loro esistenze.

Fra metafora e realtà le parole trascinano il lettore in direzioni sconosciute o impalpabili.

Questo romanzo è un inno alla parola che vive di vita autonoma, respira fuori dai polmoni del libro, possiede un proprio apparato cardiaco.

Le parole risuonano in modo sinfonico, cantano con voce melodiosa, giungono odorose, dialogano fra di loro, si colorano tinteggiando il rposcenio circostante, emanano sonorità, abbeverano il lettore. Le parole ritmano la narrazione dandole giocosità musicale, mutando la lettura in una recitazione fra prosa e poesie.

Parole onomatopeiche, ricercate, sofisticate, eleganti, aristocratiche, sottratte alla caducità del tempo, scoperte in polverose e spettrali biblioteche, radicate in vernacoli locali, antiche, dal significato ancestrale. Il gusto per le parole perdute. La parola che si impone al pensiero e che amoreggia con la trama mescolandosi ad essa in un intarsio semantico di rara bellezza.

Ogni essere umano è uno, nessuno e centomila perché sono molte le maschere indossate da ogni individuo, un tutt’uno con la propria. Il Duca le scopre vivendo nella villa ritrovata, in località che portano nomi usati da Plinio il Vecchio o partoriti nell’antichità: anche i borghi, quindi, indossano una specifica maschera, costringendo gli abitanti ad essere altro da ciò che sono. Le maschere sono gabbie: la montagna è una gabbia; la villa è una gabbia; Berua è una gabbia; Vallorgana è una gabbia; Fastreda e il Duca si sono costruiti una gabbia ove si sono rinchiusi.

La vita maschera una gabbia che imprigiona gli uomini.

Il mistero permea ogni trancio di pagina ed il Chronica Cimamomtium contiene un segreto simile a quello nascosto nell’orciolo scoperto fra le pieghe della lussuosa magione.

Io volevo uccidere il passato di cui ero stato schiavo per troppo tempo, volevo scaraventarlo nel pozzo del passato che tracolla, perché il modo giusto per liberarsi del passato non è dimenticarlo, ma conoscerlo… a congedarmi dal concilio dei miei avi e a restituire a quell’opprimente consesso di trapassati le invisibili catene che per troppo tempo avevano legato ogni mio passo.”.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 27 febbraio 2023

“IN BUONA FEDE. LA RELIGIONE NEL XXI SECOLO” del CARDINAL GERHARD MÜLLER

 


Siamo asfissiati dalla pochezza e circondati ovunque dalla mediocrità. Il pensiero è ridotto alle poche battute di un tweet e abbassato a cavalier servente di un potere senza confini geografici, un potere anonimo che impone una visuale priva di orizzonti ed eguale per tutti. La materia cancella lo spirito, messo all’angolo da uomini, dietro le quinte, senza volto e scrupoli di sorta.

I polmoni hanno bisogno di ossigeno per far vivere l’essere umano e il cervello necessita di nutrimento culturale per potere vivere, o, almeno, sopravvivere.

La lettura dell’ultima opera del Cardinal Gerhard Müller, teologo di fama internazionale ed inusitato spessore intellettuale, “In buona fede. La religione nel XXI secolo” (Solferino), è la boccata di aria di alta montagna per la mente e l’anima che aspettavamo da tanto, troppo tempo.

Per mezzo di una intervista rilasciata alla vaticanista del quotidiano “Il Messaggero” Franca Giansoldati, Müller almanacca su ogni dimensione del visibile e dell’invisibile, sulle grandi questioni che attanagliano i nostri giorni ed angosciano l’Umanità.

Il lettore entra in contatto con la densità del pensiero, con la sua potenza, con il coraggio di esprimere non una verità, ma la Verità, non adoperando l’intervistato vocaboli che cerchino di relativizzarla. La parola è innalzata alla dignità che merita: la teoria gender è la peste del nostro millennio, il matrimonio è solo fra uomo e donna, Cristo è la Via, la Verità e la Vita. La Chiesa deve ritornare ad avere il coraggio di proclamare il Verbo, senza infingimenti, né intermediazioni o edulcorazioni.

La Chiesa non è una immane ONG e la Dottrina non deve essere resa pensiero debole o sincretico, frutto di compromesso con il mondo laico e laicista, o con le altre confessioni religiose.

Il paganesimo, il materialismo e il globalismo, governato dalle regole della finanza e della economia, stanno, ogni giorno di più, togliendo l’anima agli uomini, ridotti a vivere un presente permanente, disarticolati da se stessi e dal proprio passato, proiettati verso un futuro descritto soltanto come un conglomerato di emergenze, da quella sanitaria a quella bellica e climatica.

Se l’uomo si priva della visione escatologica diviene un grumo di cellule che consumano, rischiando costantemente di essere sottoposto a tirannidi terribili, come nel passato il nazismo ed il comunismo, tutt’ora presente nella popolatissima Cina.

Le analisi geo-politiche e le riflessioni teologiche, storiche, antropologiche e filosofiche punteggiano con acribia le risposte del Cardinal Müller, che giunge all’unica conclusione possibile: l’essere umano, qualora cancelli Dio dalla propria esistenza, crea le condizioni per essere schiavo di se stesso e soggiacere a regimi che, anche senza carrarmati e torture, lo opprimeranno togliendogli la propria libertà e la propria dignità.

Mi chiedo che passi in avanti possano consentire alla Chiesa tanti nuovi documenti e ristrutturazioni se poi alla base mancano persone aventi un riconosciuto peso intellettuale e spirituale. Si dovrebbe dare per scontato che vi sia la buona volontà di lavorare per la Chiesa senza fare i propri interessi, senza sgomitare per puntare alla carriera, senza nepotismi, senza clientelismi.”.

Fabrizio Giulimondi


lunedì 30 gennaio 2023

"BABYLON" di DAMIEN CHAZELLE

 


"Babylon” di Damien Chazelle: l’evocazione biblica del titolo riassume compiutamente il senso caotico del film. L’ouverture richiama quella de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, seppur in versione di baccanali orgiastici, mentre la storia si snocciola lungo tracciati surreali, grotteschi, crudi, alcune volte sgradevoli alla vista. Il mondo del cinema statunitense degli anni ’20, ’30 e ’40 è travolto dal passaggio dal muto al sonoro e dal bianco e nero al colore. Lo star system e le vecchie glorie sono espulsi dalle Luci della ribalta, opera di Charlie Chaplin sottolineata con una manciata di fotogrammi, che fornisce un sentore agro-dolce come solo il contrasto della poetica mestizia di Chaplin con la virulenza artistica di Chazelle può produrre.

Il suicidio è la tragica quanto naturale conseguenza in un trancio di umanità nel quale l’apparire è l’alfa e l’omega.

La complessità è l’autentica trama di questa pellicola, spudorata e disturbante, laddove dietro il luccichio del set v’è l’abisso infernale, le bolge dantesche dove tutti (tranne uno) precipitano.  La discesa agli inferi richiama “The Wolf of Wall Street” di Martin Scorsese, anche se in “Babylon” tutto è accentuato e forzato, tanto da potersi accostare le raffigurazioni degli spazi, dei volti e degli atteggiamenti corporei e psichici alle rappresentazioni pittoriche terrifiche e oniriche di Bosch e Bruegel.

Le tecniche cineastiche e le immagini sono perfette. La narrazione - incisiva, brutale, dura e ritmata da un assordante swing e jazz - insiste sulla naturale ferocia regnante nelle riprese sceniche, durante le quali i morti sono solo effetti collaterali. L’ossessione per la perdita dello scettro della fama devasta le esistenze dei protagonisti, a partire da quelle di Jack Conrad (Brad Pitt) e Clara Bow (Margot Robbie).

Il set cinematografico come metafora della ambientazione entro cui sono calate le nostre vite, la pornografia mentale e morale, che governa la coralità delle “marionette” saltellanti sul palcoscenico, è la medesima di quella di tanti comuni mortali che impegnano il tempo a trotterellare e sgambettare per riempire le proprie vite vuote con altro vuoto.

I Premi Oscar fioccheranno anche se le tre ore di proiezione non sono agevolmente digeribili.

Fabrizio Giulimondi


                                


lunedì 16 gennaio 2023

“I MIGLIORI GIORNI" di MASSIMILIANO BRUNO e EDOARDO LEO

 


I migliori Giorni” è una commedia tragicomica e dissacrante in quattro episodi, ambientati nelle notti della Vigilia di Natale e di San Silvestro, a San Valentino e durante la Festa della Donna, dove si alternano alla regia Massimiliano Bruno e Edoardo Leo ed il fil rouge è uno solo: l’ipocrisia. Attento ai canoni del politicamente corretto, “I migliori giorni” affronta la complessità e la fuggevolezza dei sentimenti fra tre donne ed un uomo; le conseguenze divisive nelle famiglie dopo la martellante propaganda terroristica e discriminatoria ai tempi dell’obbligo vaccinale; la solidarietà tutto apparenza di chi è completamente disinteressato a qualunque problema ed a qualsiasi persona, inclusi moglie e figlia; il diffuso finto femminismo Me Too all’italiana che implode l’8 marzo nel luogo più artefatto che esista, ossia la televisione.

Le storie si snodano solo negli interni come se fossero quattro piece teatrali trasportate su set cinematografici.

Un cast corale di attori italiani di eccezione, che vede, oltre i due direttori- interpreti Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, anche Anna Foglietta, Max Tortora, Paolo Calabresi, Luca Argentero, Valentina Lodovini, Greta Scarano, Claudia Gerini, Stefano Fresi, Marco Binini e Liliana Fiorelli.

Gradevole ed intelligente.

Fabrizio Giulimondi




sabato 14 gennaio 2023

"GRAZIE RAGAZZI" di RICCARDO MILANI

 


La lettura è terapeutica. La scrittura è terapeutica. Parlare e sfogarsi sono terapeutici.

Il teatro è terapeutico: la scrittura teatrale è uno stato meraviglioso e avvincente.

E poi c’è l’attesa. C’è chi vive solo di attesa. Attende.  E fra un’attesa e l’altra v’è il vuoto. Pensare non conviene, anzi, è deleterio, perché se pensi impazzisci.

Il luogo della permanente attesa è il carcere: è lo spazio dell’attesa, del vuoto e dell’assenza di pensiero.

E poi arriva un uomo che sostituisce ai mugolii orgasmatici dei doppiaggi dei film porno la parola recitata di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, e tutto cambia: le menti si aprono ad un’attesa diversa, un’attesa fatta di suoni, cieli romani, piazze toscane, borghi umbri, umanità ritrovata o forse mai conosciuta.

Un Antonio Albanese semplicemente straordinario.  Un dendi, abile ed ammiccante Fabrizio Bentivoglio. Una Sonia Bergamasco che fa capire, o meglio, sentire al pubblico l’evoluzione interiore della direttrice di un istituto penitenziario. Un Giacomo Ferrara che, dopo Spadino di Suburra, si mostra dal lato rischiarato della Luna di chi vuole essere altro. Un Nicola Rignanese che esprime il volto tragico e sofferente del controllo poliziesco. Un Vinicio Marchioni nei panni del detenuto “capetto” che è cambiato pur rimanendo lo stesso, ed è rimasto lo stesso pur essendo cambiato. D’altronde è il Teatro dell’Assurdo e la vita è inspiegabile come i suoi personaggi che si agitano nelle proprie esistenze, al pari di cinque ristretti e di un regista che da anni ha abbandonato le scene ed adesso calca quelle di cinque anime che vogliono scoprire il proprio ruolo in questo mondo.

Godot, alla fine, appare e possiede le vestigia di un vecchio che non ha mai smesso di suonare la chitarra e sognare di essere migliore di come si sente ed è sentito “lì dentro”.

Grazie Ragazzi” di Riccardo Milani è un film che continua a galleggiare dentro lo spettatore anche dopo, perché parla dell’uomo in perenne ricerca di Godot, in costante attesa del suo arrivo.

Fabrizio Giulimondi


    








            



martedì 3 gennaio 2023

"LIVING" di OLIVER HERMANUS

 


Living” del regista sudafricano Oliver Hermanus, sceneggiato dal Premio Nobel Kazuo Ishiguro, è un remake del film del 1952 di Akira Kurosawa “Vivere”, a sua volta ispirato alla novella di Lev Tolstoj “La morte di Ivan Il'ič”.

Film bellissimo che certamente vincerà Premi cinematografici internazionali al pari dei Golden Globe e degli Oscar, “Living” è una lunga carrellata di immagini, fotografie (Jamie Ramsay), ambientazioni, atmosfere. Gli arredamenti vittoriani degli scompartimenti del treno e dei salotti dove i personaggi narrano le proprie storie sono essi stessi emozioni, emozioni che mutano in scene. Le musiche (Emilie Levienaise-Farrouch) ritmano i dialoghi e le sequenze. La recitazione ha la veridicità e l’incisività del teatro.

Al centro del racconto si posiziona Williams (un formidabile Bill Nighy) che incarna il dilemma in cui si possono imbattere gli uomini: come si cambia quando prendi contezza che hai pochi mesi di vita? Puoi peggiorare, abbandonarti all’offuscamento di te stesso, oppure puoi passare da essere un funzionario “accatastatore di pratiche inevase” per disinteresse ed indolenza, a divenire responsabile del proprio lavoro e realizzare, così, una piccola opera, un parco giochi, al posto di una putrida discarica.

La morte si apre ad altri significati, conduce ad altre albe, e può far morire con il sorriso sulle labbra mentre ci si dondola su una altalena al freddo, un freddo, però, che non si avverte, perché dinanzi agli occhi si vede realizzata, per la prima volta nella propria vita, una iniziativa per il bene della comunità.

Fabrizio Giulimondi


                            


lunedì 2 gennaio 2023

"THE FABELMANS" di STEVEN SPIELBERG: GOLDEN GLOBE 2023 - "MIGLIOR FILM DRAMMATICO" e "MIGLIORE REGIA"

 


The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.

Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.

L’antisemitismo americano degli anni ’60 e la pazzia della madre, la debolezza caratteriale del padre ed il suo grande amore per la moglie che insisteva nel tradirlo, la macchina da presa usata per far percepire all’altro chi fosse veramente, la finzione artistica che descriveva come i compagni di scuola erano visti nella comunità e come in realtà loro si sentivano sul serio. La pellicola come strumento di maieutica socratica e l’orizzonte che rende un film capolavoro solo se è posto in alto o in basso e mai in mezzo: la chiave di lettura che porterà Spielberg ad essere l’inveramento della cinematografia.

Una pellicola dal carattere morbido e melodico come il pianoforte che accompagna la storia. Una pellicola che raccoglie la potenza del linguaggio di settanta anni di vette del Grande Schermo a stelle e strisce.

Una pellicola di Sua Maestà Steven Spielberg.

Fabrizio Giulimondi