- 2. Ambito di applicazione.
- 3. Responsabile del servizio.
- 4. Spese processuali ripetibili e non ripetibili in materia penale.
- 5. In particolare: le spese di mantenimento in carcere.
- 6. Recupero per intero e forfettizzato in materia penale.
- 7. Soggetti obbligati al pagamento delle spese processuali in materia penale.
- 8. Casi di recupero delle spese processuali in materia penale.
- 9. Casi di recupero delle spese processuali in materia civile.
- 10. Competenza.
- 11. Registri.
- 12. Procedura di recupero.
- 13. Discarico automatico dal ruolo.
- 14. In particolare: discarico automatico per spese di importo non superiore a 25,82 euro.
- 15. Pagamenti indebiti.
- 16. Dilazione e rateizzazione del credito.
- 17. Remissione del debito per spese.
- 18. Conversione della pena pecuniaria.
- 19. Annullamento del credito.
- 20. Versamenti di somme agli ufficiali giudiziari.
- 21. Riscossione del contributo unificato.
1. PREMESSA
Le spese di giustizia, anticipate dall’erario (in materia civile e penale) ovvero prenotate a debito (in materia civile), sono in taluni casi soggette al recupero in favore dello Stato, in presenza di determinate specifiche condizioni. Attraverso la procedura di recupero, infatti, la cancelleria, oltre alle pene pecuniarie conseguenti alla condanna, fa conseguire all’erario le spese processuali dovute dai condannati con sentenza irrevocabile o decreto penale divenuto esecutivo, nonché le sanzioni amministrative pecuniarie inflitte agli enti che hanno commesso illeciti amministrativi dipendenti da reato ai sensi dell’art. 75, D.Lgs. 8- 6-2001, n. 231; fa conseguire altresì le spese processuali dovute all’erario per il caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
L’attività di recupero è stata tradizionalmente curata dai servizi del Campione penale e del campione civile: più specificamente, il termine «Campione» indicava il registro su cui erano iscritte le partite di credito vantate dall’erario, uno per la materia penale — il Mod. 29— ed uno per la materia civile — il Mod. 20. Peraltro, tra i due settori vigevano sistemi differenti (1):
— in ambito penale tutte le spese effettuate in corso di causa non venivano annotate in alcun registro (salvo che per il registro delle spese anticipate dall’erario, con funzione però di mera registrazione degli ordinativi di pagamento), ma annotati semplicemente nel fascicolo processuale; soltanto alla fine del procedimento, sopraggiunto un provvedimento irrevocabile di condanna, le spese venivano precisate nel loro ammontare per essere quindi assunte in carico nel registro campione penale, unitamente all’eventuale pena pecuniaria da riscuotere;
— in ambito civile, vigeva invece il sistema della prenotazione, consistente nell’immediata iscrizione dell’importo della spesa, a mano a mano che veniva compiuto l’atto che dava luogo alla spesa stessa, nel registro campione civile, per poi recuperarle unitariamente al termine della procedura.
in entrambe le ipotesi, poi, alla chiusura del procedimento seguiva, a determinate condizioni, la fase della riscossione. Nel sistema antecedente al D.Lgs. 8-7-1997, n. 237, tale riscossione era demandata alla amministrazione finanziaria, la quale, tuttavia, vi provvedeva a mezzo dei cancellieri e degli agenti demaniali dipendenti, salvo specifiche eccezioni. in sostanza, per il carattere finanziario dell’attività, il cancelliere era equiparato all’agente delle finanze (art. 205, R.D. 23-12-1865, n. 2701), e come tale dipendeva funzionalmente anche dal Ministero delle finanze. Con gli artt. 1 e 2, D.Lgs. n. 237/1976 è stato disposto che, a partire dal l gennaio 1998, gli adempimenti, già di competenza degli uffici del Ministero delle finanze, in materia di riscossione, contabilizzazione e versamento di tutte le entrate (tra cui rientrano le sanzioni inflitte dalle autorità giudiziarie e amministrative e tutte le altre somme a qualsiasi titolo riscosse dagli uffici finanziari), sono curati dai concessionari del servizio riscossione tributi. A seguito dì tale riforma, è da ritenersi cessata la funzione del cancelliere quale agente delle finanze (2).
Il testo unico in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30-5-2002, n. 112, di seguito T.U.), entrato in vigore il 1° luglio 2002, si è posto ulteriori fondamentali obiettivi:
— razionalizzare ed uniformare la disciplina della riscossione sia in materia penale sia civile, raccordandola con quella prevista in generale per tutte le entrate dello Stato, ma salvando nel contempo le disposizioni speciali giustificate dalla specificità delle spese processuali e delle pene pecuniarie;
— eliminare qualsiasi disciplina specialistica (come ad esempio quella relativa alla riscossione nei procedimenti relativi a reati finanziari), ritenuta non più indispensabile;
— ripulire l’ordinamento dalle vecchie disposizioni in modo che la certezza dell’abrogazione eliminasse in radice i dubbi interpretativi sulla
compatibilità o meno delle vecchie procedure con le nuove.
2. AMBITO DI APPLICAZIONE
Il testo unico n. 11 5/2002 ha riformulato in maniera organica tutta la materia della riscossione, dedicandole l’intera parte VII del provvedimento normativo, in cui sono state distinte alcune disposizioni generali, valide per crediti di qualsiasi natura e provenienza, da quelle applicabili specificamente ad alcuni ambiti. In materia penale è quindi disciplinato il recupero delle spese processuali penali in caso di condanna, le pene pecuniarie, le sanzioni amministrative pecuniarie e le spese di mantenimento dei detenuti, nonché le spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (ali. 200 T.U.), mentre in materia civile è disciplinato il recupero delle spese processuali nelle procedure di eredità giacente attivata d’ufficio (art. 148 T.U.), e nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (3) (art. 201 T.U.), nonché il recupero del contributo unificato totalmente o parzialmente non corrisposto (artt. 247 e ss. T.U.).
In base alle medesime disposizioni sono recuperate le somme dovute, secondo le norme del codice di procedura civile e del codice dì procedura penale, per sanzioni pecuniarie o per condanna alla perdita della cauzione o in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o di rigetto dì una richiesta sulla base di provvedimenti non più revocabili (art. 202 T.U.) (4). In tali casi, i proventi del recupero sono destinati alla cassa delle ammende (art. 664, comma 1, c.p.p.).
Le spese di mantenimento dei detenuti definitivi e, nei casi previsti dal codice dì procedura penale, dei detenuti in stato di custodia cautelare sono recuperate secondo le regole comuni alle altre spese, in mancanza di remunerazione o per la parte residuata dal prelievo sulla remunerazione (art. 206 T.U.).
A norma dell’art. 203 T.U., restano invece escluse dall’applicazione delle disposizioni sulla riscossione dettate dalla parte VII del testo unico:
— la procedura fallimentare, in quanto le spese sono direttamente recuperate dalle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo (art. 146
T.U.) (5);
— la procedura di vendita dei beni sequestrati, in quanto le spese sono recuperate in prededuzione sul ricavato della vendita (art. 154 T.U.);
— la procedura esecutiva attivata dal concessionario per la riscossione delle entrate iscritte a ruolo, in quanto le relative spese sono riscosse dal concessionario nel processo in corso per la riscossione coattiva del credito principale (art. 234 T.U.);
— il processo in cui è parte l’amministrazione pubblica ammessa alla prenotazione a debito delle spese processuali, poiché tali spese sono recuperate dall’amministrazione stessa insieme alle altre spese da questa anticipate (art. 158 T.U.).
3. RESPONSABILE DEL SERVIZIO
Il servizio di riscossione delle spese di giustizia, delle pene pecuniarie ed in genere dei crediti dell’erario è un servizio particolarmente delicato e, alfine di garantire il suo regolare andamento, è sottoposto ad una duplice ispezione, da parte del Ministero della giustizia e da parte del Ministero dell’economia e finanze.
La direzione del servizio, data la sua delicatezza, deve essere assunta personalmente dal cancelliere dirigente che ne risponde unitamente al funzionario addetto, scelto tra i più esperti, capaci e volenterosi (6).
In caso di colposa prescrizione di crediti dell’erario, il funzionario addetto al servizio, il dirigente la cancelleria e il capo dell’ufficio giudiziario sono tenuti in proprio al risarcimento del corrispondente danno arrecato all’erario.
4. SPESE PROCESSUALI RIPETIBILI E NON RIPETIBILI IN MATERIA PENALE
Il testo unico in materia di spese di giustizia, dopo aver stabilito all’art. 4 il principio per cui le spese del processo penale sono anticipate dall’erario, ad eccezione di quelle relative agli atti chiesti dalle parti private (anch’esse però anticipate nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato), individua all’ari. 5 le spese recuperabili (ripetibili), distinguendole da quelle non recuperabili. In questa limitazione oggettiva e puntuale delle spese che possono essere recuperate va riscontrata una caratteristica peculiare del recupero in materia penale, giacché, al contrario, in materia civile la ripetibilità, quando sussiste, abbraccia tutte le spese anticipate o prenotate a debito, senza alcuna discriminazione.
In materia penale sono spese ripetibili:
a) le spese di spedizione, i diritti e le indennità di trasferta degli ufficiali giudiziari per le notificazioni;
b) le spese relative alle trasferte per il compimento di atti Fuori dalla sede in cui si svolge il processo;
c) le spese e le indennità per i testimoni;
d) gli onorari, le spese e le indennità di trasferta e le spese per l’adempimento dell’incarico degli ausiliari del magistrato;
e) le indennità di custodia;
f) le spese per la pubblicazione dei provvedimenti del magistrato;
g) le spese per la demolizione di opere abusive e la riduzione in pristino dei luoghi;
h) le spese straordinarie;
i) le spese di mantenimento dei detenuti.
Sono invece spese non ripetibili:
a) le indennità dei magistrati onorari, dei giudici popolari nei collegi di assise e degli esperti;
b) le spese relative alle trasferte dei magistrati professionali di corte di assise per il dibattimento tenuto in luogo diverso da quello di normale convocazione.
Fermo restando il principio di prevalenza della norma pattizia in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, di cui all’art. 696 c.p.p., non sono ripetibili le spese per le rogatorie dall’estero e per le estradizioni da e per l’estero, mentre quelle relative alle rogatorie all’estero sono soggette alle regole generali stabilite dal testo unico (artt. 5 e 7 TU.).
5. IN PARTICOLARE: LE SPESE
DI MANTENIMENTO IN CARCERE
Il condannato a pena detentiva, oltre all’obbligo di rimborsare allo Stato le spese processuali, da enunciare in sentenza, è tenuto, a norma dell’art. 188 c.p., a rimborsare all’erario le spese per il SUO mantenimento in carcere durante l’espiazione della pena definitiva, anche se tale obbligo non è stato dichiarato esplicitamente nel provvedimento conclusivo. Allo stesso modo, a norma dell’ari. 692 c.p.p., il condannato a pena detentiva per un reato in relazione al quale fu sottoposto a custodia cautelare, deve rifondere le spese per il mantenimento durante il periodo di custodia (7).
Il pagamento delle spese di mantenimento in carcere è un’obbligazione del condannato, il quale ne risponde ai sensi dell’ari. 2740 c.c.; tale obbligazione non si trasmette agli credi del condannato, né al responsabile civile (art. 188 c.p.).
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte del condannato si effettua a norma degli artt. 145, 188 e 189 c.p., 535 e 692 c.p.p., 206 e 209T.U. n. 115/2002.
Sono spese di mantenimento quelle concernenti gli alimenti, il corredo e le medicine per i detenuti. Il rimborso ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del costo reale: il Ministro della giustizia, al principio di ogni esercizio finanziario, determina, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, la quota di mantenimento dei detenuti in tutti gli stabilimenti della Repubblica (8).
il rimborso delle spese viene effettuato innanzitutto mediante prelevamento delle somme necessarie dalla remunerazione spettante al condannato per il lavoro prestato nello stabilimento penitenziario (9). Solo in mancanza di remunerazione o comunque per la parte residuata dal prelievo sulla remunerazione, le spese di mantenimento dei detenuti definitivi e dei detenuti in stato di custodia cautelare sono recuperate secondo le regole comuni alle altre spese processuali (art. 206 T.U.). Ciò non vale però per gli internati in espiazione di una misura di sicurezza detentiva, per i quali, in mancanza di remunerazione, non si provvede ad alcun recupero (10).
6. RECUPERO PER INTERO E
FORFETIZZATO IN MATERIA PENALE
A norma dell’art. 205 T.U., le spese del processo penale anticipate dall’erario sono di norma recuperate per intero; a parte le spese per il mantenimento in carcere, si tratta di tutte quelle spese anticipate dall’erario a mezzo di ordini o decreti di pagamento tratti sul registro delle spese pagate dall’erario (11) e relative ai reati per i quali è stata pronunciata condanna.
Le spese da recuperare per intero, nei procedimenti con più imputati, costituiscono obbligazioni in solido nei casi previsti dal 2° comma dell’art. 535 c.p.p. Tale norma precisa che la solidarietà per le spese processuali sussiste fra più condannati per lo stesso reato o per reati connessi; se viceversa trattasi di reati non uniti dal vincolo della connessione, la solidarietà sussiste solo per le spese comuni all’accertamento dei reati per i quali è stata pronunciata condanna (12).
Costituisce un’espressa eccezione alla regola del recupero per intero quello relativo ai diritti e alle indennità di trasferta spettanti all’ufficiale giudiziario e alle spese di spedizione per la notificazione degli atti a richiesta dell’ufficio, che sono infatti recuperati nella misura fissa (forfetaria) stabilita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia. Le nuove tabelle degli importi da recuperare sono state approvate con D.M. 13-11-2002, n. 285 (13) e sostituiscono quella precedente approvata con D.M. 11-10-
1989, n. 347 (14). Il nuovo decreto ministeriale determina la misura del recupero con riferimento al numero degli atti e delle attività mediamente compiute in ciascun processo, e individua nel 50 % la quota spettante per diritti all’ufficiale giudiziario. In appendice si riportano le tabelle A e B annesse al decreto: la prima è relativa ai procedimenti davanti al tribunale e alla corte di assise, la seconda riguarda invece i procedimenti innanzi al giudice di pace.
L’applicazione della forfetizzazione va riferita ad ogni singolo condannato, anche se con lo stesso provvedimento conclusivo del giudizio sono indicati più condannati definitivi. Pertanto, nei procedimenti con più condannati, ciascuno è tenuto a pagare l’intero importo per spese forfetizzate, nella misura determinata dal citato decreto: tali spese sono di conseguenza sottratte alla disciplina delle obbligazioni in solido (15).
Il sistema della forfetizzazione di alcune spese processuali non è una novità introdotta dal testo unico n. 115/2002, giacché la previsione era già contenuta nell’art. 199 disp. att. c.p.p., abrogato dallo stesso testo unico; tale previsione era peraltro più ampia, ricomprendendosi negli importi forfetari anche l’imposta di bollo sui provvedimenti, i diritti dì cancelleria ed il diritto dì chiamata di causa. Queste voci di spesa sono state abolite prima dall’ari. 9, L 23—I 2-1 999, n. 488 e poi dal testo unico, sicché la nuova disciplina ha dovuto necessariamente tener conto delle modifiche intervenute nel frattempo.
Il testo unico non ha previsto alcuna disposizione transitoria, sicché si pone il problema di individuare i procedimenti ai quali ancora si applica il precedente D.M. 11-10-1989, n. 347: in applicazione dei principi generali ed in particolare dell’art. 11 delle disposizioni della legge in generale, è possibile considerare come linea di demarcazione il momento in cui è sorto il credito nei confronti dello Stato, corrispondente alla data del passaggio in giudicato del provvedimento di condanna, sicché l’intero importo come individuato dal D.M. n. 247/1989 può essere applicato solo ai provvedimenti divenuti irrevocabili prima del 1 marzo 2002 e cioè prima dell’entrata in vigore del richiamato art. 9, L. n. 488/1999 (16). Per i provvedimenti divenuti irrevocabili dal l marzo in poi, e almeno fino all’entrata in vigore del testo unico, l’indicazione ministeriale era quella di procedere ad uno scorporo delle voci di spesa non più in vigore, fatta eccezione per il diritto di chiamata di causa, per il quale Io scorporo risultava impossibile dal momento che l’importo era quantificato unitariamente con la voce «diritti e trasferte degli ufficiali giudiziari» (17). Il problema si è avviato a soluzione solo con l’approvazione del citato D.M. n. 285/2002, il quale, per espressa disposizione ministeriale (nota Mm. Giust. n. l/1641/44(03)U, in data 7-2-2003, Dip. Aff. Giust., Dir. Giust. Civ.), si applica a tutte le sentenze penali passate in giudicato a partire dal 1° luglio 2002.
7. SOGGETTI OBBLIGATI AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI IN MATERIA PENALE
Con la sentenza di condanna è dichiarato l’obbligo del condannato al pagamento delle spese processuali. Qualora il giudice non si sia pronunciato sulle spese, la sentenza va rettificata con la procedura di correzione di errore materiale (art. 535 e 130 c.p.p.), essendo l’obbligo del pagamento delle spese conseguenza legale della condanna.
L’obbligo al pagamento delle spese processuali non si trasmette agli eredi del condannato: tale principio è stato introdotto solo di recente con una importantissima pronuncia della Corte Costituzionale (18); a parere della Corte, infatti, dopo la riforma dell’ordinamento penitenziario, che ha introdotto l’istituto della remissione del debito, l’obbligazione relativa alle spese processuali deve essere considerata non più alla stregua delle obbligazioni civili, ma piuttosto una vera e propria sanzione economica accessoria alla pena, e come tale essa non può non partecipare al carattere della personalità che è proprio di tutte le pene.
Nel caso di imputazione riguardante più reati, se il giudice proscioglie da alcuni di essi, il condannato non può essere obbligato per le spese dell’intero procedimento, ma è tenuto soltanto per quelle che siano state incontrate per il reato o per i reati per i quali è stata inflitta la pena (19).
Non si recuperano le spese quando vi è revoca del provvedimento di condanna per abolizione del reato (20).
Ci sono inoltre dei casi in cui, ai fini della condanna alle spese, non è richiesto il presupposto della condanna dell’imputato: è il caso delle spese processuali anticipate dall’erario, quando sono poste a carico del querelante o del querelato, nonché nell’ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Quando si procede a querela della persona offesa, il querelante è condannato al pagamento delle spese del procedimento recuperabili in misura fissa ed a quelle recuperabili per intero, nell’ipotesi in cui l’imputato è stato prosciolto perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso (artt. 427 e 542 c.p.p.), quando cioè la querela sia risultata temeraria (21). Il querelante non è invece tenuto al pagamento delle spese del procedimento quando il proscioglimento sia pronunciato per concessione del perdono giudiziale, per incapacità di intendere e di volere o per altra causa estintiva del reato (artt. 150-162 c.p.) sopravvenuta dopo la presentazione della querela (morte, amnistia, prescrizione oblazione).
Se la quercia viene sporta nei confronti di più persone imputate di un medesimo reato, è sufficiente la condanna di una sola per impedire
che il querelante sia assoggettato all’obbligo delle spese.
Quando vi è remissione di quercia (che comporta la pronuncia della sentenza di proscioglimento ovvero, nelle indagini preliminari, del decreto di archiviazione), il querelato è tenuto al pagamento delle spese processuali, salvo che nell’atto di remissione sia stato convenuto diversamente (art. 340 c.p.p., come modificato dalla legge 25-6-1999, n. 205). Qualora la sentenza non dovesse pronunciarsi sulla condanna del querelato al pagamento delle spese di giustizia, il cancelliere può procedere al recupero di tali spese previo procedimento di correzione ex art. 130 c.p.p.
Ove la remissione di quercia intervenga nella fase delle indagini preliminari, il Ministero della giustizia ritiene si possano recuperare tanto le spese effettivamente anticipate dall’erario (ad esempio per una consulenza tecnica), quanto quelle forfetarie (22). Ma di contrario avviso sembra essere la Corte Costituzionale (23), la quale, sia pure con una pronuncia non vincolante (trattandosi di ordinanza che dichiara la questione manifestamente inammissibile) è arrivata alla conclusione che ai di fuori del procedimento in cui sia stata esercitata l’azione penale (e quindi nell’ipotesi di archiviazione) non è configurabile alcuna condanna al rimborso delle spese processuali, proprio perché l’azione penale non è stata intrapresa e, pertanto, nessun accertamento può essere compiuto se non quello che investe i motivi per i quali l’archiviazione è disposta.
Riguardo, infine, al patrocinio a spese dello Stato, valgono le disposizioni dettate dagli artt. 110 e 111 T.U..
— quando si tratta di reato punibile a quercia della persona offesa e viene pronunciata sentenza di non luogo a procedere ovvero di assoluzione dell’imputato ammesso al patrocinio perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, il magistrato, se condanna il querelante al pagamento delle spese in favore dell’imputato, ne dispone il pagamento in favore dello Stato;
— quando invece si tratta di reato per il quale si procede d’ufficio, il magistrato, se rigetta la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, o assolve l’imputato ammesso al beneficio per cause diverse dal difetto di imputabilità e condanna la parte civile non ammessa al beneficio al pagamento delle spese processuali in favore dell’imputato, ne dispone il pagamento in favore dello Stato;
— con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno il magistrato, se condanna l’imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato;
— nel caso di revoca dal beneficio dell’ammissione al patrocinio, e precisamente nell’ipotesi di revoca su richiesta dell’ufficio finanziario ovvero a seguito delle integrazioni richieste all’interessato ai sensi dell’art. 96 T.U., le spese anticipate per effetto dell’ammissione al patrocinio, sono recuperate nei confronti dell’imputato, indipendentemente da qualsiasi provvedimento di condanna (24).
8. CASI DI RECUPERO DELLE SPESE
PROCESSUALI IN MATERIA PENALE
Al fine di procedere alla riscossione delle spese processuali, non è sufficiente che la spesa considerata sia astrattamente indicata dalla legge come «ripetibile», essendo invece possibile il concreto recupero solo nei casi di condanna alle spese, secondo le disposizioni stabilite dal codice di procedura penale e dall’ari. 69, D.Lgs. 8-6-2001, n. 231, nonché, nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, secondo le disposizioni dettate dallo stesso testo unico.
Esaminiamo alcune ipotesi particolari.
A) Giudizio di impugnazione
Per le spese del giudizio di primo grado vale il principio, ricavabile dall’art. 535 c.p.p., secondo cui esse possono far carico all’imputato
soltanto in caso di condanna.
Una deroga a tale principio è invece contenuta nell’art. 592 c.p.p., secondo il quale in base al criterio della soccombenza, l’obbligo del pagamento delle spese processuali relative al giudizio di impugnazione scaturisce dalla dichiarazione di inammissibilità o dal rigetto totale dell’impugnazione stessa. Il primo comma dell’art. 592 c.p.p. specifica infatti che con la sentenza che rigetta o dichiara inammissibile l’impugnazione, la parte privata che l’ha proposta è condannata alle spese del procedimento mentre, a norma del secondo comma, i coimputati che hanno partecipato al giudizio, in conseguenza dell’effetto estensivo dell’impugnazione (art. 587 c.p.p.), sono condannati alle spese in solido con l’imputato che propose l’impugnazione.
Le regole, pertanto, per l’attribuzione delle spese processuali in caso di impugnazione, possono essere così riassunte:
a) se l’imputato propone appello e questo è rigettato o dichiarato inammissibile, il condannato deve pagare le spese del giudizio di primo
grado e quelle successive;
b) se l’imputato viene assolto in primo grado e condannato in appello, deve pagare le spese di l e 2° grado di giudizio;
c) se l’imputato, condannato in primo grado, viene assolto in sede di appello, non deve pagare né le spese di l grado né quelle di 2° grado;
d) se l’imputato propone appello e l’appello è accolto anche solo parzialmente dal giudice dell’impugnazione, il condannato non paga le
spese di 2° grado ma è tenuto a pagare solo le spese di 1° grado;
e) se è rigettato l’appello proposto dal solo P.M., l’imputato non deve pagare le spese del 2° grado di giudizio;
f) se è rigettato l’appello proposto sia dall’imputato che dal P.M., sono poste a carico dell’imputato le spese del 2° grado di giudizio;
g) l’imputato deve pagare anche le maggiori spese del giudizio di impugnazione se, su appello del P.M., la sentenza è riformata «in peius»;
h) se è proposto ricorso per cassazione, dichiarato inammissibile o respinto, l’imputato deve pagare le spese del grado di giudizio (art. 616 c.p.p.); l’imputato non è tenuto a pagare le spese processuali quando la sentenza impugnata viene annullata «senza rinvio», purché sia stato accolto — sia pure parzialmente — almeno uno dei motivi proposti.
B) Processo di prevenzione, di esecuzione e di sorveglianza
Nel processo di prevenzione, di esecuzione e di sorveglianza si procede al recupero solo in caso di condanna alle spese da parte della Corte di cassazione (art. 205, comma 3, T.U.). D’altra parte, solo in questo ultimo caso il codice di rito prevede espressamente la condanna alle spese, mentre nelle altre ipotesi, non essendo prevista tale condanna, non può esserci ovviamente neanche il recupero delle spese.
C) Sentenza di patteggiamento e decreto penale di condanna
Nel caso di sentenza di patteggiamento e di decreto penale di condanna, emessi rispettivamente ai sensi degli artt. 445 e 460 c.p.p., si procede al recupero solo delle spese per la custodia dei beni sequestrati e delle spese di mantenimento dei detenuti (25) (art. 205 T.U.).
Il codice di rito, infatti, prevede per i predetti provvedimenti un trattamento premiale (26) (finalizzato a favorire il ricorso a tali riti alternativi), nel quale è inserita anche l’esenzione dal pagamento delle spese processuali; ma in tale esenzione non rientra né le spese per la custodia dei beni sequestrati né le spese di mantenimento dei detenuti: a tale conclusione si è giunti per dirimere definitivamente una lunga querelle che per molto tempo ha visto la contrapposizione tra la giurisprudenza della Corte di cassazione (favorevole all’esclusione) e l’orientamento espresso dal Ministero della giustizia (favorevole ad un’esenzione che comprendesse anche le spese di custodia dei beni sequestrati), anche se di recente quest’ultimo aveva già dovuto fare marcia indietro rispetto alle direttive precedentemente impartite (27).
D) Condono
In giurisprudenza si afferma che, poiché alla sentenza di condanna deve seguire l’obbligo del pagamento delle spese processuali, l’applicazione del condono non elimina la condanna né, perciò, l’obbligo di pagare le spese, in quanto tale beneficio è limitato alla sola esecuzione della pena ed attiene solo a questa, non influendo di contro sui merito del giudizio di condanna (28).
E) Impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari
Nell’ipotesi di procedimento incidentale avente ad oggetto il riesame, l’appello ovvero il ricorso per Cassazione avverso provvedimenti che dispongono una misura cautelare, il giudice dell’impugnazione condanna alle spese del procedimento ai sensi degli artt. 592 e 616 c.p.p. (29); anche il Ministero della giustizia, a più riprese (30). ha ritenuto essere mm conforme a logica giuridica la tesi secondo cui debba rimanere indenne dalle spese colui che vi ha dato causa senza ragioni giuridicamente valide, e ciò anche in assenza di una norma ad hoc sulla condanna alle spese nel procedimento incidentale relativo alle misure cautelari.
Poiché ai sensi dell’art. 691, 2° comma, c.p.p., al recupero delle spese processuali si può procedere solo in esecuzione di un provvedimento del giudice che ne statuisca la condanna al pagamento, in mancanza si può ricorrere alla procedura di rettifica a norma dell’art. 130 c.p.p. (art. 535 c.p.p..
Un orientamento lino a poco tempo fa consolidato riteneva che le spese di cui al provvedimento di condanna dovessero essere immediatamente recuperate, indipendentemente dall’esito del processo principale; secondo tale orientamento, intatti, la fase incidentale andava considerata a sé stante e autonoma, di talché la successiva ed eventuale sentenza di assoluzione o quella di patteggiamento non privavano di efficacia la condanna alle spese pronunciata nel procedimento incidentale (31). Tale tesi risulta ad oggi superata; infatti, la Cassazione ha ritenuto che «il recupero (delle spese processuali relative al procedimento incidentale) ... postula la definizione del procedimento principale, il cui esito, in caso di condanna, determina l’attivazione della relativa procedura» (32). Questa posizione è stata fatta propria dal Ministero della giustizia (33), secondo il quale il nuovo orientamento risulta più coerente con il vigente dettato normativo.
F) Amnistia
L’amnistia è un atto di clemenza generale, rivolto impersonalmente agli autori di determinate categorie di reati, con cui lo Stato rinunzia all’applicazione della pena. L’amnistia costituisce una abolitio publica derivante da un consuetudinario potere di clemenza la cui titolarità è attribuita dalla nostra Costituzione al Parlamento e al Capo dello Stato.
In materia di amnistia si distinguono:
a) amnistia propria, applicata cioè prima che la sentenza sia passata in giudicato. Si ha per i reati il cui accertamento giurisdizionale è ancora in corso: in tal caso ha efficacia abolitiva completa (estingue cioè il reato). L’imputato non è obbligato a pagare le spese processuali perché prosciolto senza subire il processo;
b) amnistia impropria, la quale, intervenendo dopo una sentenza irrevocabile di condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie ma non gli effetti penali della condanna. Il condannato deve quindi pagare le spese processuali.
Il Ministero della giustizia ha precisato che la estinzione del reato o della pena non importa anche la estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, come si rileva dal chiaro disposto dell’art. 198 c.p. Pertanto nel caso di amnistia, ove sia prima intervenuta condanna definitiva, rimane salva l’azione dell’erario per la riscossione delle spese processuali e di quelle sostenute dallo Stato per il mantenimento dei condannati negli stabilimenti di pena (34).
G) Giudizio di revisione
Nel giudizio di revisione, in caso di rigetto della richiesta, le spese processuali sono poste a carico della parte privata che l’ha proposta
(art. 637, 4° comma, c.p.p.).
Inoltre, quando la Corte di appello anche d’ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità della richiesta di revisione, può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma da euro 258 a euro 2065 (art. 634 c.p.p.).
H) Giudizio di legittimità costituzionale
Nei giudizi di legittimità davanti alla Corte Costituzionale le relative spese sono a carico dell’erario e, pertanto, non sono dovute né tasse, né imposte, né diritti di alcun genere.
Tale statuizione discende evidentemente da due considerazioni: la prima, di ordine sostanziale, attinente all’interesse della tutela giurisdizionale che, sebbene coinvolga il singolo, è senza dubbio di preminente ordine generale; la seconda, d’ordine procedurale, attinente al soggetto legittimato a promuovere il giudizio di legittimità costituzionale, che è sempre e solamente, nel processo penale, la stessa Autorità giurisdizionale, a sua insindacabile discrezionalità (art. 23, L. 11-3- 1953, n. 87).
I) Affidamento in prova al servizio sociale
La Cassazione ha chiarito che l’esito favorevole dell’affidamento in prova al servizio sociale è idoneo ad estinguere la pena detentiva e non
anche la pena pecuniaria (35), né, tanto meno, le spese processuali.
9. CASI DI RECUPERO DELLE SPESE
PROCESSUALI IN MATERIA CIVILE
Le spese processuali in materia civile, nei casi in cui la legge ne prevede l’anticipazione a carico dell’erario ovvero la prenotazione a debito, possono, a talune condizioni, essere recuperate dallo Stato secondo le disposizioni dettate dalla nella parte VII del testo unico n. 115/2002. Tali disposizioni sono altresì applicabili in massima parte anche al recupero del contributo unificato omesso o insufficiente ai sensi degli artt. 247 e ss. T.U., nonostante in tal caso non si versi né in ipotesi di anticipazione né di prenotazione a debito: ciò in quanto ci si trova comunque di fronte ad un credito dell’erario soggetto a recupero.
Esaminiamo i più importanti casi di recupero.
A) Patrocinio a spese dello Stato in materia civile (artt. 134, 135 T.U.)
Il provvedimento che condanna la parte soccombente alla rifusione delle spese processuali, dispone che il relativo pagamento sia eseguito a favore dello Stato quando l’altra parte sia stata ammessa al beneficio.
Nel caso in cui lo Stato non venga rimborsato e la vittoria della causa o la composizione della lite abbia messo la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato in condizione di potere restituire le spese erogate in suo favore, questa vi deve provvedere. A tal proposito, l’azione di recupero nei suoi confronti può essere esercitata per tutte le spese prenotate e anticipate, quando per sentenza o transazione egli abbia conseguito almeno il sestuplo delle spese, ovvero nel caso di rinuncia all’azione o dell' estinzione del giudizio (36); tuttavia, il limite del sestuplo non riguarda le spese effettivamente anticipate dall’erario, che il beneficiano è tenuto a rimborsare in ogni caso con la somma o valore conseguito, qualunque esso sia.
Si osservano le seguenti disposizioni:
— se la causa viene definita per transazione, tutte le parti sono solidalmente obbligate al pagamento delle spese prenotate a debito, con espresso divieto, a pena di nullità del patto, di accollarli al beneficiano;
— nelle cause promosse contro i soggetti ammessi al beneficio, la parte attrice o impugnante è obbligata al pagamento delle spese prenotate a debito, quando il giudizio sia estinto o rinunciato (37);
— nelle ipotesi di cancellazione ai sensi dell’art. 309 c.p.c. e nei casi di estinzione diversi da quelli precedentemente indicati, tutte le parti sono tenute solidamente al pagamento delle spese prenotate a debito (38).
Norme particolari sono dettate dall’art. 135 T.U. per alcuni processi in cui, mancando uno specifico provvedimento di condanna, risulta
difficile applicare le disposizioni sul recupero.
Le spese relative ai processi di dichiarazione di assenza o di morte presunta sono recuperate nei confronti dei soggetti indicati nell’art. 50, commi 2 e 3, c.c. (39) e nei confronti della parte ammessa in caso di revoca dell’ammissione.
Le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e 2770 c.c., sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario.
B) Revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 136 T.U.)
Nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, se nel corso del procedimento sopravvengono modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai lini del patrocinio stesso, il magistrato che procede i-evoca il provvedimento di ammissione al beneficio. Alla revoca si provvede altresì se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.
La revoca ha effetto dal momento dell’accertamento delle modificazioni reddituali, indicato nel provvedimento del magistrato. In tutti gli altri casi la revoca ha efficacia retroattiva, comportando, di conseguenza, la necessità di procedere al recupero delle spese anticipate dall’erario e prenotate a debito a causa dell’ammissione al beneficio.
A norma dell’art. 86 T.U., lo Stato ha, in ogni caso, diritto di recuperare in danno dell’interessato le somme eventualmente corrisposte successivamente alla revoca del provvedimento di ammissione.
C) Processi di interdizione o inabilitazione ad istanza del pubblico ministero (art. 145 T.U.)
Nel processo di interdizione e di inabilitazione promosso dal pubblico ministero le spese sono regolate dalle medesime disposizioni in materia di patrocinio a spese dello Stato nei processi civili (e segnata mente dall’art. 131 T.U.), eccetto per gli onorari dovuti al consulente tecnico dell’interdicendo o dell’inabilitando, e all’ausiliario del magistrato, i quali sono anticipati dall’erario.
Passata in giudicato la sentenza, la cancelleria deve richiedere a tutori e curatori, nella qualità, dì presentare entro un mese la documentazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato: qualora con decreto del magistrato si accerti il superamento dei limiti di reddito previsti, è stabilito il recupero delle spese nei confronti dei tutori e curatori, nella loro qualità.
D) Revoca della dichiarazione di fallimento (art. 147 T.U.)
In caso di revoca della dichiarazione di fallimento, le spese della procedura fallimentare, nonché il compenso al curatore, sono poste a carico del creditore istante, se condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa, mentre sono a carico del fallito persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento.
E) Eredità giacente attivata d’ufficio (art. 148 T.U.)
Nell’ipotesi in cui la procedura dell’eredità giacente sia attivata d’ufficio, non essendovi una parte privata che possa anticipare le spese processuali secondo le regole generali, l’art. 148 T.U. ha delineato una disciplina ad hoc per ie predette spese, stabilendo che alcune sono prenotate a debito e altre sono invece anticipate dall’erario.
All’esito della procedura, il giudice pone le spese in questione a carico del curatore, nella qualità, e quindi a carico dell’eredità (devoluta allo Stato ai sensi dcl 586 c.c.). Se però, successivamente alla nomina del curatore, è intervenuta accettazione dell’eredità, con conseguente cessazione delle funzioni del primo, a norma dell’ari. 532 c.c., il giudice pone le spese della procedura a carico dell’crede accettante.
10. COMPETENZA
In linea di massima, le disposizioni dettate dal testo unico sulla competenza e le modalità di riscossione, valgono indistintamente per la materia penale e civile, e comunque sia per il recupero delle spese processuali sia per ogni altro credito vantato dall’erario.
Ai sensi dell’art. 208, comma 1, T.U., l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione (40) (di seguito, ufficio competente), se non diversamente stabilito in modo espresso, è quello presso il magistrato il cui provvedimento è passato in giudicato o comunque è divenuto definitivo (41).
Tale disposizione innova profondamente la precedente disciplina prevista per la riscossione delle pene pecuniarie e delle spese processuali in materia penale, giacché, a norma dell’abrogato art. 181 disp. att. c.p.p., la competenza al recupero era in ogni caso riconosciuta in capo alla cancelleria del giudice dell’esecuzione, individuato a norma dell’art. 665 c.p.p.; ciò significa, ad esempio, che quando in grado di appello la sentenza di primo grado viene confermata ovvero riformata soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, l’attuale disciplina prevede che la riscossione sia curata dalla cancelleria del giudice di secondo grado, mentre in precedenza, per il combinato disposto degli artt. 665 c.p.p. e 181 disp. att. c.p.p., era competente senz’altro la cancelleria del giudice di primo grado (42).
Non essendo prevista alcuna norma transitoria, si ritiene che la nuova disciplina si applichi solo a quei provvedimenti divenuti definitivi a partire dal l luglio 2002, e cioè dalla data di entrata in vigore del testo unico, in quanto solo con la definitività del provvedimento il credito è da considerarsi maturato.
Conseguenza logica della diversa competenza individuata dalle nuove norme è che vi potrebbe non essere corrispondenza tra la cancelleria incaricata delle attività connesse alla riscossione ed il giudice dell’esecuzione competente alla conversione della pena pecuniaria (v. in fra).
Riguardo poi all’ipotesi di riscossione della pena pecuniaria concernente più provvedimenti emessi da giudici diversi (si pensi al caso in cui sia intervenuto un provvedimento di cumulo), il necessario raccordo fra l’art. 665 c.p.p. e l’art. 208 T.U. fa ritenere che sia competente al (40).
Poiché in materia di entrate patrimoniali alcune nonne fanno riferimento al termine “ente creditore”. in riferimento ai rapporti con i concessionari, volendo ricomprendere in tale locuzione evidentemente lo Stato e gli enti diversi (per es. enti previdenziali regioni, province, comuni), il secondo comma dell’art 208 TU. chiarisce che negli artt. 6, 15, 16, 18, 22, 38, 39, 47, 57 e 59, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112 i termini «ente creditore» e «soggetti creditori» non si riferiscono all’ufficio competente al recupero l’ufficio presso il magistrato che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo (43).
Il testo unico ha invece confermato la regola per la quale è in ogni caso escluso il recupero da parte dell’ufficio presso la Corte di cassazione. Pertanto, quando vi è stato ricorso per cassazione e questo è stato dichiarato inammissibile o rigettato, la competenza appartiene all’ufficio presso il giudice dì primo o secondo grado a seconda del giudice che ha emesso la sentenza oggetto di ricorso per cassazione; se invece la Cassazione ha annullato la sentenza con rinvio, la competenza è dell’ufficio presso il giudice del rinvio.
Ulteriore novità introdotta dal Lesto unico sulle spese di giustizia è l’eliminazione della disciplina specialistica già prevista per il recupero delle pene pecuniarie e delle spese processuali in materia doganale e di contrabbando (44). Tale disciplina, peraltro già esclusa nell’ipotesi in cui il reato finanziario sia connesso con altre) reato comune ovvero qualora vi sia stata condanna a pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria (45), prevedeva clic la riscossione nelle predette materie tosse curata direttamente, secondo le rispettive competenze, dagli uffici doganali e digli Ispettorati compartimentali dei monopoli, cui doveva essere rimesso) il titolo esecutivo, costituito dalla sentenza o dal decreto penale irrevocabile che contiene la condanna alla pena pecuniaria, unitamente alla nota delle spese di giustizia (46). Anche stavolta, comunque, il discrimine circa l’applicazione della vecchia o nuova disciplina è dato dal passaggio in giudicato del provvedimento da eseguire, e Cioè dalla data in cui matura il credito verso l’erario, a seconda che sia precedente o meno al l luglio 2002 (47).
Per le spese di mantenimento dei detenuti, l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso l’ultimo istituto nel quale il condannato è stato ristretto. Anche tale disposizione, dettata dall’art. 209 T.U., innova la precedente disciplina, la quale prevedeva la trasmissione alla cancelleria competente per il recupero, da parte dell’istituto penitenziario, di un’apposita nota delle spese di mantenimento —Mod. 38— con cui venivano computati i periodi di detenzione, l’eventuale recupero proveniente dalla remunerazione ed il credito residuo da recuperare (48); seguiva quindi la presa in carico del credito da parte della cancelleria competente alla riscossione, anche se in una partita di redito diversa da quella riguardante le comuni spese processuali (49).
Anche per le spese di mantenimento in carcere, in mancanza di una specifica norma transitoria, si pone il problema di individuare il criterio per l’applicazione della nuova disciplina sulla competenza al recupero in sostituzione di quella precedente. In questo caso, però, la maturazione del credito non è collegata al passaggio in giudicato del provvedimento, bensì alla data di scarcerazione del detenuto, data dalla quale, infatti, decorre il termine di prescrizione del diritto al recupero. Resta pertanto la competenza alla riscossione da parte della cancelleria per le spese di mantenimento dei detenuti qualora l’espiazione della pena si sia conclusa in data antecedente all’entrata in vigore del testo Unico, e cioè al 10 luglio 2002 (50).
11. REGISTRI
Il testo unico in materia di spese di giustizia ha notevolmente inciso sul tema dei registri che le cancellerie devono tenere per la gestione dei vari servizi attinenti a questa materia.
Nella fase del recupero, a fronte dei diversi registri in precedenza previsti, in parte diversi tra campione penale e civile, è stata disposta l’istituzione di un unico registro, ufficialmente denominato «registro dei crediti da recuperare e delle successive vicende del credito», previsto dall’art. 161 T.U. ai fini delle annotazioni a cui è tenuta la cancelleria competente, a norma degli artt. 160 e 162 T.U.
La scelta innovativa fondamentale operata dal testo unico è stata quella di individuare i registri necessari sulla base della funzione di registrazione che deve essere curata; per tale motivo, non è stato necessario indicare presso quali uffici sono tenuti i vari registri, ma è stato sufficiente individuare il nesso tra la tenuta del registro e la funzione. Pertanto, il registro dei crediti è istituito presso il giudice dell’esecuzione (presso gli uffici giudicanti di I e Il grado, ma non presso le procure, né presso la corte di cassazione) (51).
Al registro in argomento sì applicano le disposizioni dagli artt. 1-12 e 1 5-20, D.M. (Giustizia) 27-3-2000, n. 264 (Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari) e dal D.M. (Giustizia) 24-5-2001 (Regole procedurali relative alla tenuta dei registri informatizzati dell’amministrazione della giustizia) (52); vengono quindi richiamate le regole della tenuta in modo informatizzato (salvo eventuale autorizzazione alla tenuta su supporto cartaceo) e su base annua, nonché l’obbligo della vidimazione e della numerazione dei registri cartacei, da effettuarsi a cura del dirigente o da persona da lui delegata prima di essere posti in uso.
Il registro tenuto in forma cartacea deve essere corredato da rubrica alfabetica (ari. 280, comma 4, T.U.).
In un contesto informatizzato integrato, l’ufficio che svolge la funzione di determinare l’importo da recuperare è in grado di estrarre i dati che gli servono telematicamente, rintracciandoli in un sistema in cui altri uffici hanno provveduto all’annotazione delle spese anticipate dall’erario come quelle prenotate a debito, così controllando la corrispondenza tra quanto risulta dai registri e quanto risulta dagli atti processuali contenuti nel fascicolo in suo possesso: nella prospettiva di una generalizzata informatizzazione del sistema, tale annotazione sarà di per sé sufficiente a garantire l’esatta individuazione dell’importo delle spese che eventualmente dovranno essere recuperate. In attesa di tale informatizzazione, l’art. 280 T.U. dispone che nei fascicoli processuali si debba tenere un foglio delle notizie ai fini del recupero, su cui l’ufficio che procede all’annotazione sul registro delle spese prenotate a debito è tenuto a riportare gli importi che dovranno eventualmente essere recuperati; allo stesso modo provvede l’ufficio che annota le spese pagate dall’erario, limitatamente però ai pagamenti di spese ripetibili (53).
l’art. 163 T.U. rinvia ad un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, per l’individuazione del modello del registro in argomento; in attesa, come dispone l’art. 282 T.U., i registri sono tenuti secondo le disposizioni vigenti al momento dell’entrata in vigore del testo unico. A tal proposito, il D.M. (Giustizia) n. 264/2000 aveva individuato per il servizio della riscossione uno specifico registro dei ruoli, il cui modello ufficiale, però, non è mai stato approvato; in sua sostituzione, e comunque sempre in via transitoria, il Ministero della giustizia ha dato disposizioni perché siano istituiti appositi registri di comodo per l’annotazione degli importi da recuperare iscritti a ruolo e le successive vicende del credito (54).
Restano provvisoriamente in uso anche i registri già previsti per il servizio dei campioni civile e penale. Pertanto, in materia civile, accanto al registro delle spese concernenti le cause in cui siano parti persone o enti ammessi alla prenotazione a debito — Mod. 42 (55) — deve essere tenuto anche il registro Mod. X, sul quale vanno riportati, al fine di essere tenuti in evidenza, i crediti iscritti a campione e relativi a cause ed affari definiti in seguito a provvedimento esecutivo, transazione, abbandono ecc.;
In materia penale è transitoriamente prescritta la tenuta del registro del campione penale — Mod. 29: tale registro è fornito gratuitamente dalla Direzione regionale delle entrate, e dalla stessa numerato e vidimato; le iscrizioni sono progressive e continuative all’infinito e vanno effettuate riportando tutte le indicazioni accennate nei moduli a stampa, tenendo presente che, a differenza di quanto accade per il campione civile, nella materia penale l’iscrizione nel campione avviene solo quando è definitivo il provvedimento da cui scaturisce il diritto al recupero (56). A margine dei singoli articoli di credito deve essere indicata la data in cui si maturerà la prescrizione.
Sia nel campione penale che civile, all’iscrizione dell’articolo segue la formazione del fascicolo per ogni articolo iscritto, nel quale inserire tutti gli atti della procedura di recupero. L’articolo di campione deve essere iscritto con grafia chiara e senza abrasioni; le annotazioni a margine dell’articolo devono essere effettuate con inchiostro rosso, così pure l’annotazione delle somme riscosse, unitamente agli estremi della quietanza.
Registri comuni ad entrambi i servizi, in attesa del decreto dirigenziale di cui all’art. 163 T.U. sono il registro delle verifiche degli ispettori demaniali — c.d. Mod. 1 6 — e la rubrica alfabetica delle partite iscritte nel campione. La previgente disciplina prescriveva anche la tenuta della «tavola alfabetica dei debitori di spese di giustizia riconosciuti insolvibili» — Mod. 18 — che veniva fornita dalla Direzione regionale delle entrate e serviva ad iscrivere, col richiamo del numero di campione e della somma dovuta, i debitori di spese di giustizia riconosciuti «di dubbia solvibilità»: tale registro non deve essere più tenuto, anche in considerazione del mutato sistema di riscossione, poiché, a norma dell’art. 281 T.U., i crediti già iscritti in esso alla data del 1° luglio 2002, se non prescritti e se non ricorrono altri casi di estinzione, devono essere riportati nel registro (per il momento, di comodo) dei crediti da recuperare, ai fini dell’iscrizione a ruolo.
12. PROCEDURA DI RECUPERO
Passato in giudicato o divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l’obbligo o, per le spese di mantenimento, cessata l’espiazione della pena in istituto, si dà inizio alla procedura di recupero del credito vantato dall’erario. Tale procedura, almeno nella fase della riscossione coattiva, non più curata dal cancelliere, ma, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 237/1997, dal concessionario del servizio riscossione tributi, previa iscrizione del credito nel ruolo esattoriale.
Se il condannato alla pena pecuniaria ed alle spese di giustizia è uno soltanto, si aprirà un solo articolo se per la pena non deve essere riscossa, a margine dell’ articolo di credito andrà fatta annotazione che la pena è condizionalmente sospesa. Qualora invece i condannati a pena pecuniaria e alle spese siano più di uno, si dovrà aprire un articolo per le sole spese processuali e tanti articoli per la pena pecuniaria quanti sono i condannati.
In caso di iscrizioni successive, per revoca dei benefici o per spese sopravvenute, è opportuno richiamare tra loro i vari articoli di credito, con annotazioni marginali, al fine di agevolare i controlli ispettivi..
Il primo atto della procedura consiste nell’attività di quantificazione del credito da riscuotere. Dispone infatti l’art. 211 T.U. che l’ufficio di cancelleria competente, secondo le regole esposte, quantifica l’importo dovuto per spese sulla base degli atti, dei registri, delle norme (si pensi alle spese forfetarie in materia penale) che individuano la somma da recuperare, e prende atto degli importi stabiliti nei provvedimenti giurisdizionali per le pene pecuniarie, per le sanzioni amministrative pecuniarie e per le sanzioni pecuniarie processuali, specificando le varie voci dell’importo complessivo, e correggendo eventuali propri errori, d’ufficio o su istanza di parte.
Più in particolare, la quantificazione delle spese processuali anticipate dall’erario e quelle prenotate a debito potrà avvenire, in prospettiva, interrogando il sistema informatizzato integrato per la gestione dei relativi registri tenuti dagli uffici giudicante, requirente e UNEP, e procedendo al controllo tra i dati estratti dal sistema e quelli risultanti dagli atti contenuti nel fascicolo processuale. In via transitoria, fino al completamento del processo di informatizzazione del servizio, le medesime informazioni potranno essere desunte dal foglio delle notizie, che, come si è detto in precedenza, deve essere inserito nel fascicolo processuale e sul quale l’ufficio che procede all’annotazione sul registro delle spese pagate dall’erario o delle spese prenotate a debito deve riportare gli importi alle spese anticipate, solo se ripetibili, e quelle prenotate a debito.
Si ritiene che il foglio delle notizie vada comunque inserito nei fascicoli processuali, indipendentemente dall’esistenza o meno di spese anticipate o prenotate a debito, in modo che, nel passaggio del Fascicolo ad altro ufficio, l’ufficio remittente possa effettuare apposita attestazione relativa alle spese processuali (57).
Entro un mese dal passaggio in giudicato, o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo, o dalla cessazione dell’espiazione della pena in istituto, l’ufficio competente deve chiedere la notifica, ai sensi dell’art 137 e ss. c.p.c. (58), dell’apposito invito al pagamento (v. allegato A in appendice al capitolo), a cui va allegato il modello di pagamento Mod. F23 (59) (v. allegato B in appendice al capitolo): ciò consente al debitore di conoscere l’esatto importo da pagare e di procedere eventualmente all’adempimento spontaneo in modo da evitare le ulteriori lungaggini e spese proprie della procedura esattoriale. Il modello di pagamento, debitamente precompilato, in particolare, con i dati del versamento (codici ed importi) (60), deve indicare altresì gli importi prenotati a debito a favore di soggetti diversi dall’erario (61): ciò al fine di consentirne il riversamento a loro favore da parte del concessionario, una volta concluso il procedimento di riscossione.
Nell’invito al pagamento è fissato inoltre il termine di un mese per adempiere, con espressa avvertenza che sì procederà ad iscrizione a ruolo in caso di mancato pagamento entro il termine stabilito, ed è richiesto al debitore di depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall’avvenuto pagamento.
La nuova disciplina, dettata dall’art. 212 T.U., non prevede invece la notifica dell’estratto del titolo esecutivo, a differenza di quanto era stabilito in precedenza.
Si ricorda che, a norma dell’art. 5, comma 4, della Tabella Allegato B al D.P.R. 26-10-1972, n. 642, gli atti e le copie relativi al procedimento, anche esecutivo, per la riscossione delle entrate, anche quelle non aventi natura tributaria, beneficiano dell’esenzione dall’imposta di bollo (compreso quindi il c.d. bollo di quietanza).
Scaduto inutilmente il termine per l’adempimento, computato dall’avvenuta notifica dell’invito al pagamento e decorsi i dieci giorni per il deposito della ricevuta di versamento, l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo e alla consegna del medesimo al concessionario, secondo le norme richiamate dall’art. 223 T.U., ed in particolare, per ciò che riguarda le cancellerie, l’art. 12, commi 1,2 e 4, e l’art. 24, D.P.R. 29-9-1 973, n. 602, rispettivamente relativi la formazione dei ruoli e la loro consegna al concessionario (62). Per tali adempimenti gli uffici giudiziari devono preventivamente prendere contatti con le sedi periferiche del Consorzio nazionale dei Concessionari, al fine di ricevere le necessarie istruzioni e la relativa modulistica (63).
Anche nel ruolo, come già detto per l’invito al pagamento, devono risultare gli importi prenotati a debito a favore di soggetti diversi dall’erario per consentirne il riversamento da parte del concessionario all’esito della riscossione (art. 217 T.U.). La disposizione si riferisce non solo alle somme dovute agli ufficiali giudiziari, ma anche ad altri soggetti, come ad esempio agli ausiliari del magistrato nel caso in cui, a seguito di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, essi abbiano richiesto la prenotazione a debito delle somme spettanti, a norma dell’art. 131 T.U. (64).
La c.d. riscossione esattoriale, regolata dal D.P.R. 29-9-1973, n. 602, dal D.Lgs. 26-2-1999, n. 46, e dal D.Lgs. 13-4-1999, n. 112, si svolge secondo forme semplificate rispetto all’esecuzione forzata prevista dal codice di procedura civile: il concessionario notifica al debitore la cartella esattoriale, la quale contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. In caso di mancato adempimento spontaneo, sono addebitati gli interessi moratori di cui all’art. 30, D.P.R. n. 602/1973; quindi, se del caso, si procede direttamente al pignoramento mobiliare (presso il debitore o presso terzi) e immobiliare senza avvalersi dell’ufficiale giudiziario. Le funzioni del giudice dell’esecuzione sono svolte dal tribunale ordinario, mentre quelle dell’ufficiale giudiziario dal concessionario a mezzo di «ufficiali della riscossione».
Le spese delle procedure esecutive relative a tutte le entrate iscritte a ruolo sono riscosse dal concessionario nel processo in corso per la riscossione coattiva del credito principale (65).
In caso di impugnazione del ruolo, il funzionario addetto all’ufficio può sospendere la riscossione sulla base di criteri determinati con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia (66).
13. DISCARICO AUTOMATICO DAL RUOLO
Una volta iscritto il credito a ruolo, l’ufficio di cancelleria ha l’onere di comunicare di volta in volta al concessionario e alla competente ragioneria provinciale dello State le sopravvenute cause di sospensione o di estinzione della riscossione, anche ai fini del discarico delle quote iscritte a ruolo, di cui all’ari. 19, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112 (art. 214 T.U.).
Agli stessi fini, il concessionario deve trasmette, anche in via telematica, all’ufficio competente, una specifica comunicazione di inesigibilità, con le modalità indicate dal D.M. (Finanze) 22-10-1999. Decorsi tre anni dalla predetta comunicazione, infatti, il concessionario è automaticamente discaricato (67): il discarico automatico, ai sensi dell’ari. 210 T.U., comporta l’eliminazione dalle scritture patrimoniali dei crediti eri, non occorrendo alcun provvedimento di annullamento del credito, che invece è previsto in via ordinaria dall’art. 265, comma
3, R.D. 23-5-1924, n. 827.
Nel caso di crediti relativi alla pena pecuniaria, non si avrà il discarico ma l’apertura del procedimento di conversione (v. infra).
Fino al discarico, resta salvo il potere dell’ufficio competente di comunicare, in ogni momento, al concessionario l’esistenza di nuovi beni da sottoporre ad esecuzione; in tal caso il concessionario ha l’obbligo di agire su tali beni.
La documentazione cartacea relativa alle procedure esecutive poste in essere dal concessionario è conservata, fino al discarico delle relative quote, dallo stesso concessionario. Fino a quel momento, l’ufficio competente può richiedere al concessionario la trasmissione della documentazione relativa alle quote per le quali intende esercitare il controllo di merito, ovvero procedere alla verifica della stessa documentazione presso il concessionario; se entro trenta giorni dalla richiesta, il concessionario non consegna, ovvero non mette a disposizione tale documentazione, perde il diritto al discarico della quota.
14. IN PARTICOLARE: DISCARICO AUTOMATICO PER
SPESE DI IMPORTO NON SUPERIORE A 25,82 EURO
Già nell’ambito della pregressa disciplina della riscossione era sorta l’esigenza di individuare un meccanismo semplificato attraverso il quale eliminare le partite di credito relative a spese processuali e di mantenimento, in presenza di due specifiche condizioni:
— il modico valore del credito;
— accertamento dell’insolvibilità del debitore, reso inconfutabile dall’esecuzione di un primo pignoramento infruttuoso.
Per rispondere a tale esigenza, l’articolo unico della L. 8-3-1989, n. 89, dispose l’annullamento degli articoli di credito per spese di giustizia quando il credito non superasse l’importo di 25,82 euro (già L. 50.000), adeguabile ogni biennio secondo indici ISTAT, ma di fatto mai adeguato. La disposizione si applicava però solo ai crediti iscritti nel campione penale.
Il testo unico in materia di spese di giustizia, riprendendo il precetto della L. n. 89/1989, ha sancito all’art. 230 il discarico automatico per i crediti al di sotto di un determinato importo e relativi a spese processuali e di mantenimento, qualora risulti infruttuoso il primo pignoramento.
Per l’individuazione dell’importo di riferimento, tuttavia, bisognerà attendere l’emanazione di uno specifico regolamento, il quale dovrà tener conto dei costi per la riscossione e degli importi dei crediti per i quali, ai sensi dell’art. 228 T.U., neanche si procederà a notificare l’invito al pagamento (v. infra).
Non sono soggetti al discarico disciplinato dall’art. 230 T.U. i crediti il cui importo costituisce il residuo di un altro originariamente più elevato.
Ai sensi dell’art. 288 T.U., sino a che il regolamento previsto dall’art 230 T.U. non individua importi più alti, il credito iscritto a ruolo concernente le spese processuali e di mantenimento di importo non superiore a euro 25,82 (68) è discaricato automaticamente se risulta infruttuoso il primo pignoramento.
Infine, l’art,. 231 T.U. rinvia ad un futuro decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, con il quale dovranno essere fissati i criteri eccezionali sulla base dei quali l’ufficio è tenuto alla reiscrizione degli articoli di ruolo discaricati ai sensi delle disposizioni sopra richiamate (69).
15. PAGAMENTI INDEBITI
Se le somme iscritte a ruolo, pagate dal debitore, sono riconosciute indebite, l’ufficio competente incarica dell’effettuazione del rimborso il concessionario, che provvede al pagamento nei successivi sessanta giorni mediante anticipazione delle relative somme.
L’ufficio è tenuto quindi a restituire al concessionario le somme anticipate, corrispondendo sulle stesse gli interessi legali a decorrere dal giorno dell’effettuazione del rimborso al debitore, nonché a rimborsare allo stesso le spese relative alle procedure esecutive (70). A tal fine, l’ari 216 T.U. dispone che il funzionario addetto all’ufficio emette gli appositi ordini di pagamento a valere sulle aperture di credito disposte con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia.
Se invece le somme iscritte a ruolo sono riconosciute indebite prima del pagamento, si procede a rettifica del ruolo secondo modalità definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (art. 26, D.Lgs. n. 112/1999).
16. DILAZIONE E RATEIZZAZIONE DEL CREDITO
La disciplina relativa alla dilazione e rateizzazione del credito non ha carattere generale, dovendosi distinguere l’ipotesi riguardante il credito per la pena pecuniaria da quello riguardante le sanzioni amministrative pecuniarie o ancora le altre voci di credito.
A) Spese processuali e di mantenimento, sanzioni pecuniarie processuali
A norma dell’art. 232 T.U., il debitore può chiedere la dilazione o la rateizzazione dell’importo dovuto per spese processuali, spese di mantenimento dei detenuti e per sanzioni pecuniarie processuali, indicando le cause che gli impediscono di soddisfare immediatamente il debito e il termine più breve che gli occorre per provvedervi. La richiesta può intervenire sia nella fase dell’adempimento spontaneo che in quella della riscossione mediante ruolo; in ogni caso deve essere presentata, a pena di decadenza, prima dell’inizio della procedura esecutiva (71).
Sulla richiesta decide il funzionario addetto all’ufficio entro un mese dalla presentazione, secondo criteri e modalità che dovranno essere individuati da un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia (72).
Le rate scadono l’ultimo giorno del mese. Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o dilazionato, si applicano gli interessi al tasso
del sei per cento annuo a beneficio dell’erario. L’ammontare degli interessi dovuto è determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la prolungata rateazione ed è riscosso unitamente al credito principale alle scadenze stabilite (73).
In caso di mancato pagamento di una rata il debitore decade automaticamente dal beneficio ed è tenuto al pagamento, in un’unica soluzione, della restante parte del debito. In particolare, a norma dell’art. 218 T.U., se il credito era stato rateizzato prima dell’iscrizione a ruolo, al primo inadempimento viene iscritto per l’intero o per il residuo; se invece era stato dilazionato o rateizzato dopo l’iscrizione a ruolo, la riscossione mediante ruolo è sospesa e al primo inadempimento è riavviata per l’intero o per il residuo.
B) Sanzioni amministrative pecuniarie
Riguardo alle sanzioni amministrative pecuniarie inflitte agli enti che hanno commesso illeciti amministrativi dipendenti da reato, l’art. 240 TU. non richiama la disciplina applicabile alle spese processuali, bensì, riprendendo il precetto dell’ari. 75, comma 2, D. Lgs. 8-6-2001, n. 231, le disposizioni dettate dall’art. 19, D.P.R. n. 602/1973 per le entrate tributarie.
L’ufficio competente, su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di sessanta rate mensili ovvero la sospensione della riscossione per un anno e, successivamente, la ripartizione del pagamento fino ad un massimo di quarantotto rate mensili. Se l’importo iscritto a ruolo è superiore ad curo 25.822,84, il riconoscimento di tali benefici è subordinato alla prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria.
La richiesta, di rateazione deve essere presentata, a pena dì decadenza, prima dell’inizio della procedura esecutiva.
Le rate mensili nelle quali il pagamento è stato dilazionato scadono l’ultimo giorno di ciascun mese.
in caso di mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate, il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione e l’intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione; ulteriore conseguenza è che il carico non può più essere rateizzato. Inoltre, se, a seguito di decadenza del contribuente dal beneficio della dilazione, il fideiussore non versa l’importo garantito entro trenta giorni dalla notificazione di apposito invito, contenente l’indicazione delle generalità del fideiussore stesso, delle somme da esso dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa, il concessionario può procedere ad espropriazione forzata nei suoi confronti sulla base dello stesso ruolo emesso a carico del debitore.
C) Pene pecuniarie
Dispone l’art. 133 ter c.p. che il giudice, tenuto conto delle condizioni economiche del condannato, con la sentenza di condanna o con il decreto penale di condanna può disporre la rateizzazione della pena pecuniaria, con ripartizione in rate mensili da tre a trenta, ciascuna per un importo non inferiore ad euro 15,49.
In ogni momento il condannato può estinguere la pena mediante un unico pagamento.
Parimenti, quando a norma dell’art. 238 T.U. il giudice dell’esecuzione accerta l’insolvibilità del debitore con riguardo alla pena pecuniaria, lo stesso giudice può disporre la rateizzazione della pena a norma dell’art. 133 ter c.p., qualora non sia stata già disposta con la sentenza di condanna, o il differimento della conversione per un tempo non superiore a sei mesi, rinnovabile per una sola volta se Io stato di insolvibilità perdura, e il concessionario è automaticamente discaricato per l’articolo di ruolo relativo.
Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale la conversione è stata differita.
In qualsiasi caso di rateizzazione delle pene pecuniarie, l’art. 236 T.U. dispone che l’invito al pagamento o il provvedimento del giudice contenga l’indicazione dell’importo e la scadenza delle singole rate. Non sono dovuti interessi per la rateizzazione.
Il termine per il pagamento decorre dalla scadenza delle singole rate. In caso di mancato pagamento di una rata il debitore decade automaticamente dal beneficio ed è tenuto al pagamento, in un’unica soluzione, della restante parte del suo debito.
17. REMISSIONE DEL DEBITO PER SPESE
La remissione del debito costituisce una modalità non satisfatoria di estinzione dell’obbligazione (74), applicabile però solo alle spese processuali in materia penale e alle spese di mantenimento in carcere.
L’istituto della rimessione del debito, già previsto dall’art. 56, L. 26- 7-1975, n. 354, e ora dall’art. 6 T.U. n. 115/2002, trova la sua ratio nella necessità di evitare al condannato il sacrificio di carattere patrimoniale, consistente nel pagamento delle spese a suo carico, riconoscendogli un premio per aver tenuto una condotta regolare.
La remissione del debito è concessa dal magistrato di sorveglianza, su domanda, corredata da idonea documentazione, presentata dall’interessato o dai prossimi congiunti, ovvero proposta dal consiglio di disciplina, di cui alla L. n. 354/1975.
La domanda può essere presentata fino a che non è conclusa la procedura di recupero che, se in corso, è sospesa di diritto. A tal fine, la cancelleria dell’ufficio di sorveglianza dà notizia della avvenuta presentazione dell’istanza o della proposta alla cancelleria competente per le attività connesse al recupero (75). Alla medesima cancelleria viene comunicata l’ordinanza di accoglimento o di rigetto.
Della richiesta di remissione del debito concernente le spese di mantenimento viene data comunicazione anche alla direzione dell’istituto da cui il detenuto o l’internato è stato dimesso. A seguito di questa comunicazione, o contemporaneamente alla proposta di remissione del debito, la direzione dell’istituto che non abbia ancora provveduto, non dà corso alla procedura per il recupero delle spese di mantenimento. L’ordinanza di accoglimento o di rigetto viene comunicata alla direzione competente.
L’applicazione del beneficio richiede il concorso di due condizioni:
a) le disagiate condizioni economiche;
b) la regolarità nella condotta tenuta dal condannato in sede di espiazione della pena ovvero in libertà.
Per l’accertamento delle condizioni economiche, il magistrato di sorveglianza si avvale della collaborazione del centro di servizio sociale e può chiedere informazioni agli organi finanziari.
Per l’accertamento della condizione sub b), il magistrato di sorveglianza tiene conto, per la valutazione della condotta del soggetto, oltre che degli elementi di sua diretta conoscenza, anche delle annotazioni contenute nella cartella personale, con particolare riguardo al
l’evoluzione della condotta del soggetto (art. 106, D.P.R. 30-6-2000, n. 230); in particolare, a norma dell’art. 30 ter, comma 8, L. n. 354/1975, la condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali. Se invece non vi è stata detenzione, si tiene conto della regolarità della condotta in libertà.
A seguito della comunicazione dell’ordinanza di rigetto viene dato corso alla procedura sospesa o non ancora iniziata.
18. CONVERSIONE DELLA PENA PECUNIARIA
Di fronte ad un debito per spese processuali, lo Stato ben può decidere di rinunciare all’esazione in presenza di particolari condizioni del debitore (si pensi alla remissione del debito) o comunque nel caso in cui si sia fatto tutto il possibile per riscuotere, ma inutilmente. Diversa è la situazione delle pene pecuniarie, la cui disciplina è ispirata a principi differenti, quali l’irrinunciabilità ed il favor nei confronti del debitore, sicché tutte le volte che il debitore sia insolvente per effettive difficoltà economiche, si può ricorrere alla rateizzazione o alla dilazione, ma in nessun caso alla rinuncia definitiva al credito, che, al contrario, in ultima istanza può essere convertita in una sanzione comunque limitativa della libertà personale, anche se non più a carattere detentivo (76).
Non è convertibile la pena pecuniaria che si riferisca a reato commesso precedentemente alla dichiarazione di fallimento del condannato, qualora la procedura fallimentare sia ancora in corso (77).
A norma dell’art. 237 T.U., entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione, da parte del concessionario, relativa all’infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni, l’ufficio che ha in carico il credito investe il pubblico ministero, perché attivi la conversione presso il giudice dell’esecuzione competente, che è quello individuato a norma dell’art. 665 c.p.p. e dell’art. 40, D.Lgs. 28-8-2000,
n. 274 (78).
La competenza riconosciuta in capo al giudice dell’esecuzione costituisce una importante novità introdotta dal testo unico in materia di spese di giustizia, dal momento che in precedenza era prevista la competenza del magistrato di sorveglianza; la novità si spiega da un lato con la necessità di armonizzare la disciplina della conversione, visto che già per i procedimenti innanzi al giudice di pace è quest’ultimo, in funzione di giudice dell’esecuzione, a provvedere alla conversione ai sensi dell’ari. 42, D.Lgs. n. 274/2000 (abrogato poi dalle nuove disposizioni), e dall’altro con l’esigenza di escludere la competenza dell’ufficio di sorveglianza, visto che tale competenza non ha più senso ora che la pena pecuniaria non sì converte più in pena detentiva.
Per ciò che riguarda la comunicazione, da parte del concessionario, circa lo stato della procedura esecutiva, essa è effettuata a norma degli artt. 19 e 36, D.Lgs. n. 112/1999 e con le modalità indicate dal D.M. (Finanze) 22-10-1999 (79). Da tali norme si evince:
— il concessionario è obbligato a trasmettere mensilmente all’ufficio che ha formato il ruolo le informazioni relative allo svolgimento del
servizio e all’andamento delle riscossioni;
— le informazioni sono riferite alle singole quote comprese nei ruoli;
— il concessionario perde il diritto al discarico se non trasmette la prima informazione entro il diciottesimo mese successivo alla consegna del ruolo e, successivamente, con cadenza annuale.
Ciò permetterà all’ufficio di cancelleria competente di procedere tempestivamente alla conversione della pena.
Attivata la procedura, l’articolo di ruolo relativo alle pene pecuniarie è sospeso.
Dispone l’art. 238 T.U. che il giudice dell’esecuzione competente, al fine di accertare l’effettiva insolvibilità del condannato, dispone le opportune indagini nel luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si ha ragione di ritenere che lo stesso possiede nuovi beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari. Le medesime indagini dovranno eventualmente riguardare anche la persona obbligata per la pena pecuniaria, e cioè quella persona che, a norma degli artt. 196 e 197 c.p. e 534 c.p.p. è obbligata a pagare una somma pari alla pena pecuniaria inflitta al condannato, nel caso in cui questi risulti insolvibile.
A norma dell’art. 239 T.U., il giudice competente per il processo di conversione comunica l’esito degli accertamenti sui nuovi beni all’ufficio che ha in carico il credito e al concessionario e, in caso di esito positivo, restituisce gli atti al pubblico ministero.
Se il giudice dell’esecuzione accerta la solvibilità, il concessionario riprende la riscossione coattiva sullo stesso articolo di ruolo; se invece il debitore risulta insolvibile, il giudice può innanzitutto disporre la rateizzazione della pena a norma dell’art. l33 ter c.p., qualora non sia stata già disposta con la sentenza di condanna, o il differimento della conversione per un tempo non superiore a sci mesi (80), e il concessionario è automaticamente discaricato (81) per l’articolo di ruolo relativo. Il differimento è rinnovabile per una sola volta se lo stato di insolvibilità perdura.
Alla scadenza del termine fissato per l’adempimento, anche rateizzato, è ordinata la conversione, dell’intero o del residuo. L’eventuale
ricorso avverso tale ordinanza ne sospende l’esecuzione.
Con l’ordinanza che dispone la conversione il giudice dell’esecuzione determina le modalità di esecuzione delle sanzioni conseguenti in osservanza delle disposizioni attualmente vigenti, e segnatamente degli artt. 102, 103, 105 107 e 108, L. 24-1 1-1981, n. 689, nonché, per i reati di competenza del giudice di pace, dell’art. 55, D.Lgs. 28-8-2000, n. 274.
A norma dell’art. 102, L. n. 689/1981, le pene della multa e dell’ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato si convertono nella libertà controllata per un periodo massimo, rispettivamente, di un anno e di sei mesi.
A richiesta del condannato, la pena pecuniaria può essere convertita, in alternativa, in lavoro sostitutivo (82). Questo consiste nella prestazione di un’attività non retribuita (83), a favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, o presso enti, organizzazioni o corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela dell’ambiente naturale o di incremento del patrimonio forestale, previa stipulazione, ove occorra, di speciali convenzioni (ari. 105, L. n. 689/1981).
Vige, comunque, un limite agli aumenti in caso di conversione di più pene pecuniarie concorrenti: la durata complessiva della libertà controllata non può superare un anno e sci mesi, se la pena convertita & quella della multa, e nove mesi se la pena convertita quella dell’ammenda, mentre la durata complessiva del lavoro sostitutivo non può superare in ogni caso i sessanta giorni (art. 103, L n. 689/1981).
Il ragguaglio tra pena da convertire e sanzione sostitutiva ha luogo calcolando 38,73 curo, o frazione di tale importo, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata (84) e 25,82 curo, o frazione ditale importo, per un giorno di lavoro sostitutivo.
11 condannato può sempre far cessare la pena sostitutiva pagando la multa e l’ammenda, dedotta la somma corrispondente alla durata della libertà controllata scontata o del lavoro sostitutivo prestato.
Dispone infine l’ari. 108, L. n. 689/1981, che quando violata anche solo una delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata, ivi comprese quelle inerenti al lavoro sostitutive, conseguenti alla conversione di pene pecuniarie, la parte di libertà controllata o di lavoro sostitutivo non ancora eseguita si converte in un uguale periodo di reclusione o di arresto, a seconda della specie della pena pecuniaria originariamente inflitta.
Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi (art. 55, D.Lgs. n. 274/ 2000).
Il lavoro sostitutivo deve essere svolto con le stesse modalità previste per il lavoro di pubblica utilità (85), che è una delle sanzioni applicabili dal giudice di pace al condannato. Tali modalità sono state in concreto individuate dal D.M. (Giustizia) 26-3-2001, mentre il successivo D.M. (Giustizia) 16-7-2001 ha conferito espressa delega ai Presidenti dei tribunali per la stipula di apposite convenzioni con amministrazioni, enti, ovvero organizzazioni di assistenza sociale o di volontariato presso cui il lavoro di pubblica utilità può essere svolto.
Ai fini della conversione, un giorno di lavoro sostitutivo applicato dal giudice di pace equivale a 12,91 euro di pena pecuniaria. Il condannato può sempre far cessare la pena del lavoro sostitutivo pagando la pena pecuniaria, dedotta la somma corrispondente alla durata del lavoro prestato.
Se invece il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo previsto dalle norme sulla competenza penale del giudice di pace, le pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità si convertono nell’obbligo di permanenza domiciliare con le forme e nei modi previsti dall’art. 53, comma 1, D.Lgs. n. 274/2000(86). Ai fini della conversione un giorno di permanenza domiciliare equivale a 25,82 euro di pena pecuniaria e la durata della permanenza non può essere superiore a quarantacinque giorni.
Quando è violato l’obbligo del lavoro sostitutivo conseguente alla conversione della pena pecuniaria disposta dal giudice di pace, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte nell’obbligo di permanenza domiciliare secondo i criteri di ragguaglio sopra indicati (art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 274/2000).
Riguardo infine al problema del rapporto tra conversione e prescrizione della pena, (considerato che può realizzarsi la prima solo se la seconda non si è ancora verificata), c’è da rilevare che, poiché il termine di prescrizione delle pene non è soggetto né a sospensione, né ad interruzione, ad eccezione di quanto previsto dall’art. 238, comma 5, T.U. (87), la sanzione sostitutiva andrà eseguita entro il termine in cui avrebbe dovuto esserlo la sanzione sostituita. Sicché, maturata la prescrizione, non resterà che prenderne atto con una pronuncia di accertamento da parte del giudice dell’esecuzione, pronuncia che può avvenire anche ad impulso d’ufficio, e quindi sollecitata dalla cancelleria che ne abbia notizia (88).
19. ANNULLAMENTO DEL CREDITO
L’irreperibilità del debitore, quale causa di annullamento del credito, rientra nella più ampia categoria dell’inesigibilità di cui all’art. 265, R.D. 23-5-1924, n. 827; tuttavia, quest’ ultima nel testo unico in materia di spese di giustizia non assume rilevanza riguardo al tema dell’annullamento, giacché essa rileva solo nella fase dell’esecuzione ad opera del concessionario e produce al contrario il discarico dal ruolo da effettuarsi con le modalità e nei termini visti in precedenza.
D’altra parte, non ha senso enucleare una categoria generale di credito inesigibile, visto che, per quanto riguarda la pena pecuniaria, l’in fruttuoso pignoramento sui beni del debitore apre le porte non alla rinuncia al credito, bensì alla conversione della pena (v. supra).
Nel testo unico è invece espressamente disciplinata l’ipotesi di irreperibilità del debitore. Tale condizione è individuata dall’art. 219 T.U. allorquando la notifica dell’invito al pagamento sia avvenuta ai sensi dell’art. 143 c.p.c., il quale disciplina la notificazione a persona di residenza, dimora o domicilio sconosciuti.
La regola generale è che in tal caso l’ufficio annulla il credito, previo parere conforme dell’Avvocatura dello Stato nel caso in cui l’importo superi quello previsto dall’art. 265, R. D. n. 827/1924, e cioè, attualmente, 2.582,28 euro. Tale regola, sancita dall’art. 219 T.U. contiene due importanti novità rispetto alla disciplina pregressa:
— non è più richiesto, come invece disposto in via generale dall’art. 265, R.D. n. 827/1924, che l’annullamento sia decretato dall’amministrazione finanziaria;
— si prende atto che, in forza dell’ari. 17, comma 26, L. 15-5-1997, n. 127 (L. Bassanini), non è più previsto come obbligatorio il previo parere del Consiglio di Stato (già stabilito per crediti superiori a 20.658,28 euro).
Si sottolinea inoltre che il legislatore del testo unico ha evitato accuratamente di considerare i crediti relativi agli irreperibili meramente sospesi, al fine di escludere che le cancellerie si ritenessero obbligate a riprovare la notifica di tanto in tanto, a causa delle possibili responsabilità conseguenti all’eventuale prescrizione dei crediti (89)
A norma dell’art. 265 u.c. R.D. n. 827/1924, i provvedimenti di annullamento sono sottoposti alla registrazione della Corte dei conti.
Disposizioni particolari sono poi dettate dall’art. 235 T.U. con riguardo alle sole pene pecuniarie, alfine di contemperare il carattere di irrinunciabilità della pena, che ispira anche le norme sulla conversione, con la necessità di evitare un inutile spreco di risorse nel tentativo di esazione. Posto il principio, derivante dall’art. 219 T.U. secondo cui se l’invito al pagamento è riferito alle spese e alle pene pecuniarie, si provvede all’annullamento del credito in caso di irreperibilità del debitore, a norma dell’ari. 235, comma i, T.U., l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo solo se, ovviamente nei limiti della prescrizione, il debitore dovesse risultare reperibile.
Più particolare è però la previsione dei due commi successivi, i quali, sfruttando le possibilità derivanti dall’applicazione delle disposizioni in tema di esecuzione di pene detentive, stabiliscono che nel caso in cui l’esecuzione riguardi reati per i quali c’è stata condanna a pena detentiva, ]‘ufficio, quando la notifica si ha per eseguita ai sensi dell’ari. 143 c.p.c., annulla il credito e rimette gli atti al pubblico ministero per l’esecuzione con il rito degli irreperibile. Quindi, solo nel momento in cui dovesse risultare reperibile il debitore, il pubblico ministero rimetterà gli atti all’ufficio per l’iscrizione a ruolo del credito.
La disciplina prevista per le pene pecuniarie è stata estesa dall’ari. 241 T.U. anche alle sanzioni amministrative pecuniarie, in virtù della loro equiparazione disposta dall’ari. 75, D.Lgs. 8-6-200 1, n. 231 (equiparazione che evidentemente non può riguardare né la conversione della pena né l’esecuzione di pene detentive); pertanto, qualora l’invito al pagamento sia riferito alle spese e alle sanzioni amministrative pecuniarie, dopo l’annullamento del credito ai sensi dell’ari. 219 TU., l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo solo se il debitore risulta successivamente reperibile.
A norma dell’art. 220 T.U., in tutti i casi in cui il credito è estinto legalmente, l’ufficio provvede direttamente all’annullamento ai sensi dell’art. 267, comma 1, R.D. n. 827/1924. Se il credito risulta già iscritto a ruolo, viene discaricato automaticamente, con le conseguenze indicate dall’art. 210 T.U. (senza quindi un formale annullamento del credito).
Tra le ipotesi di estinzione legale del credito, ricordiamo:
— l’intervenuta prescrizione del credito stesso (90);
— limitatamente alle pene pecuniarie, tutti i casi di estinzione del reato (91);
— riguardo alle spese di giustizia in materia penale, la morte del debitore (92);
— il credito fondato su una norma dichiarata incostituzionale(93).
Una particolare ipotesi di estinzione legale è individuata dall’art. 228 T.U., il quale si riferisce alle sole spese processuali e di mantenimento.
Riguardo a tali crediti, infatti, è previsto che per specifici importi non si proceda neanche alla notifica dell’invito al pagamento, anticipando pertanto l’annullamento al momento immediatamente successivo alla fase di quantificazione. Naturalmente, i predetti importi non devono riferirsi a quelli che costituiscono il residuo di un importo originariamente più elevato.
Per l’operatività della disposizione è necessario attendere la normazione secondaria, e cioè un regolamento da approvarsi con decreto del presidente della Repubblica, su proposta de] Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, che dovrà tener conto dei costi per la riscossione, anche con riferimento alle attività per le notifiche all’estero.
Nell’attesa, vale la disposizione transitoria dettata dall’art. 287 T.U.: per importi inferiori a quello previsto dall’ari. l2bis, D.P.R. n. 60211973, attualmente pari a 16,53 euro (94), l’ufficio non effettua l’iscrizione a ruolo in caso di inadempimento di crediti relativi a spese processuali e di mantenimento (e Cioè quando, a seguito dell’invito al pagamento, il debitore non paga l’importo dovuto) (95).
Quest’ultima regola è applicabile anche alle sanzioni pecuniarie processuali, giusto disposto dell’art. 229 T.U., ma questa volta non in via
transitoria, bensì come regola ordinaria.
20. VERSAMENTO DI SOMME
AGLI UFFICIALI GIUDIZIARI
A norma dell’art. 243 T.U., il concessionario, previa ritenuta della tassa del dieci per cento (96), versa alla fine di ogni mese all’UNEP (97) le somme relative a diritti e indennità di trasferta prenotate a debito (ai sensi degli artt. 33 e 131 T.U.), nonché le somme relative ai diritti per le notifiche in materia penale effettuate a richiesta di ufficio (ai sensi dell’art. 25 T.U.).
In caso di recupero parziale, tutti i crediti prenotati a debito e spettanti agli ufficiali giudiziari, come ad ogni soggetto diverso dall’erario, sono prelevati con privilegio di pari grado sulle somme riscosse (art. 245 T.U.).
Il nuovo sistema di riscossione ha inoltre lasciato immutata la regola per cui gli ufficiali giudiziari sono retribuiti anche «con una percentuale sui crediti recuperati dall’erario, sui campioni civili, penali e amministrativi e sulle somme introitate dall’erario per la vendita dei corpi di reato, in ragione del 15 per cento» (98).
Attualmente, le somme spettanti sono ripartite tra gli ufficiali giudiziari con le modalità indicate dall’art. 6 del C.C.N.L sottoscritto il 24-4-2002.
A seguito dell’abolizione dei servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari, fin dal 1998 era stato disposto che i concessionari comunicassero due volte al mese agli uffici giudiziari competenti le somme riscosse per i campioni penali e civili, affinché questi ultimi potessero compilare una proposta di liquidazione, comprensiva anche delle somme ricavate dalla vendita dei corpi di reato (99). Le proposte, unitamente all’indicazione del dirigente UNE? beneficiano, dovevano essere trasmesse all’Ufficio delle entrate competente, perché questi provvedesse alla liquidazione definitiva; infine, alla Direzione regionale delle entrate spettava l’emissione dell’ordinativo di pagamento, a cadenza bimestrale.
A decorrere dal l° gennaio 2002, la competenza alla liquidazione della percentuale sui crediti riscossi è passata dal Ministero dell’economia e delle finanze al Ministero della giustizia, mediante la gestione diretta di un apposito capitolo di bilancio; da tale data, è stato disposto che le proposte di liquidazione, entro il giorno cinque del mese successivo al bimestre di riferimento, fossero trasmesse al Ministero della giustizia per il tramite delle Corti di appello, in modo che in favore dei rispettivi presidenti, quali funzionari delegati, potessero essere predisposti i necessari ordinativi di accreditamento ai fini della successiva attribuzione agli uffici NEP (l00)
Il sistema di versamento delle percentuali agli ufficiali giudiziari è nuovamente mutato a seguito dell’entrata in vigore del testo unico in materia di spese di giustizia; l’ad. 246 TU. infatti stabilisce che «la percentuale spettante agli ufficiali giudiziari sui crediti recuperati relativi alle spese processuali, civili, amministrative e contabili, e alle pene pecuniarie, considerati al netto delle somme riversate a terzi, nonché sulle somme ricavate dalla vendita dei beni oggetto di confisca penale è liquidata, cori cadenza bimestrale, dai concessionari all’UNEP», secondo modalità e regole tecniche che dovranno essere stabilite con apposito decreto dirigenziale del Ministero della giustizia. In tal modo si è raggiunto lo scopo di semplificare al massimo la preesistente procedura; del resto, i concessionari sono in grado di pagare direttamente avendo tutte le informazioni utili: hanno l’evidenza del riscosso, detratte le somme spettanti a terzi, ed hanno l’evidenza delle somme ricavate dalla vendita dei beni confiscati (101).
21. RISCOSSIONE DEL CONTRIBUTO UNIFICATO
In caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato si applicano le disposizioni di cui agli artt. 247 e ss. T.U.: la cancelleria competente al recupero è quella presso il magistrato dove è stato depositato l’atto che ha reso necessario il pagamento o l’integrazione del contributo unificato.
Entro trenta giorni dal deposito del predetto atto, la cancelleria deve notificare alla parte, ai sensi dell’art. 137 c.p.c., e quindi a mezzo ufficiale giudiziario, l’invito al pagamento dell’importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra la dichiarazione resa e il corrispondente scaglione ovvero, mancando la dichiarazione, ai sensi dell’art. 13, comma 6, T.U., con espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese. Gli interessi decorrono dal deposito dell’atto cui si collega il pagamento o l’integrazione del contributo (art. 1 6 T.U.).
Nell’invito devono essere indicati il termine e le modalità per il pagamento; al debitore deve essere inoltre richiesto di depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall’avvenuto pagamento.
L’invito va notificato alla parte nel domicilio eletto o, nel caso che mancata elezione di domicilio, depositato presso l’ufficio.
Alla riscossione del contributo unificato si applicano le disposizioni relative alla riscossione mediante ruolo, contenute nello stesso testo unico o comunque da CSSO richiamate, e principalmente quelle relative a:
- il discarico automatico che tiene luogo dell’annullamento art. 210 T.U.);
- la correzione degli errori nella quantificazione dell’importo (art. 21 1, comma 2, TU.);
- l’iscrizione a ruolo (art. 213 T.U.);
- la comunicazione al concessionario e alla ragioneria provinciale, da parte della cancelleria, delle sopravvenute cause di sospensione o estinzione della riscossione (art. 214 T.U.);
- la sospensione della riscossione in caso di impugnazione del ruolo (art. 215 T.U.);
- il rimborso al concessionario per pagamenti indebiti (art. 216 T.U.);
- l’annullamento per irreperibilità (art. 219 TU.);
- l’annullamento per insussistenza (art. 220 T.U.);
- il rinvio alle norme relative ad altre entrate dello Stato (arti. 222- 227 T.U.);
- l’estinzione legale del credito, per determinati importi, all’atto della quantificazione (ari. 228 T.U.);
- il discarico automatico per inesigibilità (ari. 230 T.U.);
- l’eccezionale ipotesi di reiscrizione a ruolo del credito (ari. 231 T.U.);
- il recupero delle spese di riscossione unitamente al credito principale (art. 234 T.U.).
Tra le disposizioni richiamate dall’art. 249 T.U., non figurano quelle relative alla dilazione e rateizzazione del pagamento, in quanto il legislatore, come si è visto, ha stabilito la decorrenza degli interessi in caso di mancato spontaneo adempimento e di conseguente iscrizione a ruolo, così escludendo in radice la possibilità di differimento e rateizzazione (102).
(1) E vigono tuttora ai sensi delle disposizioni transitorie (v. infra).
(2) Cfr. nota Mm. Giust, n. 8/4180/60/2, in data 23-12-1997, Aff. Civ., Uff. IV.
(3) La materia relativa alle spese processuali anticipate dall’erario o prenotate a debito nel Caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato stata trattata nel cap. V.
(4) Per le sanzioni pecuniarie nel processo penale i riferimenti normativi sono:
- condanna alla perdita della cauzione (artt. 259, 262, 319, 320 c.p.p.);
- sanzioni disciplinari pecuniarie (artt. 133, 147, 231, 694, c.p.p.);
- dichiarazione di inammissibilità o rigetto (artt. 44, 48, 616, 634 c.p.p.);
Anche nel processo civile, come in quello penale, esistono norme, della stessa natura di quelle a Cui si riferisce l’art. 604 c.p.p., che comminano sanzioni pecuniarie:
- art 54, comma 3, c.p.c. (pena pecuniaria in conseguenza dell’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta l’istanza di ricusazione);
- art. 118 c.p.c. (rifiuto di souoporsi all’ispezione);
- art. 220 c.p.c. (pena pecuniaria a carico della parte che ha disconosciuto la scrittura verificata. 226 c.p.c. (pena pecuniaria per la parte querelante in caso di rigetta della quercia di falso):
- art.. 255 c.p.c. anche in correlazione con l’art, 106 disp. att. (pena pecuniaria per il testimone che non si presenta: possibilità di condanna al pagamento delle spese per la mancata presentazione);
- ari. 408 c.p.c. (condanna alla pena pecuniaria dell’opponente in caso di dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità della domanda di opposizione);
- art. 476 c.p.c. (pena pecuniaria a carico del cancelliere, notaio per violazione delle norme sulla spedizione in forma esecutiva).
(5) Si ritiene, al contrario, applicabile la disciplina del recupero nell’ipotesi di revoca della dichiarazione di fallimento, a norma dell’art. 147 TU.
(6) Circolari Min. Giust. 19-9-1924, n. 602/1985; 6-6-1930, n. 3208/602; 19-8-1935, n. 4746/ 602.
(7) Se però la custodia cautelare supera la durata della pena, sono detratte le spese relative alla maggiore durata.
(8) Art. 2, L. 26-7-1975, n. 354. Tale quota dal I’ agosto 1998 e aggiornata a euro 1,69 (Boll. Uff. Min. Giust. n. 20 del 31-10-1998).
(9)Art 145 c.p., arti,. 2 e 24, L. 26-7-1975, n. 354, ari,. 56, D.P.R. 30-6-2000, n. 230. In particolare, l’art. 24, comma 2, L. n. 354/1975 dispone che In ogni caso deve essere riservato a favore dei condannati una quota pari a tre quinti. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti, o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili della amministrazione.
(10) Art. 213, comma 4, c.p., art.. 2, L. n. 354/1974.
(11) Generalmente conosciuto come 2regis1ro mod. 12” Sull’argomento, v. cap. VI.
(12) Quando un imputato è assolto ed altro condannato in uno stesso procedimento, non possono essere poste a carico dell’imputato condannato le spese processuali che trovano la loro causa nella posizione dell’imputato assolto (Cass. 29-10-1965, in Cass. pen. Mass., 1996, 330, 460).
(13) In G.U. — Serie Generale— n.. 303 del 28-12-2002.
(14) Tale decreto e stato abrogato dall’art. 301 TU.
(15) Il Ministero della giustizia — Aff. Civ Uff. VIII, con circolare 6-1 1-89 prot. n. 8/2714/91 ci ha chiarito che:
“L’applicazione della forfetizzazione secondo la tabella allegata e riferita ad ogni singolo condannato a prescindere dalla possibilità che, nell’ambito dello stesso modello processuale che conclude il giudizio, vi siano più condannati definitivi. 1 questa la maggiore semplificazione introdotta col nuovo sistema, di seguito a complesse valutazioni che hanno dovuto tenere presenti difficili aspetti giuridici della innovazione».
Secondo la circ. n. s./36, in data 8-10-1993, del Mi Giust., la pluralità dei soggetti condannati non incide sulla piena applicazione del principio forfettario, la cui ratio è sostanzialmente quella di svincolare l’entità della somma dovuta dal numero dei soggetti concretamente interessati al rapporto.
(16) Circ. n. 3/2002, in data 13-5-2002, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust.
(17) Circ.. n. 3/2002, cit. Per le critiche a questa posizione, si legga A. Cardillo, contributo unico e recupero dette spese nei procedimenti penati (inclusi quelli dinanzi al giudice di pace), in Rivista delle Cancellerie, 2002. pag. 161 ss.
Prima dell’emanazione del D.M. n. 285/2002, per i procedimenti penali innanzi al giudice di pace, evidentemente non contemplati nel regolamento dell’89, si è ritenuto transitoriamente applicabile la tariffa prevista per i procedimenti celebrati innanzi al tribunale in composizione monocratica (in tal senso la circolare n. 592, in data 21-12-2001, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust). Anche in tal caso, peraltro, è stata richiamata la necessità di procedere al necessario scorporo., alla luce delle disposizioni introdotte dall’ari 9, L. n. 488/1999.
(18) Corte costituzionale, sentenza n. 98 del 26-3/6-4-1998. In precedenza, la non trasmissibilità dell’obbligazione era riferita alle sole spese di mantenimento in carcere (art 188 c.p.).
(19) Cass. pen. 1-3-1966, in Cass. pen. Mass. 1966, 1352, 2080.
(20) Nota n. 8/4138/109. in data 5-12-1991, del Min. Giust., Aff. Civ., Uff. VIII.
La stessa Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione dovendo decidere circa l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 c.p. nella parte in cui non prevede l’estinzione del debito di rimborso delle spese processuali in caso di revoca del provvedimento di condanna conseguente ad una aboltio criminis: Ebbene, la Corte, con ordinanza n. 57 del 13-3-2001, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione proposta sull’indubbia considerazione che l’articolo censurato non dispone affatto la sopravvivenza delle spese processuali alla declaratoria di estinzione, e che il giudice remittente aveva già a disposizione tutti gli strumenti interpretativi per giungere ad una simile conclusione.
La medesima Corte, inoltre, con sentenza 23/31-5-2001, n. 169. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ari. 101, comma 2, D.Lgs.30-1 2-1999, n. 507 Depenalizzazione dei reali minori e riforma del sistema sanzionatorio — in quanto è apparsa irragionevole la disparità di trattamento dei condannati alla pena pecuniaria inflitta con sentenza passata in giudicato prima della depenalizzazione, per i quali la norma contestata aveva disposto la riscossione della pena con le forme dell’esecuzione penale, rispetto ai condannati a pena detentiva, per i quali l’abolitio criminis comporta, invece, la totale cancellazione degli effetti della condanna stessa.
Sulla sorte delle spese processuali nell’ipotesi di revoca del provvedimento di condanna ex art. 101, D.Lgs. 507/1999, si legga P. Sturiale, La depenalizzazione ed i suoi effetti sulla condanna dell’imputato al pagamento delle spese, in Rivista delle Cancellerie, 2002, pagg. 283 ss.
(21) Con sentenza 3-12-1993, n. 423, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’ari, 427, comma 1, c.p.p., nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell’imputato perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell’esercizio del diritto di querela.
(22) In tal senso la nota n. 840/20001V, in data 7-3-2000, del Miri. Giust., Aff. Civ.
(23) Ordinanza n. 59 del 13-3-2001.
(24) La disciplina del recupero di somme pagate dall’erario, per il caso di revoca, è costruita come sanzione» e, quindi, prescinde dalle disposizioni relative al recupero delle spese processuali in conseguenza di un provvedimento di condanna. Per fare un esempio, il revocato dal beneficio, anche se assolto, deve restituire tutto ciò che è stato anticipato, mentre per il condannato non revocato tutte le spese rimangono a carico dell’erario, anche quelle che — se non fosse stato ammesso al patrocinio — sarebbero state recuperate nei suoi confronti.
(25) In tal senso si era espressa già la Cassazione a più riprese (da ultimo, Cass. Pen. Sez. VI. 29-4-1997, n. 4864; Sez. IV, 17-12-1993, n. 1548; Sez. I, 1-5-1993, n. 7127; ma contra, Sez. IV, 4-12-2000, n. 5404 - limitatamente, però alle spese di custodia cautelare, in quanto distinte da quelle di mantenimento in carcere in espiazione di pena definitiva).
Sulla questione, si veda anche Cass. Pen. Sez. IV, 15-10-1997, n. 10342, ove si precisa che in tema di patteggiamento il principio secondo cui le spese di mantenimento in carcere dell’imputato durante la custodia cautelare devono essere poste a suo carico non si applica al caso in cui il provvedimento restrittivo sia stato precedentemente annullato in via del definitiva dal tribunale del riesame, non potendosi da un provvedimento illegittimo farsi derivare un onere a carico di chi l’ha ingiustamente subito.
(26) Ai fini del trattamento premiale previsto dal codice, alla sentenza di patteggiamento è equiparata la sentenza che accoglie il patteggiamento solo all’esito del dibattimento, avendo il giudice ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero (Cass. Pen. Sez.. III, Sent. 17—4/ 3 1-5-2002, n. 21406).
(27) Il Ministero della giustizia, con la circolare n. 14/96, in data 15-4-996, aveva assunto sul tema una posizione di netto contrasto rispetto alle conclusioni cui era pervenuta la S.C. in tema di spese di custodia e conservazione dei reperti, ma con la circolare n. 1/2001 in data 2-3-2001 ha invertito la rotta, accogliendo la tesi che le predette spese non rientrano tra quelle del procedimento e, quindi, sotto escluse dal trattamento premiale. Pertanto, salvo il caso in cui il giudice li abbia autonomamente poste comunque a carico dell’Erario, in ogni altro caso la cancelleria dovrà provvedere al recupero delle spese di custodia e conservazione delle cose sequestrate e, in caso di omissione di provvedimento di condanna alle spese, il giudice stesso potrà azionare anche d’ufficio, la procedura di correzione di errore materiale ex art. 130 c.p.p.. La circolare si conclude con la precisazione che, per quanto possibile, le nuove disposizioni ministeriali andranno applicate anche a quei procedimenti per i quali la cancelleria non ha provveduto al recupero in ottemperanza alle precedenti direttive.
(28)Cfr.Cass.10-l1-1964, in Cass. pen. Mass. annoiato 1965, 419. Sono altresì da recuperare le spese occorse per l’esecuzione di pene successivamente estinte per amnistia, indulto, condono ()altra causa estintiva (si pensi ad esempio alle spese necessarie per la pubblicazione della sentenza); tali spese, da non confondersi con quelle processuali», sono infatti basate su un titolo autonomo e, in quanto legittimamente sostenute prima del verificarsi della causa estintiva delle pene, non seguono l’effetto estintivo di queste ultime (in tal senso la circolare Mm. Giusi. — Aff. Civ. — n. 11/97, in data 17-12-1997).
(29) In tal senso Cass., SU., n. 1181/95 del 5-7-1995.
(30) Circolare n. 19/94, in data 17-10-1994, confermata dalla successiva circolare n. 5/95, in data 4-4-1995, e dalla nota n. 8/3148/171, in data 8-1 1-1995.
(31) Così si esprimeva la citata circolare n. 19/94.
(32) Cass. Sei. TV, Seni. 27-1-1999, n. 3399.
(33) Circolare n. 1/2000, in data 6-3-2000.
(34) Nota n. 22l3/991U, in data 8-9-1999, del Min. Giust., Aff. civ.
In ordine a tale presa di posizione, notevoli perplessità sono state manifestate in dottrina, soprattutto alla luce di alcune recenti pronunce della Corte Costituzionale. Si legga sul tema, Fabrizio Giulimondi, Natura del pagamento delle spese processuali in relazione all’amnistia ed alla depenalizzazione, in Rivista delle Cancellerie, 2001, pagg. 495 C ss.
(35) Cass.,S.U., 16-9-1995, n. 27.
(36) A tale proposito, come dispone l’art. 128 TU., il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato ha l’obbligo, disciplinarmente sanzionato, di far dichiarare l’estinzione dello stesso se cancellato dal ruolo, ai sensi dell’art. 309 c.p.c.
(37) La ratio di tale previsione è rinvenibile nella circostanza che, essendo l’estinzione fenomeno che ordinariamente consegue alla rinunzia agli atti del giudizio, ovvero all’inattività delle parti, è parso giusto al legislatore che la parte la quale abbia dato impulso al giudizio (o al singolo grado di esso) con l’atto introduttivo o con l’‘impugnazione, e che successivamente rinunci al giudizio o lo lasci estinguere per inattività, sopporti per intero le spese prenotate a debito.
(38) Si ritiene che la legge voglia riferire la previsione di solidarietà - oltre che alla diserzione bilaterale dell’udienza — alle ipotesi di estinzione o, comunque, (li venir meno del giudizio, non direttamente imputabili alla negligenza o alla deliberata volontà di una delle parti, come ad esempio nei casi di cessazione della materia del contendere derivanti da fatti o circostanze diversi dalla transazione (si pensi alla morte di uno dei coniugi in pendenza del processo del divorzio).
(39) Si tratta di coloro che sarebbero credi testamentari o legittimi, se l’assente fosse morto nel giorno a cui risale l’ultima notizia sul suo conto, o i toro rispettivi eredi, nonché i legatari, i donatari e tutti quelli ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell’assente
(41) Si fa riferimento al provvedimento definitivo, oltre che passato in giudicato, volendo ricomprendere anche quei provvedimenti diversi dalla sentenza, su cui si fonda il diritto al recupero, come ad esempio l’ordinanza che commina una sanzione pecuniaria al teste.
(42) V. circolare n. 6/2002, in data 8-10-2002, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust.
(43) Non sembrano al contrario rilevanti ai fini del recupero delle pene pecuniarie le disposizioni che nell’individuare il giudice dell’esecuzione, nel caso di pluralità di provvedimenti da eseguire, stabiliscono la prevalenza del giudice ordinario su quello speciale, del giudice collegiale su quello monocratico, del giudice togato sul giudice di pace (art. 665, commi 4 e 4 bis, c.p.p, e art. 40 D.Lgs. 28-8-200 n. 274).
(44) Ai sensi dell’ari. 208, n.. 2, RD. 23-l2-1965, n 2701 (ora abrogato) “le pene pecuniarie, indennità e spese relative per contravvenzione alle leggi ed ai regolamenti sopra le dogane, le gabelle ed i dazi” non sono comprese tra le pene pecuniarie riscosse dai cancellieri (e ora dai concessionari del servizio riscossione tributi) mentre l’art. 1, L.. 26-8 1668 n.. 4548, anch’esso abrogato dal testo unico, disponeva “la riscossione delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia nelle cause per contravvenzione delle leggi sui dazi di confine e sui dazi di consumo in diretta amministrazione dello Stato, o sulla privativa dei sali, dei tabacchi e della polvere da sparo, è affidata alle direzioni delle gabelle, le quali vi provvederanno a mezzo dei propri contabili.
(45) V. nota n. 649/200l/U in data 21-2-2001, del Min. giust. Aff. Civ., la quale richiama le precedenti circolari del Minisero delle finanze Direzione Generale delle dogane, n. 38, in data 10-3-1958 e n. 519, in data 7-7-1972. Appare evidentemente inopportuna, scriveva il Ministero, una prassi anministrativa che applichi la pena stabilita da un’unica sentenza per luna stessa violazione attraverso gli organi di due diversi Ministeri.
(46) Si ritornava invece alla competenza ordinaria per le decisioni in tema di rateizzazioni della pena (non disposta in sentenza) o differimento del pagamento, nonché di conversione della pena pecuniaria (v. infra). In tal senso si erano espressi l’Avvocatura Generale dello Stato, con il parere n. 15334-5, in data 1-2-1997, nonché con successivo parere del 6-5-1997, e l’allora Ministero delle Finanze, Dir. Centr. Servizi doganali, con la circolare n. 170/D, in data 16-6- 1997.
(47) In applicazione della nuova disciplina, poiché il pagamento della multa o dell’ammenda non esime dall’obbligo del pagamento dei diritti doganali, salvo il caso in cui la merce oggetto del contrabbando sia stata sequestrata (in tal senso disponendo l’art. 338, D.P.R. 23-1-1973, n. 43), vi è il concreto rischio che gli uffici finanziari, ormai estranei al procedimento di riscossione, richiedano al condannato il pagamento del contributo evaso, anche quando questo resta assorbito dal sequestro del bene oggetto di contrabbando. È per questo motivo che l’art.. 221 TU. dispone che la cancelleria procedente provveda a tenere informato l’ufficio finanziario in ordine alle vicende relative all’eventuale sequestro della merce oggetto del contrabbando.
(48) La trasmissione del Mod. 38, in duplice copia di cui una per ricevuta, doveva avvenire alla fine di ogni trimestre e comunque al termine dell’espiazione della pena.
(49) V. nota Min. Giust., Aff. civ., Uff. IV, n. 2398/19.980, in data 8-6-1964.
(50) In tal senso la circolare n. 6/2002, in data 8-10-2002, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust.
(51) Cfr. la relazione ministeriale al testo unico, con riguardo in particolare alla Parte V.
(52) L’argomento relativo ai registri di cancelleria è trattato più approfonditamente nel cap. XV.
(53) Con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia è determinato il momento, collegato allo stato dell’informatizzazione ed eventualmente differenziato sul territorio, in cui non si terrà più il foglio delle notizie (art. 280, comma 3, T.U.).
(54) Circ. n. 4/2002, in data 28-6-2002, del Min. Giust, Aff. Giust.
(55) Il modello ufficiale è stato approvato dal D.M. (Giustizia) 1-12-200 1. Tale registro corrisponde al c.d. registro campione civile (ex mod. 20), di cui si è detto nel cap. X.
(56) Il numero dell’articolo di campione deve essere riportato sulla copertina del fascicolo del campione, sulla copertina del fascicolo processuale, a margine della sentenza o del decreto penale di condanna e sul registro generale.
(57) Non c’è dubbio che la disposizione sul foglio delle notizie costituisce una generalizzazione di quella già prevista, per la materia penale, dall’ormai abrogato art. 200 disp. Att. c.p.p.; riguardo alla distinta prevista da quest’ultima norma, al fine di responsabilizzare gli operatori, era stato stabilito che essa dovesse essere inserita nel fascicolo processuale sin dalla sua formazione: infatti, nel caso di effettiva anticipazione delle spese, le stesse andavano annotate, mentre in caso negativo, la cancelleria o la segreteria doveva effettuare un’attestazione in tal senso nel modulo della distinta (in tal senso, la nota n. 8/63(U)40 Ques(99), in data 24-1-2000, del Min.. Giust., Aff. civ., Uff. VIII).
(58) Alla notifica dell’invito al pagamento si applica la disciplina della notifica a richiesta d’ufficio del processo in cui è inserita (art. 22 TU.).
(59) Con provvedimento dell’Agenzia delle entrate in data 14-1 1-2001 (in Gazz. Uff., 19-11- 2001, n. 269), è stato approvato il nuovo modello F23, e le relative istruzioni, per il pagamento in curo di tasse, imposte, sanzioni e altre entrate, utilizzabile a decorrere dal 1 gennaio 2002 in sostituzione dei precedenti modelli F23 in lire e in curo, approvati con D.M. 17-12-1998. Il modello è reso disponibile gratuitamente in formato elettronico e può essere prelevato dai siti internet www.finanze.it e www.agenziaentrate.it nel rispetto, in fase di stampa, delle caratteristiche indicate nel provvedimento.
(60) V. nota Min. Giust. n. 8/988/(u)/60/2, in data 27-4-1999.
(61) Si pensi alle competenze spettanti agli ufficiali giudiziari (es.: art. 33 u.c. TU.) ovvero agli onorari spettanti agli ausiliari dei magistrati (art. 131, comma 3, T.U.) nel patrocinio a spese dello Stato in materia civile.
(62) Art.12,commi 1, 2 e 4, D.P.R. 602/73 “Formazione e contenuto dei ruoli”: L’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno i1 domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce.
2. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono stabiliti i dati che il ruolo deve contenere, i tempi e le procedure della sua formazione, nonché le modalità dell’intervento in tali procedure del consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari.
4. Il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato. Con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo.
Art. 24, D.P.R. n. 602/1973 “Consegna del ruolo al concessionario”: 1. L’ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce secondo le modalità indicate con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.
2. Con lo stesso o con separato decreto sono individuati i compiti che possono essere affidati al consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari relativamente alla consegna dei ruoli e le ipotesi nelle quali l’affidamento dei ruoli ai concessionari avviene esclusivamente con modalità telematiche.
(63) Circ. n. 4/2002, in data 28-6-2002, del Min. Giust., Dip. Aff, Giust.
(64) Il concessionario, previe ritenute secondo le previsioni legislative, versa i crediti prenotati a debito ai soggetti che ne sono titolari, entro un mese dalla riscossione (art. 244 TU.).
In caso di recupero parziale, tutti i crediti di soggetti diversi dall’erario prenotati a debito sono prelevati con privilegio di pari grado sulle somme riscosse (art. 245 T.U.).
(65) In tal senso dispongono l’art. 234 T.U.. e l’art. 48, D.P,R. n. 602/1973.
(66) Art. 215 TU., che richiama l’ari. 28, D.l.gs. 26-2-1999, n. 46.
Sulle garanzie giurisdizionali e l’eventuale sospensione della riscossione, si vedano gli artt. 57, comma 2, e 60, D.P.R. n. 602/1973, nonché l’ari. 29, D.Lgs. n. 46/1999. In particolare, nella forma dell’opposizione all’esecuzione saranno proponibili le questioni attinenti all’esistenza, alla validità, alla sufficienza del titolo esecutivo (costituito dal ruolo esattoriale); nella forma dell’opposizione agli atti esecutivi si potranno invece far valere le questioni attinenti alla procedura (dalla quantificazione delle spese alla mancata rituale notifica dell’invito al pagamento o della cartella di pagamento, all’estinzione legale del credito).
Non è al contrario autonomamente impugnabile l’invito al pagamento trattandosi di atto che non prelude all’esecuzione forzata ma alla riscossione mediante ruolo esattoriale.
(67) Sulla procedura di discarico e la reiscrizione nei ruoli, si veda l’art. 20, commi I, 2, 3, 4 e 6, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112.
Ai sensi dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 112/1999, costituiscono causa di perdita del diritto al discarico:1I ) la mancata notificazione imputabile al concessionario, della cartella di pagamento, entro il quinto mese successivo alla consegna del ruolo ovvero, quando la somma da iscrivere a ruolo è ripartita in più rate su richiesta del debitore, entro il terzo mese successivo all’ultima rata indicata nel ruolo; 2) la mancata comunicazione all’ente creditore, anche in via telematica, Con cadenza annuale, dello stato delle procedure relative alle singole quote comprese nei ruoli consegnati in uno stesso mese; la prima comunicazione è effettuata entro il diciottesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo, Tale comunicazione è effettuata con le modalità stabilite con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze; 3) la mancata presentazione, entro il terzo anno successivo alla consegna del ruolo, della comunicazione di inesigibilità ne è soggetta a successiva integra/bue se, alla data della sua presentazione le procedure esecutive sono ancora in corso per causa non imputabile al concessionario; 4) il mancato svolgimento dell’azione esecutiva su tutti i beni del contribuente la cui esistenza, al momento del pignoramento, risultava dal sistema informativo del Ministero dell’ economia e delle finanze, a meno che i beni pignorati non fossero di valore pari al doppio del credito iscritto a ruolo, nonché sui nuovi beni la cui esistenza è stata comunicata dall’ufficio ai sensi del comma 4; 5) il mancato svolgimento delle attività conseguenti alle segnalazioni effettuate dall’ufficio ai sensi del comma 4; 6) la mancata riscossione delle somme iscritte a ruolo, se imputabile al concessionario: sono imputabili al concessionario e costituiscono causa di perdita del diritto ai discarico i vizi e le irregolarità compiute nell’attività di notifica della cartella di pagamento e nell’ambito della procedura esecutiva, salvo che gli stessi concessionari non dimostrino che tali vizi ed irregolarità non hanno influito sull’esito della procedura.
(68) L’importo massimo è adeguato ogni biennio, in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati verificatasi nel biennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.
(69) La reiscrizione prevista dall’art. 231 TU. costituisce una particolare applicazione dell’art. 20, comma 6, D.Lgs. n. 112/1999.
Le disposizioni sulla reiscrizione a ruolo sono applicabili anche alle sanzioni pecuniarie amministrative, di cui al D,Lgs. n. 231/2001, in virtù del richiamo effettuato dall’art. 242 TU.
(70) Artt. 17,comma 6,e 26, D.Lgs. n. 112/1999.
(71) Cfr art. 26, D.Lgs. n. 46/1999.
(72) Il decreto dirigenziale dovrà individuare criteri e modalità in modo da tener conto della condizione del debitore, e dovrà altresì stabilire le modalità delle comunicazioni al concessionario (art. 233 TU.).
(73) Art. 21,commi 1 e 2, e art. 22, D.P.R. n. 602/1973, richiamati dall’art. 232, comm 5, TU.
(74) La circolare n. 8/522/94 A.. 88, in data 3-3-1990, del Min. Giust., Aff. civ., Uff. VIII, ha chiarito che in caso di pluralità di condannati, solidalmente tenuti al pagamento delle spese processuali, la quota parte del debito complessivo che sarebbe stata a carico del beneficiano, deve essere dedotta dall’ammontare della somma rimasta a carico degli altri condebitori solidali.
(75) Art. 106, D.P.R. 30-6-2000, n. 230. Tale articolo, in verità, stabilisce che la comunicazione vada fatta alla cancelleria del giudice dell’esecuzione: in realtà, alla luce di quanto disposto dall’art. 208 TU. (v. supra), non sempre questa cancelleria anche competente alle attività connesse col recupero.
(76) Fino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 21-11-1979, in caso di insolvenza del condannato la pena pecuniaria della multa o dell’ammenda era convertita, rispettivamente, nella pena detentiva della reclusione o dell’arresto.
(77) Corte cost., Sent. 18-6-1971, n. 149. In caso di fallimento, infatti, il condannato non è in grado di disporre del suo patrimonio per fatto indipendente dalla sua volontà.
Del resto, per qualsiasi credito vantato dall’erario il concessionario ha la possibilità di insinuarsi nel passivo fallimentare, a norma dell’art. 33, D.Lgs. n. 112/1999.
(78 Si ritiene che l’applicazione del quarto comma dell’art. 665 c.p.p., come dei commi da due a quattro dell’art. 40, D.lgs. n. 274/2000, sia limitata allo specifico caso in cui la pena pecuniaria da convertire riguardi più provvedimenti emessi da giudici diversi (si pensi ad una pena pecuniaria oggetto di cumulo ovvero all’applicazione delle disposizioni sul reato continuato). Peraltro, la Cassazione, sulla questione della declaratoria di estinzione del reato, e pervenuta all’opposta decisione di considerare sempre e comunque competente il giudice che ha emesso la sentenza divenuta definitiva per ultima, anche se il provvedimento richiesto riguardi (secondo la SC. “solo apparentemente”) un unico provvedimento giacché solo il predetto giudice à in grado di conoscere la complessiva vicenda esecutiva del soggetto interessato (Cass. penale, Sez. I, Sent. 2586/2002, del 2/11-7-2002).
(79) Art., 36, D..Lgs. n. 112/1999 “Trasmissione dei flussi informativi”: 1. Entro la fine di ogni mese il concessionario trasmette al soggetto creditore che ha formato il ruolo, anche per via telematica, e con le modalità stabilite con decreto ministeriale, le informazioni relative allo svolgimento del servizio e all’andamento delle riscossioni effettuati nel mese precedente. 2. Eventuali anomalie rilevate dall’analisi delle informazioni di cui al comma1 , sono segnalate al competente ufficio del Ministero delle finanze per l’adozione dei provvedimenti conseguenti anche, se del caso, di tipo sanzionatorio.
Il Decreto Ministeriale 22-10-1999 (in Gazz. UFF, 29-10-199, n. 255) (del Direttore generale del Dipartimento delle entrate) riguarda la «Determinazione delle modalità di trasmissione, da parte dei concessionari della riscossione, della comunicazione di inesigibilità, dello stato delle procedure esecutive riguardanti le quote dei ruoli ricevuti in carico e delle informazioni relative allo svolgimento del servizio e all’andamento delle riscossioni, ai sensi degli articoli 19, commi 1 e 2, lettera h), e 36, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112».
(80) Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale la conversione è stata differita (art. 238, comma 5, T.U.).
(81) Il discarico automatico, ai sensi dell’art. 210 TU., comporta l’automatica eliminazione dalle scritture patrimoniali dei crediti erariali, non occorrendo alcun provvedimento di annullamento del credito (previsto dall’art. 265, comma 3, R.D. 23-5-1924, n. 827).
In nessun caso, tuttavia, dovrà ritenersi estinto il credito relativo alle spese sostenute per il recupero della pena pecuniaria successivamente convertita, in quanto la conversione della pena non incide in alcun modo sulle spese a suo tempo legittimamente sostenute.
(82) La Corte costituzionale, con sentenza 21-6-1996, n. 206, ha fatto cadere il limite massimo di pena pecuniaria (pari agli attuali 516,46 euro), oltre il quale , a norma dell’art. 102, L. n. 689/81, non era possibile convertire la pena pecuniaria in lavoro sostitutivo.
(83) Tale attività si svolge nell’ambito della provincia in cui il condannato ha la residenza, per una giornata lavorativa per settimana, salvo che il condannato chieda di essere ammesso ad una maggiore frequenza settimanale.
(84) La Corte costituzionale, con sentenza 23-12-1994, n. 440, ha dichiarato, l’illegittimità costituzionale dell’art. 102, comma 3, 1.. n. 689/1981, nella parte in cui stabilisce clic, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per l’insolvibilità del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando 12,91 euro, o frazione di tale importo, anziché 38,73 euro, o frazione di tale importo, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata.
(85) Disciplinato dall’art. 54, D.Lgs. 274/2000.
(86) In tal caso non è applicabile al condannato il divieto di cui all’art. 53, comma 3, D.Lgs. n. 274/2000.
(87) A norma del quale, ai finì dell’estinzione della pena per decorso del tempo, non bisogna tenere conto del periodo durante il quale l’esecuzione è stata differita.
(88) La problematica è stata affrontata dalla nota n. 433/991U, in data 8-2-1999, Mi Giusi., Aff. Civ. In essa non si esclude una diversa soluzione, anche tenendo presente che la questione concerne l’interpretazione e l’esecuzione di norme giuridiche, e pertanto sono rimesse all’esclusiva valutazione del giudice.
(89) Cfr la relazione ministeriale al testo unico e segnatamente il commento all’art. 219 TU.
(90) La prescrizione è di norma decennale. L’:ammenda però si prescrive in cinque anni, a meno che non ricorrano le condizioni indicate dal comma 1 dell’art 1 73 c. p.
(91) Come già ricordato in precedenza, quando vi è revoca del provvedimento di condanna per abolizione del reato, non si recupereranno neanche le spese processuali (nota n. 8/4138/109, in data 5-12-1991 del Min. Giust. Aff. Civ., Uff, VIII
(92) Corte cost.. Sent, n. 96 del 26-3/6-4-1998. In sostanza, prima di tale sentenza i debiti per spese di giustizia si trasmettevano agli eredi, prevedendosi un’ipotesi di annullamento dell’artico di campione solo in caso di debitori deceduti in stato di povertà. A parere della Cori e dopo la riforma dell’ordinamento penitenziario, che ha introdotto l’istituto della remissione del debito, l’obbligazione relativa alle spese processuali deve essere considerata non più alla stregua delle obbligazioni civili, ma piuttosto una vera e propria sanzione economica accessoria alla pena, e conie tale essa non può non partecipare al carattere della personalità che e propria di tutte le pene.
(93) La questione è stata posta di recente, a proposito del procedimento di separazione personale dei coniugi, divenuto totalmente esente in virili della sentenza della Corte Costituzionale n. 154 del 1(1-5-1999: quale sarebbe stata dunque la sorte degli articoli di credito relativi alle spese prenotate a debito prima della richiamata sentenza? Il Ministero della giustizia (Aff. Civ., Segreteria), con la nota 1352/2001/U, in data 9-4-2001, si e espresso chiaramente per un generalizzato annullamento di tutti gli articoli pendenti alla data della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, giacché non vi sono dubbi sull’efficacia retroattiva della pronuncia di incostituzionalità, fatte salve le situazioni giuridiche già consolidate (tra le quali, certamente non possono annoverarsi i procedimenti di recupero delle spese di giustizia, ancorché afferenti processi conclusi con sentenze gia passate in giudicato).
(94) Importo determinato dal D.P.R. 16-4-1999, n. 129, e riferibile alle spese di giustizia sulla base del rinvio contenuto nell0art. 18 D.lgs n. 46/19998.
(95) Si chiarisce che mentre l’art. 12 bis citato prevede — per un importo determinato — un meccanismo di estinzione riferito all’iscrizione a rulo, la provvisionale dell’art 228 T.U.. (che riprende una disposizione introdotta dall’art. 80, L.. 21-11-2000, n. 342) assorbe e vanifica la precedente norma generale: da ciò l’operatività transitoria della prima, rispetto alla seconda. Infatti non è ragionevole che nell’ordinamento esistano in relazione agli stessi crediti (spese processuali e di mantenimento). due meccanismi di estinzione, fondati sull’importo, che operano rispetto a momenti diversi. È evidente che quello che estingue il credito in un momento antecedente (all’atto della quantificazione del credito) assorbe quello che faceva scattare l’estinzione in un momento successivo, (l’iscrizione a ruolo).
(96) Prevista dall’art. 154, D.P.R. 15-12-1959, n. 1229.
(97) Con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia sono stabilite le modalità e, tenendo conto del D-P-R. 13-2-2001, n. 123, le regole tecniche telematiche per il versamento.
Le somme sono ripartite ai sensi dell’art. 138, commi 4, e 6, D.P.R. n. 1229/1959.
(98) La disposizione, gia prevista dall’art. 122, D.P.R 15-12-1959, n. 1229, e stata riconfermata dagli artt. 2 e 3 del C.C.N.L. relativo alle norme di raccordo per gli ufficiali giudiziari, sottoscritto il 24-4-2002.
(99) Circolare n. 1998/74869, in data 2-6-1998, del Min. finanze.
(100) Si leggano sul tema le circolari n. Vl/474/035/09, in data 28-3-2002, e VI/1039/035/MR, in data l9-6-2002
(l01) Tale sistema per la sua estrema semplicità e celerità, è stato utilizzato, anche se solo in via transitoria, anche per il versamento delle somme spettanti alla cassa di previdenza dei cancellieri (pari allo 0,9% delle somme spettanti alla cassa di previdenza degli accertatori dei reati finanziari (artt. 291 e 292 T. U.).
(102) Cfr il commento all’art 249 del T.U. contenuto nella relazione ministeriale al lesto unico.
L’attività di recupero è stata tradizionalmente curata dai servizi del Campione penale e del campione civile: più specificamente, il termine «Campione» indicava il registro su cui erano iscritte le partite di credito vantate dall’erario, uno per la materia penale — il Mod. 29— ed uno per la materia civile — il Mod. 20. Peraltro, tra i due settori vigevano sistemi differenti (1):
— in ambito penale tutte le spese effettuate in corso di causa non venivano annotate in alcun registro (salvo che per il registro delle spese anticipate dall’erario, con funzione però di mera registrazione degli ordinativi di pagamento), ma annotati semplicemente nel fascicolo processuale; soltanto alla fine del procedimento, sopraggiunto un provvedimento irrevocabile di condanna, le spese venivano precisate nel loro ammontare per essere quindi assunte in carico nel registro campione penale, unitamente all’eventuale pena pecuniaria da riscuotere;
— in ambito civile, vigeva invece il sistema della prenotazione, consistente nell’immediata iscrizione dell’importo della spesa, a mano a mano che veniva compiuto l’atto che dava luogo alla spesa stessa, nel registro campione civile, per poi recuperarle unitariamente al termine della procedura.
in entrambe le ipotesi, poi, alla chiusura del procedimento seguiva, a determinate condizioni, la fase della riscossione. Nel sistema antecedente al D.Lgs. 8-7-1997, n. 237, tale riscossione era demandata alla amministrazione finanziaria, la quale, tuttavia, vi provvedeva a mezzo dei cancellieri e degli agenti demaniali dipendenti, salvo specifiche eccezioni. in sostanza, per il carattere finanziario dell’attività, il cancelliere era equiparato all’agente delle finanze (art. 205, R.D. 23-12-1865, n. 2701), e come tale dipendeva funzionalmente anche dal Ministero delle finanze. Con gli artt. 1 e 2, D.Lgs. n. 237/1976 è stato disposto che, a partire dal l gennaio 1998, gli adempimenti, già di competenza degli uffici del Ministero delle finanze, in materia di riscossione, contabilizzazione e versamento di tutte le entrate (tra cui rientrano le sanzioni inflitte dalle autorità giudiziarie e amministrative e tutte le altre somme a qualsiasi titolo riscosse dagli uffici finanziari), sono curati dai concessionari del servizio riscossione tributi. A seguito dì tale riforma, è da ritenersi cessata la funzione del cancelliere quale agente delle finanze (2).
Il testo unico in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30-5-2002, n. 112, di seguito T.U.), entrato in vigore il 1° luglio 2002, si è posto ulteriori fondamentali obiettivi:
— razionalizzare ed uniformare la disciplina della riscossione sia in materia penale sia civile, raccordandola con quella prevista in generale per tutte le entrate dello Stato, ma salvando nel contempo le disposizioni speciali giustificate dalla specificità delle spese processuali e delle pene pecuniarie;
— eliminare qualsiasi disciplina specialistica (come ad esempio quella relativa alla riscossione nei procedimenti relativi a reati finanziari), ritenuta non più indispensabile;
— ripulire l’ordinamento dalle vecchie disposizioni in modo che la certezza dell’abrogazione eliminasse in radice i dubbi interpretativi sulla
compatibilità o meno delle vecchie procedure con le nuove.
2. AMBITO DI APPLICAZIONE
Il testo unico n. 11 5/2002 ha riformulato in maniera organica tutta la materia della riscossione, dedicandole l’intera parte VII del provvedimento normativo, in cui sono state distinte alcune disposizioni generali, valide per crediti di qualsiasi natura e provenienza, da quelle applicabili specificamente ad alcuni ambiti. In materia penale è quindi disciplinato il recupero delle spese processuali penali in caso di condanna, le pene pecuniarie, le sanzioni amministrative pecuniarie e le spese di mantenimento dei detenuti, nonché le spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (ali. 200 T.U.), mentre in materia civile è disciplinato il recupero delle spese processuali nelle procedure di eredità giacente attivata d’ufficio (art. 148 T.U.), e nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (3) (art. 201 T.U.), nonché il recupero del contributo unificato totalmente o parzialmente non corrisposto (artt. 247 e ss. T.U.).
In base alle medesime disposizioni sono recuperate le somme dovute, secondo le norme del codice di procedura civile e del codice dì procedura penale, per sanzioni pecuniarie o per condanna alla perdita della cauzione o in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o di rigetto dì una richiesta sulla base di provvedimenti non più revocabili (art. 202 T.U.) (4). In tali casi, i proventi del recupero sono destinati alla cassa delle ammende (art. 664, comma 1, c.p.p.).
Le spese di mantenimento dei detenuti definitivi e, nei casi previsti dal codice dì procedura penale, dei detenuti in stato di custodia cautelare sono recuperate secondo le regole comuni alle altre spese, in mancanza di remunerazione o per la parte residuata dal prelievo sulla remunerazione (art. 206 T.U.).
A norma dell’art. 203 T.U., restano invece escluse dall’applicazione delle disposizioni sulla riscossione dettate dalla parte VII del testo unico:
— la procedura fallimentare, in quanto le spese sono direttamente recuperate dalle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo (art. 146
T.U.) (5);
— la procedura di vendita dei beni sequestrati, in quanto le spese sono recuperate in prededuzione sul ricavato della vendita (art. 154 T.U.);
— la procedura esecutiva attivata dal concessionario per la riscossione delle entrate iscritte a ruolo, in quanto le relative spese sono riscosse dal concessionario nel processo in corso per la riscossione coattiva del credito principale (art. 234 T.U.);
— il processo in cui è parte l’amministrazione pubblica ammessa alla prenotazione a debito delle spese processuali, poiché tali spese sono recuperate dall’amministrazione stessa insieme alle altre spese da questa anticipate (art. 158 T.U.).
3. RESPONSABILE DEL SERVIZIO
Il servizio di riscossione delle spese di giustizia, delle pene pecuniarie ed in genere dei crediti dell’erario è un servizio particolarmente delicato e, alfine di garantire il suo regolare andamento, è sottoposto ad una duplice ispezione, da parte del Ministero della giustizia e da parte del Ministero dell’economia e finanze.
La direzione del servizio, data la sua delicatezza, deve essere assunta personalmente dal cancelliere dirigente che ne risponde unitamente al funzionario addetto, scelto tra i più esperti, capaci e volenterosi (6).
In caso di colposa prescrizione di crediti dell’erario, il funzionario addetto al servizio, il dirigente la cancelleria e il capo dell’ufficio giudiziario sono tenuti in proprio al risarcimento del corrispondente danno arrecato all’erario.
4. SPESE PROCESSUALI RIPETIBILI E NON RIPETIBILI IN MATERIA PENALE
Il testo unico in materia di spese di giustizia, dopo aver stabilito all’art. 4 il principio per cui le spese del processo penale sono anticipate dall’erario, ad eccezione di quelle relative agli atti chiesti dalle parti private (anch’esse però anticipate nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato), individua all’ari. 5 le spese recuperabili (ripetibili), distinguendole da quelle non recuperabili. In questa limitazione oggettiva e puntuale delle spese che possono essere recuperate va riscontrata una caratteristica peculiare del recupero in materia penale, giacché, al contrario, in materia civile la ripetibilità, quando sussiste, abbraccia tutte le spese anticipate o prenotate a debito, senza alcuna discriminazione.
In materia penale sono spese ripetibili:
a) le spese di spedizione, i diritti e le indennità di trasferta degli ufficiali giudiziari per le notificazioni;
b) le spese relative alle trasferte per il compimento di atti Fuori dalla sede in cui si svolge il processo;
c) le spese e le indennità per i testimoni;
d) gli onorari, le spese e le indennità di trasferta e le spese per l’adempimento dell’incarico degli ausiliari del magistrato;
e) le indennità di custodia;
f) le spese per la pubblicazione dei provvedimenti del magistrato;
g) le spese per la demolizione di opere abusive e la riduzione in pristino dei luoghi;
h) le spese straordinarie;
i) le spese di mantenimento dei detenuti.
Sono invece spese non ripetibili:
a) le indennità dei magistrati onorari, dei giudici popolari nei collegi di assise e degli esperti;
b) le spese relative alle trasferte dei magistrati professionali di corte di assise per il dibattimento tenuto in luogo diverso da quello di normale convocazione.
Fermo restando il principio di prevalenza della norma pattizia in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, di cui all’art. 696 c.p.p., non sono ripetibili le spese per le rogatorie dall’estero e per le estradizioni da e per l’estero, mentre quelle relative alle rogatorie all’estero sono soggette alle regole generali stabilite dal testo unico (artt. 5 e 7 TU.).
5. IN PARTICOLARE: LE SPESE
DI MANTENIMENTO IN CARCERE
Il condannato a pena detentiva, oltre all’obbligo di rimborsare allo Stato le spese processuali, da enunciare in sentenza, è tenuto, a norma dell’art. 188 c.p., a rimborsare all’erario le spese per il SUO mantenimento in carcere durante l’espiazione della pena definitiva, anche se tale obbligo non è stato dichiarato esplicitamente nel provvedimento conclusivo. Allo stesso modo, a norma dell’ari. 692 c.p.p., il condannato a pena detentiva per un reato in relazione al quale fu sottoposto a custodia cautelare, deve rifondere le spese per il mantenimento durante il periodo di custodia (7).
Il pagamento delle spese di mantenimento in carcere è un’obbligazione del condannato, il quale ne risponde ai sensi dell’ari. 2740 c.c.; tale obbligazione non si trasmette agli credi del condannato, né al responsabile civile (art. 188 c.p.).
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte del condannato si effettua a norma degli artt. 145, 188 e 189 c.p., 535 e 692 c.p.p., 206 e 209T.U. n. 115/2002.
Sono spese di mantenimento quelle concernenti gli alimenti, il corredo e le medicine per i detenuti. Il rimborso ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del costo reale: il Ministro della giustizia, al principio di ogni esercizio finanziario, determina, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, la quota di mantenimento dei detenuti in tutti gli stabilimenti della Repubblica (8).
il rimborso delle spese viene effettuato innanzitutto mediante prelevamento delle somme necessarie dalla remunerazione spettante al condannato per il lavoro prestato nello stabilimento penitenziario (9). Solo in mancanza di remunerazione o comunque per la parte residuata dal prelievo sulla remunerazione, le spese di mantenimento dei detenuti definitivi e dei detenuti in stato di custodia cautelare sono recuperate secondo le regole comuni alle altre spese processuali (art. 206 T.U.). Ciò non vale però per gli internati in espiazione di una misura di sicurezza detentiva, per i quali, in mancanza di remunerazione, non si provvede ad alcun recupero (10).
6. RECUPERO PER INTERO E
FORFETIZZATO IN MATERIA PENALE
A norma dell’art. 205 T.U., le spese del processo penale anticipate dall’erario sono di norma recuperate per intero; a parte le spese per il mantenimento in carcere, si tratta di tutte quelle spese anticipate dall’erario a mezzo di ordini o decreti di pagamento tratti sul registro delle spese pagate dall’erario (11) e relative ai reati per i quali è stata pronunciata condanna.
Le spese da recuperare per intero, nei procedimenti con più imputati, costituiscono obbligazioni in solido nei casi previsti dal 2° comma dell’art. 535 c.p.p. Tale norma precisa che la solidarietà per le spese processuali sussiste fra più condannati per lo stesso reato o per reati connessi; se viceversa trattasi di reati non uniti dal vincolo della connessione, la solidarietà sussiste solo per le spese comuni all’accertamento dei reati per i quali è stata pronunciata condanna (12).
Costituisce un’espressa eccezione alla regola del recupero per intero quello relativo ai diritti e alle indennità di trasferta spettanti all’ufficiale giudiziario e alle spese di spedizione per la notificazione degli atti a richiesta dell’ufficio, che sono infatti recuperati nella misura fissa (forfetaria) stabilita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia. Le nuove tabelle degli importi da recuperare sono state approvate con D.M. 13-11-2002, n. 285 (13) e sostituiscono quella precedente approvata con D.M. 11-10-
1989, n. 347 (14). Il nuovo decreto ministeriale determina la misura del recupero con riferimento al numero degli atti e delle attività mediamente compiute in ciascun processo, e individua nel 50 % la quota spettante per diritti all’ufficiale giudiziario. In appendice si riportano le tabelle A e B annesse al decreto: la prima è relativa ai procedimenti davanti al tribunale e alla corte di assise, la seconda riguarda invece i procedimenti innanzi al giudice di pace.
L’applicazione della forfetizzazione va riferita ad ogni singolo condannato, anche se con lo stesso provvedimento conclusivo del giudizio sono indicati più condannati definitivi. Pertanto, nei procedimenti con più condannati, ciascuno è tenuto a pagare l’intero importo per spese forfetizzate, nella misura determinata dal citato decreto: tali spese sono di conseguenza sottratte alla disciplina delle obbligazioni in solido (15).
Il sistema della forfetizzazione di alcune spese processuali non è una novità introdotta dal testo unico n. 115/2002, giacché la previsione era già contenuta nell’art. 199 disp. att. c.p.p., abrogato dallo stesso testo unico; tale previsione era peraltro più ampia, ricomprendendosi negli importi forfetari anche l’imposta di bollo sui provvedimenti, i diritti dì cancelleria ed il diritto dì chiamata di causa. Queste voci di spesa sono state abolite prima dall’ari. 9, L 23—I 2-1 999, n. 488 e poi dal testo unico, sicché la nuova disciplina ha dovuto necessariamente tener conto delle modifiche intervenute nel frattempo.
Il testo unico non ha previsto alcuna disposizione transitoria, sicché si pone il problema di individuare i procedimenti ai quali ancora si applica il precedente D.M. 11-10-1989, n. 347: in applicazione dei principi generali ed in particolare dell’art. 11 delle disposizioni della legge in generale, è possibile considerare come linea di demarcazione il momento in cui è sorto il credito nei confronti dello Stato, corrispondente alla data del passaggio in giudicato del provvedimento di condanna, sicché l’intero importo come individuato dal D.M. n. 247/1989 può essere applicato solo ai provvedimenti divenuti irrevocabili prima del 1 marzo 2002 e cioè prima dell’entrata in vigore del richiamato art. 9, L. n. 488/1999 (16). Per i provvedimenti divenuti irrevocabili dal l marzo in poi, e almeno fino all’entrata in vigore del testo unico, l’indicazione ministeriale era quella di procedere ad uno scorporo delle voci di spesa non più in vigore, fatta eccezione per il diritto di chiamata di causa, per il quale Io scorporo risultava impossibile dal momento che l’importo era quantificato unitariamente con la voce «diritti e trasferte degli ufficiali giudiziari» (17). Il problema si è avviato a soluzione solo con l’approvazione del citato D.M. n. 285/2002, il quale, per espressa disposizione ministeriale (nota Mm. Giust. n. l/1641/44(03)U, in data 7-2-2003, Dip. Aff. Giust., Dir. Giust. Civ.), si applica a tutte le sentenze penali passate in giudicato a partire dal 1° luglio 2002.
7. SOGGETTI OBBLIGATI AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI IN MATERIA PENALE
Con la sentenza di condanna è dichiarato l’obbligo del condannato al pagamento delle spese processuali. Qualora il giudice non si sia pronunciato sulle spese, la sentenza va rettificata con la procedura di correzione di errore materiale (art. 535 e 130 c.p.p.), essendo l’obbligo del pagamento delle spese conseguenza legale della condanna.
L’obbligo al pagamento delle spese processuali non si trasmette agli eredi del condannato: tale principio è stato introdotto solo di recente con una importantissima pronuncia della Corte Costituzionale (18); a parere della Corte, infatti, dopo la riforma dell’ordinamento penitenziario, che ha introdotto l’istituto della remissione del debito, l’obbligazione relativa alle spese processuali deve essere considerata non più alla stregua delle obbligazioni civili, ma piuttosto una vera e propria sanzione economica accessoria alla pena, e come tale essa non può non partecipare al carattere della personalità che è proprio di tutte le pene.
Nel caso di imputazione riguardante più reati, se il giudice proscioglie da alcuni di essi, il condannato non può essere obbligato per le spese dell’intero procedimento, ma è tenuto soltanto per quelle che siano state incontrate per il reato o per i reati per i quali è stata inflitta la pena (19).
Non si recuperano le spese quando vi è revoca del provvedimento di condanna per abolizione del reato (20).
Ci sono inoltre dei casi in cui, ai fini della condanna alle spese, non è richiesto il presupposto della condanna dell’imputato: è il caso delle spese processuali anticipate dall’erario, quando sono poste a carico del querelante o del querelato, nonché nell’ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Quando si procede a querela della persona offesa, il querelante è condannato al pagamento delle spese del procedimento recuperabili in misura fissa ed a quelle recuperabili per intero, nell’ipotesi in cui l’imputato è stato prosciolto perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso (artt. 427 e 542 c.p.p.), quando cioè la querela sia risultata temeraria (21). Il querelante non è invece tenuto al pagamento delle spese del procedimento quando il proscioglimento sia pronunciato per concessione del perdono giudiziale, per incapacità di intendere e di volere o per altra causa estintiva del reato (artt. 150-162 c.p.) sopravvenuta dopo la presentazione della querela (morte, amnistia, prescrizione oblazione).
Se la quercia viene sporta nei confronti di più persone imputate di un medesimo reato, è sufficiente la condanna di una sola per impedire
che il querelante sia assoggettato all’obbligo delle spese.
Quando vi è remissione di quercia (che comporta la pronuncia della sentenza di proscioglimento ovvero, nelle indagini preliminari, del decreto di archiviazione), il querelato è tenuto al pagamento delle spese processuali, salvo che nell’atto di remissione sia stato convenuto diversamente (art. 340 c.p.p., come modificato dalla legge 25-6-1999, n. 205). Qualora la sentenza non dovesse pronunciarsi sulla condanna del querelato al pagamento delle spese di giustizia, il cancelliere può procedere al recupero di tali spese previo procedimento di correzione ex art. 130 c.p.p.
Ove la remissione di quercia intervenga nella fase delle indagini preliminari, il Ministero della giustizia ritiene si possano recuperare tanto le spese effettivamente anticipate dall’erario (ad esempio per una consulenza tecnica), quanto quelle forfetarie (22). Ma di contrario avviso sembra essere la Corte Costituzionale (23), la quale, sia pure con una pronuncia non vincolante (trattandosi di ordinanza che dichiara la questione manifestamente inammissibile) è arrivata alla conclusione che ai di fuori del procedimento in cui sia stata esercitata l’azione penale (e quindi nell’ipotesi di archiviazione) non è configurabile alcuna condanna al rimborso delle spese processuali, proprio perché l’azione penale non è stata intrapresa e, pertanto, nessun accertamento può essere compiuto se non quello che investe i motivi per i quali l’archiviazione è disposta.
Riguardo, infine, al patrocinio a spese dello Stato, valgono le disposizioni dettate dagli artt. 110 e 111 T.U..
— quando si tratta di reato punibile a quercia della persona offesa e viene pronunciata sentenza di non luogo a procedere ovvero di assoluzione dell’imputato ammesso al patrocinio perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, il magistrato, se condanna il querelante al pagamento delle spese in favore dell’imputato, ne dispone il pagamento in favore dello Stato;
— quando invece si tratta di reato per il quale si procede d’ufficio, il magistrato, se rigetta la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, o assolve l’imputato ammesso al beneficio per cause diverse dal difetto di imputabilità e condanna la parte civile non ammessa al beneficio al pagamento delle spese processuali in favore dell’imputato, ne dispone il pagamento in favore dello Stato;
— con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno il magistrato, se condanna l’imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato;
— nel caso di revoca dal beneficio dell’ammissione al patrocinio, e precisamente nell’ipotesi di revoca su richiesta dell’ufficio finanziario ovvero a seguito delle integrazioni richieste all’interessato ai sensi dell’art. 96 T.U., le spese anticipate per effetto dell’ammissione al patrocinio, sono recuperate nei confronti dell’imputato, indipendentemente da qualsiasi provvedimento di condanna (24).
8. CASI DI RECUPERO DELLE SPESE
PROCESSUALI IN MATERIA PENALE
Al fine di procedere alla riscossione delle spese processuali, non è sufficiente che la spesa considerata sia astrattamente indicata dalla legge come «ripetibile», essendo invece possibile il concreto recupero solo nei casi di condanna alle spese, secondo le disposizioni stabilite dal codice di procedura penale e dall’ari. 69, D.Lgs. 8-6-2001, n. 231, nonché, nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, secondo le disposizioni dettate dallo stesso testo unico.
Esaminiamo alcune ipotesi particolari.
A) Giudizio di impugnazione
Per le spese del giudizio di primo grado vale il principio, ricavabile dall’art. 535 c.p.p., secondo cui esse possono far carico all’imputato
soltanto in caso di condanna.
Una deroga a tale principio è invece contenuta nell’art. 592 c.p.p., secondo il quale in base al criterio della soccombenza, l’obbligo del pagamento delle spese processuali relative al giudizio di impugnazione scaturisce dalla dichiarazione di inammissibilità o dal rigetto totale dell’impugnazione stessa. Il primo comma dell’art. 592 c.p.p. specifica infatti che con la sentenza che rigetta o dichiara inammissibile l’impugnazione, la parte privata che l’ha proposta è condannata alle spese del procedimento mentre, a norma del secondo comma, i coimputati che hanno partecipato al giudizio, in conseguenza dell’effetto estensivo dell’impugnazione (art. 587 c.p.p.), sono condannati alle spese in solido con l’imputato che propose l’impugnazione.
Le regole, pertanto, per l’attribuzione delle spese processuali in caso di impugnazione, possono essere così riassunte:
a) se l’imputato propone appello e questo è rigettato o dichiarato inammissibile, il condannato deve pagare le spese del giudizio di primo
grado e quelle successive;
b) se l’imputato viene assolto in primo grado e condannato in appello, deve pagare le spese di l e 2° grado di giudizio;
c) se l’imputato, condannato in primo grado, viene assolto in sede di appello, non deve pagare né le spese di l grado né quelle di 2° grado;
d) se l’imputato propone appello e l’appello è accolto anche solo parzialmente dal giudice dell’impugnazione, il condannato non paga le
spese di 2° grado ma è tenuto a pagare solo le spese di 1° grado;
e) se è rigettato l’appello proposto dal solo P.M., l’imputato non deve pagare le spese del 2° grado di giudizio;
f) se è rigettato l’appello proposto sia dall’imputato che dal P.M., sono poste a carico dell’imputato le spese del 2° grado di giudizio;
g) l’imputato deve pagare anche le maggiori spese del giudizio di impugnazione se, su appello del P.M., la sentenza è riformata «in peius»;
h) se è proposto ricorso per cassazione, dichiarato inammissibile o respinto, l’imputato deve pagare le spese del grado di giudizio (art. 616 c.p.p.); l’imputato non è tenuto a pagare le spese processuali quando la sentenza impugnata viene annullata «senza rinvio», purché sia stato accolto — sia pure parzialmente — almeno uno dei motivi proposti.
B) Processo di prevenzione, di esecuzione e di sorveglianza
Nel processo di prevenzione, di esecuzione e di sorveglianza si procede al recupero solo in caso di condanna alle spese da parte della Corte di cassazione (art. 205, comma 3, T.U.). D’altra parte, solo in questo ultimo caso il codice di rito prevede espressamente la condanna alle spese, mentre nelle altre ipotesi, non essendo prevista tale condanna, non può esserci ovviamente neanche il recupero delle spese.
C) Sentenza di patteggiamento e decreto penale di condanna
Nel caso di sentenza di patteggiamento e di decreto penale di condanna, emessi rispettivamente ai sensi degli artt. 445 e 460 c.p.p., si procede al recupero solo delle spese per la custodia dei beni sequestrati e delle spese di mantenimento dei detenuti (25) (art. 205 T.U.).
Il codice di rito, infatti, prevede per i predetti provvedimenti un trattamento premiale (26) (finalizzato a favorire il ricorso a tali riti alternativi), nel quale è inserita anche l’esenzione dal pagamento delle spese processuali; ma in tale esenzione non rientra né le spese per la custodia dei beni sequestrati né le spese di mantenimento dei detenuti: a tale conclusione si è giunti per dirimere definitivamente una lunga querelle che per molto tempo ha visto la contrapposizione tra la giurisprudenza della Corte di cassazione (favorevole all’esclusione) e l’orientamento espresso dal Ministero della giustizia (favorevole ad un’esenzione che comprendesse anche le spese di custodia dei beni sequestrati), anche se di recente quest’ultimo aveva già dovuto fare marcia indietro rispetto alle direttive precedentemente impartite (27).
D) Condono
In giurisprudenza si afferma che, poiché alla sentenza di condanna deve seguire l’obbligo del pagamento delle spese processuali, l’applicazione del condono non elimina la condanna né, perciò, l’obbligo di pagare le spese, in quanto tale beneficio è limitato alla sola esecuzione della pena ed attiene solo a questa, non influendo di contro sui merito del giudizio di condanna (28).
E) Impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari
Nell’ipotesi di procedimento incidentale avente ad oggetto il riesame, l’appello ovvero il ricorso per Cassazione avverso provvedimenti che dispongono una misura cautelare, il giudice dell’impugnazione condanna alle spese del procedimento ai sensi degli artt. 592 e 616 c.p.p. (29); anche il Ministero della giustizia, a più riprese (30). ha ritenuto essere mm conforme a logica giuridica la tesi secondo cui debba rimanere indenne dalle spese colui che vi ha dato causa senza ragioni giuridicamente valide, e ciò anche in assenza di una norma ad hoc sulla condanna alle spese nel procedimento incidentale relativo alle misure cautelari.
Poiché ai sensi dell’art. 691, 2° comma, c.p.p., al recupero delle spese processuali si può procedere solo in esecuzione di un provvedimento del giudice che ne statuisca la condanna al pagamento, in mancanza si può ricorrere alla procedura di rettifica a norma dell’art. 130 c.p.p. (art. 535 c.p.p..
Un orientamento lino a poco tempo fa consolidato riteneva che le spese di cui al provvedimento di condanna dovessero essere immediatamente recuperate, indipendentemente dall’esito del processo principale; secondo tale orientamento, intatti, la fase incidentale andava considerata a sé stante e autonoma, di talché la successiva ed eventuale sentenza di assoluzione o quella di patteggiamento non privavano di efficacia la condanna alle spese pronunciata nel procedimento incidentale (31). Tale tesi risulta ad oggi superata; infatti, la Cassazione ha ritenuto che «il recupero (delle spese processuali relative al procedimento incidentale) ... postula la definizione del procedimento principale, il cui esito, in caso di condanna, determina l’attivazione della relativa procedura» (32). Questa posizione è stata fatta propria dal Ministero della giustizia (33), secondo il quale il nuovo orientamento risulta più coerente con il vigente dettato normativo.
F) Amnistia
L’amnistia è un atto di clemenza generale, rivolto impersonalmente agli autori di determinate categorie di reati, con cui lo Stato rinunzia all’applicazione della pena. L’amnistia costituisce una abolitio publica derivante da un consuetudinario potere di clemenza la cui titolarità è attribuita dalla nostra Costituzione al Parlamento e al Capo dello Stato.
In materia di amnistia si distinguono:
a) amnistia propria, applicata cioè prima che la sentenza sia passata in giudicato. Si ha per i reati il cui accertamento giurisdizionale è ancora in corso: in tal caso ha efficacia abolitiva completa (estingue cioè il reato). L’imputato non è obbligato a pagare le spese processuali perché prosciolto senza subire il processo;
b) amnistia impropria, la quale, intervenendo dopo una sentenza irrevocabile di condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie ma non gli effetti penali della condanna. Il condannato deve quindi pagare le spese processuali.
Il Ministero della giustizia ha precisato che la estinzione del reato o della pena non importa anche la estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, come si rileva dal chiaro disposto dell’art. 198 c.p. Pertanto nel caso di amnistia, ove sia prima intervenuta condanna definitiva, rimane salva l’azione dell’erario per la riscossione delle spese processuali e di quelle sostenute dallo Stato per il mantenimento dei condannati negli stabilimenti di pena (34).
G) Giudizio di revisione
Nel giudizio di revisione, in caso di rigetto della richiesta, le spese processuali sono poste a carico della parte privata che l’ha proposta
(art. 637, 4° comma, c.p.p.).
Inoltre, quando la Corte di appello anche d’ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità della richiesta di revisione, può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma da euro 258 a euro 2065 (art. 634 c.p.p.).
H) Giudizio di legittimità costituzionale
Nei giudizi di legittimità davanti alla Corte Costituzionale le relative spese sono a carico dell’erario e, pertanto, non sono dovute né tasse, né imposte, né diritti di alcun genere.
Tale statuizione discende evidentemente da due considerazioni: la prima, di ordine sostanziale, attinente all’interesse della tutela giurisdizionale che, sebbene coinvolga il singolo, è senza dubbio di preminente ordine generale; la seconda, d’ordine procedurale, attinente al soggetto legittimato a promuovere il giudizio di legittimità costituzionale, che è sempre e solamente, nel processo penale, la stessa Autorità giurisdizionale, a sua insindacabile discrezionalità (art. 23, L. 11-3- 1953, n. 87).
I) Affidamento in prova al servizio sociale
La Cassazione ha chiarito che l’esito favorevole dell’affidamento in prova al servizio sociale è idoneo ad estinguere la pena detentiva e non
anche la pena pecuniaria (35), né, tanto meno, le spese processuali.
9. CASI DI RECUPERO DELLE SPESE
PROCESSUALI IN MATERIA CIVILE
Le spese processuali in materia civile, nei casi in cui la legge ne prevede l’anticipazione a carico dell’erario ovvero la prenotazione a debito, possono, a talune condizioni, essere recuperate dallo Stato secondo le disposizioni dettate dalla nella parte VII del testo unico n. 115/2002. Tali disposizioni sono altresì applicabili in massima parte anche al recupero del contributo unificato omesso o insufficiente ai sensi degli artt. 247 e ss. T.U., nonostante in tal caso non si versi né in ipotesi di anticipazione né di prenotazione a debito: ciò in quanto ci si trova comunque di fronte ad un credito dell’erario soggetto a recupero.
Esaminiamo i più importanti casi di recupero.
A) Patrocinio a spese dello Stato in materia civile (artt. 134, 135 T.U.)
Il provvedimento che condanna la parte soccombente alla rifusione delle spese processuali, dispone che il relativo pagamento sia eseguito a favore dello Stato quando l’altra parte sia stata ammessa al beneficio.
Nel caso in cui lo Stato non venga rimborsato e la vittoria della causa o la composizione della lite abbia messo la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato in condizione di potere restituire le spese erogate in suo favore, questa vi deve provvedere. A tal proposito, l’azione di recupero nei suoi confronti può essere esercitata per tutte le spese prenotate e anticipate, quando per sentenza o transazione egli abbia conseguito almeno il sestuplo delle spese, ovvero nel caso di rinuncia all’azione o dell' estinzione del giudizio (36); tuttavia, il limite del sestuplo non riguarda le spese effettivamente anticipate dall’erario, che il beneficiano è tenuto a rimborsare in ogni caso con la somma o valore conseguito, qualunque esso sia.
Si osservano le seguenti disposizioni:
— se la causa viene definita per transazione, tutte le parti sono solidalmente obbligate al pagamento delle spese prenotate a debito, con espresso divieto, a pena di nullità del patto, di accollarli al beneficiano;
— nelle cause promosse contro i soggetti ammessi al beneficio, la parte attrice o impugnante è obbligata al pagamento delle spese prenotate a debito, quando il giudizio sia estinto o rinunciato (37);
— nelle ipotesi di cancellazione ai sensi dell’art. 309 c.p.c. e nei casi di estinzione diversi da quelli precedentemente indicati, tutte le parti sono tenute solidamente al pagamento delle spese prenotate a debito (38).
Norme particolari sono dettate dall’art. 135 T.U. per alcuni processi in cui, mancando uno specifico provvedimento di condanna, risulta
difficile applicare le disposizioni sul recupero.
Le spese relative ai processi di dichiarazione di assenza o di morte presunta sono recuperate nei confronti dei soggetti indicati nell’art. 50, commi 2 e 3, c.c. (39) e nei confronti della parte ammessa in caso di revoca dell’ammissione.
Le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e 2770 c.c., sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario.
B) Revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 136 T.U.)
Nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, se nel corso del procedimento sopravvengono modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai lini del patrocinio stesso, il magistrato che procede i-evoca il provvedimento di ammissione al beneficio. Alla revoca si provvede altresì se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.
La revoca ha effetto dal momento dell’accertamento delle modificazioni reddituali, indicato nel provvedimento del magistrato. In tutti gli altri casi la revoca ha efficacia retroattiva, comportando, di conseguenza, la necessità di procedere al recupero delle spese anticipate dall’erario e prenotate a debito a causa dell’ammissione al beneficio.
A norma dell’art. 86 T.U., lo Stato ha, in ogni caso, diritto di recuperare in danno dell’interessato le somme eventualmente corrisposte successivamente alla revoca del provvedimento di ammissione.
C) Processi di interdizione o inabilitazione ad istanza del pubblico ministero (art. 145 T.U.)
Nel processo di interdizione e di inabilitazione promosso dal pubblico ministero le spese sono regolate dalle medesime disposizioni in materia di patrocinio a spese dello Stato nei processi civili (e segnata mente dall’art. 131 T.U.), eccetto per gli onorari dovuti al consulente tecnico dell’interdicendo o dell’inabilitando, e all’ausiliario del magistrato, i quali sono anticipati dall’erario.
Passata in giudicato la sentenza, la cancelleria deve richiedere a tutori e curatori, nella qualità, dì presentare entro un mese la documentazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato: qualora con decreto del magistrato si accerti il superamento dei limiti di reddito previsti, è stabilito il recupero delle spese nei confronti dei tutori e curatori, nella loro qualità.
D) Revoca della dichiarazione di fallimento (art. 147 T.U.)
In caso di revoca della dichiarazione di fallimento, le spese della procedura fallimentare, nonché il compenso al curatore, sono poste a carico del creditore istante, se condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa, mentre sono a carico del fallito persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento.
E) Eredità giacente attivata d’ufficio (art. 148 T.U.)
Nell’ipotesi in cui la procedura dell’eredità giacente sia attivata d’ufficio, non essendovi una parte privata che possa anticipare le spese processuali secondo le regole generali, l’art. 148 T.U. ha delineato una disciplina ad hoc per ie predette spese, stabilendo che alcune sono prenotate a debito e altre sono invece anticipate dall’erario.
All’esito della procedura, il giudice pone le spese in questione a carico del curatore, nella qualità, e quindi a carico dell’eredità (devoluta allo Stato ai sensi dcl 586 c.c.). Se però, successivamente alla nomina del curatore, è intervenuta accettazione dell’eredità, con conseguente cessazione delle funzioni del primo, a norma dell’ari. 532 c.c., il giudice pone le spese della procedura a carico dell’crede accettante.
10. COMPETENZA
In linea di massima, le disposizioni dettate dal testo unico sulla competenza e le modalità di riscossione, valgono indistintamente per la materia penale e civile, e comunque sia per il recupero delle spese processuali sia per ogni altro credito vantato dall’erario.
Ai sensi dell’art. 208, comma 1, T.U., l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione (40) (di seguito, ufficio competente), se non diversamente stabilito in modo espresso, è quello presso il magistrato il cui provvedimento è passato in giudicato o comunque è divenuto definitivo (41).
Tale disposizione innova profondamente la precedente disciplina prevista per la riscossione delle pene pecuniarie e delle spese processuali in materia penale, giacché, a norma dell’abrogato art. 181 disp. att. c.p.p., la competenza al recupero era in ogni caso riconosciuta in capo alla cancelleria del giudice dell’esecuzione, individuato a norma dell’art. 665 c.p.p.; ciò significa, ad esempio, che quando in grado di appello la sentenza di primo grado viene confermata ovvero riformata soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, l’attuale disciplina prevede che la riscossione sia curata dalla cancelleria del giudice di secondo grado, mentre in precedenza, per il combinato disposto degli artt. 665 c.p.p. e 181 disp. att. c.p.p., era competente senz’altro la cancelleria del giudice di primo grado (42).
Non essendo prevista alcuna norma transitoria, si ritiene che la nuova disciplina si applichi solo a quei provvedimenti divenuti definitivi a partire dal l luglio 2002, e cioè dalla data di entrata in vigore del testo unico, in quanto solo con la definitività del provvedimento il credito è da considerarsi maturato.
Conseguenza logica della diversa competenza individuata dalle nuove norme è che vi potrebbe non essere corrispondenza tra la cancelleria incaricata delle attività connesse alla riscossione ed il giudice dell’esecuzione competente alla conversione della pena pecuniaria (v. in fra).
Riguardo poi all’ipotesi di riscossione della pena pecuniaria concernente più provvedimenti emessi da giudici diversi (si pensi al caso in cui sia intervenuto un provvedimento di cumulo), il necessario raccordo fra l’art. 665 c.p.p. e l’art. 208 T.U. fa ritenere che sia competente al (40).
Poiché in materia di entrate patrimoniali alcune nonne fanno riferimento al termine “ente creditore”. in riferimento ai rapporti con i concessionari, volendo ricomprendere in tale locuzione evidentemente lo Stato e gli enti diversi (per es. enti previdenziali regioni, province, comuni), il secondo comma dell’art 208 TU. chiarisce che negli artt. 6, 15, 16, 18, 22, 38, 39, 47, 57 e 59, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112 i termini «ente creditore» e «soggetti creditori» non si riferiscono all’ufficio competente al recupero l’ufficio presso il magistrato che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo (43).
Il testo unico ha invece confermato la regola per la quale è in ogni caso escluso il recupero da parte dell’ufficio presso la Corte di cassazione. Pertanto, quando vi è stato ricorso per cassazione e questo è stato dichiarato inammissibile o rigettato, la competenza appartiene all’ufficio presso il giudice dì primo o secondo grado a seconda del giudice che ha emesso la sentenza oggetto di ricorso per cassazione; se invece la Cassazione ha annullato la sentenza con rinvio, la competenza è dell’ufficio presso il giudice del rinvio.
Ulteriore novità introdotta dal Lesto unico sulle spese di giustizia è l’eliminazione della disciplina specialistica già prevista per il recupero delle pene pecuniarie e delle spese processuali in materia doganale e di contrabbando (44). Tale disciplina, peraltro già esclusa nell’ipotesi in cui il reato finanziario sia connesso con altre) reato comune ovvero qualora vi sia stata condanna a pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria (45), prevedeva clic la riscossione nelle predette materie tosse curata direttamente, secondo le rispettive competenze, dagli uffici doganali e digli Ispettorati compartimentali dei monopoli, cui doveva essere rimesso) il titolo esecutivo, costituito dalla sentenza o dal decreto penale irrevocabile che contiene la condanna alla pena pecuniaria, unitamente alla nota delle spese di giustizia (46). Anche stavolta, comunque, il discrimine circa l’applicazione della vecchia o nuova disciplina è dato dal passaggio in giudicato del provvedimento da eseguire, e Cioè dalla data in cui matura il credito verso l’erario, a seconda che sia precedente o meno al l luglio 2002 (47).
Per le spese di mantenimento dei detenuti, l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso l’ultimo istituto nel quale il condannato è stato ristretto. Anche tale disposizione, dettata dall’art. 209 T.U., innova la precedente disciplina, la quale prevedeva la trasmissione alla cancelleria competente per il recupero, da parte dell’istituto penitenziario, di un’apposita nota delle spese di mantenimento —Mod. 38— con cui venivano computati i periodi di detenzione, l’eventuale recupero proveniente dalla remunerazione ed il credito residuo da recuperare (48); seguiva quindi la presa in carico del credito da parte della cancelleria competente alla riscossione, anche se in una partita di redito diversa da quella riguardante le comuni spese processuali (49).
Anche per le spese di mantenimento in carcere, in mancanza di una specifica norma transitoria, si pone il problema di individuare il criterio per l’applicazione della nuova disciplina sulla competenza al recupero in sostituzione di quella precedente. In questo caso, però, la maturazione del credito non è collegata al passaggio in giudicato del provvedimento, bensì alla data di scarcerazione del detenuto, data dalla quale, infatti, decorre il termine di prescrizione del diritto al recupero. Resta pertanto la competenza alla riscossione da parte della cancelleria per le spese di mantenimento dei detenuti qualora l’espiazione della pena si sia conclusa in data antecedente all’entrata in vigore del testo Unico, e cioè al 10 luglio 2002 (50).
11. REGISTRI
Il testo unico in materia di spese di giustizia ha notevolmente inciso sul tema dei registri che le cancellerie devono tenere per la gestione dei vari servizi attinenti a questa materia.
Nella fase del recupero, a fronte dei diversi registri in precedenza previsti, in parte diversi tra campione penale e civile, è stata disposta l’istituzione di un unico registro, ufficialmente denominato «registro dei crediti da recuperare e delle successive vicende del credito», previsto dall’art. 161 T.U. ai fini delle annotazioni a cui è tenuta la cancelleria competente, a norma degli artt. 160 e 162 T.U.
La scelta innovativa fondamentale operata dal testo unico è stata quella di individuare i registri necessari sulla base della funzione di registrazione che deve essere curata; per tale motivo, non è stato necessario indicare presso quali uffici sono tenuti i vari registri, ma è stato sufficiente individuare il nesso tra la tenuta del registro e la funzione. Pertanto, il registro dei crediti è istituito presso il giudice dell’esecuzione (presso gli uffici giudicanti di I e Il grado, ma non presso le procure, né presso la corte di cassazione) (51).
Al registro in argomento sì applicano le disposizioni dagli artt. 1-12 e 1 5-20, D.M. (Giustizia) 27-3-2000, n. 264 (Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari) e dal D.M. (Giustizia) 24-5-2001 (Regole procedurali relative alla tenuta dei registri informatizzati dell’amministrazione della giustizia) (52); vengono quindi richiamate le regole della tenuta in modo informatizzato (salvo eventuale autorizzazione alla tenuta su supporto cartaceo) e su base annua, nonché l’obbligo della vidimazione e della numerazione dei registri cartacei, da effettuarsi a cura del dirigente o da persona da lui delegata prima di essere posti in uso.
Il registro tenuto in forma cartacea deve essere corredato da rubrica alfabetica (ari. 280, comma 4, T.U.).
In un contesto informatizzato integrato, l’ufficio che svolge la funzione di determinare l’importo da recuperare è in grado di estrarre i dati che gli servono telematicamente, rintracciandoli in un sistema in cui altri uffici hanno provveduto all’annotazione delle spese anticipate dall’erario come quelle prenotate a debito, così controllando la corrispondenza tra quanto risulta dai registri e quanto risulta dagli atti processuali contenuti nel fascicolo in suo possesso: nella prospettiva di una generalizzata informatizzazione del sistema, tale annotazione sarà di per sé sufficiente a garantire l’esatta individuazione dell’importo delle spese che eventualmente dovranno essere recuperate. In attesa di tale informatizzazione, l’art. 280 T.U. dispone che nei fascicoli processuali si debba tenere un foglio delle notizie ai fini del recupero, su cui l’ufficio che procede all’annotazione sul registro delle spese prenotate a debito è tenuto a riportare gli importi che dovranno eventualmente essere recuperati; allo stesso modo provvede l’ufficio che annota le spese pagate dall’erario, limitatamente però ai pagamenti di spese ripetibili (53).
l’art. 163 T.U. rinvia ad un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, per l’individuazione del modello del registro in argomento; in attesa, come dispone l’art. 282 T.U., i registri sono tenuti secondo le disposizioni vigenti al momento dell’entrata in vigore del testo unico. A tal proposito, il D.M. (Giustizia) n. 264/2000 aveva individuato per il servizio della riscossione uno specifico registro dei ruoli, il cui modello ufficiale, però, non è mai stato approvato; in sua sostituzione, e comunque sempre in via transitoria, il Ministero della giustizia ha dato disposizioni perché siano istituiti appositi registri di comodo per l’annotazione degli importi da recuperare iscritti a ruolo e le successive vicende del credito (54).
Restano provvisoriamente in uso anche i registri già previsti per il servizio dei campioni civile e penale. Pertanto, in materia civile, accanto al registro delle spese concernenti le cause in cui siano parti persone o enti ammessi alla prenotazione a debito — Mod. 42 (55) — deve essere tenuto anche il registro Mod. X, sul quale vanno riportati, al fine di essere tenuti in evidenza, i crediti iscritti a campione e relativi a cause ed affari definiti in seguito a provvedimento esecutivo, transazione, abbandono ecc.;
In materia penale è transitoriamente prescritta la tenuta del registro del campione penale — Mod. 29: tale registro è fornito gratuitamente dalla Direzione regionale delle entrate, e dalla stessa numerato e vidimato; le iscrizioni sono progressive e continuative all’infinito e vanno effettuate riportando tutte le indicazioni accennate nei moduli a stampa, tenendo presente che, a differenza di quanto accade per il campione civile, nella materia penale l’iscrizione nel campione avviene solo quando è definitivo il provvedimento da cui scaturisce il diritto al recupero (56). A margine dei singoli articoli di credito deve essere indicata la data in cui si maturerà la prescrizione.
Sia nel campione penale che civile, all’iscrizione dell’articolo segue la formazione del fascicolo per ogni articolo iscritto, nel quale inserire tutti gli atti della procedura di recupero. L’articolo di campione deve essere iscritto con grafia chiara e senza abrasioni; le annotazioni a margine dell’articolo devono essere effettuate con inchiostro rosso, così pure l’annotazione delle somme riscosse, unitamente agli estremi della quietanza.
Registri comuni ad entrambi i servizi, in attesa del decreto dirigenziale di cui all’art. 163 T.U. sono il registro delle verifiche degli ispettori demaniali — c.d. Mod. 1 6 — e la rubrica alfabetica delle partite iscritte nel campione. La previgente disciplina prescriveva anche la tenuta della «tavola alfabetica dei debitori di spese di giustizia riconosciuti insolvibili» — Mod. 18 — che veniva fornita dalla Direzione regionale delle entrate e serviva ad iscrivere, col richiamo del numero di campione e della somma dovuta, i debitori di spese di giustizia riconosciuti «di dubbia solvibilità»: tale registro non deve essere più tenuto, anche in considerazione del mutato sistema di riscossione, poiché, a norma dell’art. 281 T.U., i crediti già iscritti in esso alla data del 1° luglio 2002, se non prescritti e se non ricorrono altri casi di estinzione, devono essere riportati nel registro (per il momento, di comodo) dei crediti da recuperare, ai fini dell’iscrizione a ruolo.
12. PROCEDURA DI RECUPERO
Passato in giudicato o divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l’obbligo o, per le spese di mantenimento, cessata l’espiazione della pena in istituto, si dà inizio alla procedura di recupero del credito vantato dall’erario. Tale procedura, almeno nella fase della riscossione coattiva, non più curata dal cancelliere, ma, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 237/1997, dal concessionario del servizio riscossione tributi, previa iscrizione del credito nel ruolo esattoriale.
Se il condannato alla pena pecuniaria ed alle spese di giustizia è uno soltanto, si aprirà un solo articolo se per la pena non deve essere riscossa, a margine dell’ articolo di credito andrà fatta annotazione che la pena è condizionalmente sospesa. Qualora invece i condannati a pena pecuniaria e alle spese siano più di uno, si dovrà aprire un articolo per le sole spese processuali e tanti articoli per la pena pecuniaria quanti sono i condannati.
In caso di iscrizioni successive, per revoca dei benefici o per spese sopravvenute, è opportuno richiamare tra loro i vari articoli di credito, con annotazioni marginali, al fine di agevolare i controlli ispettivi..
Il primo atto della procedura consiste nell’attività di quantificazione del credito da riscuotere. Dispone infatti l’art. 211 T.U. che l’ufficio di cancelleria competente, secondo le regole esposte, quantifica l’importo dovuto per spese sulla base degli atti, dei registri, delle norme (si pensi alle spese forfetarie in materia penale) che individuano la somma da recuperare, e prende atto degli importi stabiliti nei provvedimenti giurisdizionali per le pene pecuniarie, per le sanzioni amministrative pecuniarie e per le sanzioni pecuniarie processuali, specificando le varie voci dell’importo complessivo, e correggendo eventuali propri errori, d’ufficio o su istanza di parte.
Più in particolare, la quantificazione delle spese processuali anticipate dall’erario e quelle prenotate a debito potrà avvenire, in prospettiva, interrogando il sistema informatizzato integrato per la gestione dei relativi registri tenuti dagli uffici giudicante, requirente e UNEP, e procedendo al controllo tra i dati estratti dal sistema e quelli risultanti dagli atti contenuti nel fascicolo processuale. In via transitoria, fino al completamento del processo di informatizzazione del servizio, le medesime informazioni potranno essere desunte dal foglio delle notizie, che, come si è detto in precedenza, deve essere inserito nel fascicolo processuale e sul quale l’ufficio che procede all’annotazione sul registro delle spese pagate dall’erario o delle spese prenotate a debito deve riportare gli importi alle spese anticipate, solo se ripetibili, e quelle prenotate a debito.
Si ritiene che il foglio delle notizie vada comunque inserito nei fascicoli processuali, indipendentemente dall’esistenza o meno di spese anticipate o prenotate a debito, in modo che, nel passaggio del Fascicolo ad altro ufficio, l’ufficio remittente possa effettuare apposita attestazione relativa alle spese processuali (57).
Entro un mese dal passaggio in giudicato, o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo, o dalla cessazione dell’espiazione della pena in istituto, l’ufficio competente deve chiedere la notifica, ai sensi dell’art 137 e ss. c.p.c. (58), dell’apposito invito al pagamento (v. allegato A in appendice al capitolo), a cui va allegato il modello di pagamento Mod. F23 (59) (v. allegato B in appendice al capitolo): ciò consente al debitore di conoscere l’esatto importo da pagare e di procedere eventualmente all’adempimento spontaneo in modo da evitare le ulteriori lungaggini e spese proprie della procedura esattoriale. Il modello di pagamento, debitamente precompilato, in particolare, con i dati del versamento (codici ed importi) (60), deve indicare altresì gli importi prenotati a debito a favore di soggetti diversi dall’erario (61): ciò al fine di consentirne il riversamento a loro favore da parte del concessionario, una volta concluso il procedimento di riscossione.
Nell’invito al pagamento è fissato inoltre il termine di un mese per adempiere, con espressa avvertenza che sì procederà ad iscrizione a ruolo in caso di mancato pagamento entro il termine stabilito, ed è richiesto al debitore di depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall’avvenuto pagamento.
La nuova disciplina, dettata dall’art. 212 T.U., non prevede invece la notifica dell’estratto del titolo esecutivo, a differenza di quanto era stabilito in precedenza.
Si ricorda che, a norma dell’art. 5, comma 4, della Tabella Allegato B al D.P.R. 26-10-1972, n. 642, gli atti e le copie relativi al procedimento, anche esecutivo, per la riscossione delle entrate, anche quelle non aventi natura tributaria, beneficiano dell’esenzione dall’imposta di bollo (compreso quindi il c.d. bollo di quietanza).
Scaduto inutilmente il termine per l’adempimento, computato dall’avvenuta notifica dell’invito al pagamento e decorsi i dieci giorni per il deposito della ricevuta di versamento, l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo e alla consegna del medesimo al concessionario, secondo le norme richiamate dall’art. 223 T.U., ed in particolare, per ciò che riguarda le cancellerie, l’art. 12, commi 1,2 e 4, e l’art. 24, D.P.R. 29-9-1 973, n. 602, rispettivamente relativi la formazione dei ruoli e la loro consegna al concessionario (62). Per tali adempimenti gli uffici giudiziari devono preventivamente prendere contatti con le sedi periferiche del Consorzio nazionale dei Concessionari, al fine di ricevere le necessarie istruzioni e la relativa modulistica (63).
Anche nel ruolo, come già detto per l’invito al pagamento, devono risultare gli importi prenotati a debito a favore di soggetti diversi dall’erario per consentirne il riversamento da parte del concessionario all’esito della riscossione (art. 217 T.U.). La disposizione si riferisce non solo alle somme dovute agli ufficiali giudiziari, ma anche ad altri soggetti, come ad esempio agli ausiliari del magistrato nel caso in cui, a seguito di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, essi abbiano richiesto la prenotazione a debito delle somme spettanti, a norma dell’art. 131 T.U. (64).
La c.d. riscossione esattoriale, regolata dal D.P.R. 29-9-1973, n. 602, dal D.Lgs. 26-2-1999, n. 46, e dal D.Lgs. 13-4-1999, n. 112, si svolge secondo forme semplificate rispetto all’esecuzione forzata prevista dal codice di procedura civile: il concessionario notifica al debitore la cartella esattoriale, la quale contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. In caso di mancato adempimento spontaneo, sono addebitati gli interessi moratori di cui all’art. 30, D.P.R. n. 602/1973; quindi, se del caso, si procede direttamente al pignoramento mobiliare (presso il debitore o presso terzi) e immobiliare senza avvalersi dell’ufficiale giudiziario. Le funzioni del giudice dell’esecuzione sono svolte dal tribunale ordinario, mentre quelle dell’ufficiale giudiziario dal concessionario a mezzo di «ufficiali della riscossione».
Le spese delle procedure esecutive relative a tutte le entrate iscritte a ruolo sono riscosse dal concessionario nel processo in corso per la riscossione coattiva del credito principale (65).
In caso di impugnazione del ruolo, il funzionario addetto all’ufficio può sospendere la riscossione sulla base di criteri determinati con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia (66).
13. DISCARICO AUTOMATICO DAL RUOLO
Una volta iscritto il credito a ruolo, l’ufficio di cancelleria ha l’onere di comunicare di volta in volta al concessionario e alla competente ragioneria provinciale dello State le sopravvenute cause di sospensione o di estinzione della riscossione, anche ai fini del discarico delle quote iscritte a ruolo, di cui all’ari. 19, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112 (art. 214 T.U.).
Agli stessi fini, il concessionario deve trasmette, anche in via telematica, all’ufficio competente, una specifica comunicazione di inesigibilità, con le modalità indicate dal D.M. (Finanze) 22-10-1999. Decorsi tre anni dalla predetta comunicazione, infatti, il concessionario è automaticamente discaricato (67): il discarico automatico, ai sensi dell’ari. 210 T.U., comporta l’eliminazione dalle scritture patrimoniali dei crediti eri, non occorrendo alcun provvedimento di annullamento del credito, che invece è previsto in via ordinaria dall’art. 265, comma
3, R.D. 23-5-1924, n. 827.
Nel caso di crediti relativi alla pena pecuniaria, non si avrà il discarico ma l’apertura del procedimento di conversione (v. infra).
Fino al discarico, resta salvo il potere dell’ufficio competente di comunicare, in ogni momento, al concessionario l’esistenza di nuovi beni da sottoporre ad esecuzione; in tal caso il concessionario ha l’obbligo di agire su tali beni.
La documentazione cartacea relativa alle procedure esecutive poste in essere dal concessionario è conservata, fino al discarico delle relative quote, dallo stesso concessionario. Fino a quel momento, l’ufficio competente può richiedere al concessionario la trasmissione della documentazione relativa alle quote per le quali intende esercitare il controllo di merito, ovvero procedere alla verifica della stessa documentazione presso il concessionario; se entro trenta giorni dalla richiesta, il concessionario non consegna, ovvero non mette a disposizione tale documentazione, perde il diritto al discarico della quota.
14. IN PARTICOLARE: DISCARICO AUTOMATICO PER
SPESE DI IMPORTO NON SUPERIORE A 25,82 EURO
Già nell’ambito della pregressa disciplina della riscossione era sorta l’esigenza di individuare un meccanismo semplificato attraverso il quale eliminare le partite di credito relative a spese processuali e di mantenimento, in presenza di due specifiche condizioni:
— il modico valore del credito;
— accertamento dell’insolvibilità del debitore, reso inconfutabile dall’esecuzione di un primo pignoramento infruttuoso.
Per rispondere a tale esigenza, l’articolo unico della L. 8-3-1989, n. 89, dispose l’annullamento degli articoli di credito per spese di giustizia quando il credito non superasse l’importo di 25,82 euro (già L. 50.000), adeguabile ogni biennio secondo indici ISTAT, ma di fatto mai adeguato. La disposizione si applicava però solo ai crediti iscritti nel campione penale.
Il testo unico in materia di spese di giustizia, riprendendo il precetto della L. n. 89/1989, ha sancito all’art. 230 il discarico automatico per i crediti al di sotto di un determinato importo e relativi a spese processuali e di mantenimento, qualora risulti infruttuoso il primo pignoramento.
Per l’individuazione dell’importo di riferimento, tuttavia, bisognerà attendere l’emanazione di uno specifico regolamento, il quale dovrà tener conto dei costi per la riscossione e degli importi dei crediti per i quali, ai sensi dell’art. 228 T.U., neanche si procederà a notificare l’invito al pagamento (v. infra).
Non sono soggetti al discarico disciplinato dall’art. 230 T.U. i crediti il cui importo costituisce il residuo di un altro originariamente più elevato.
Ai sensi dell’art. 288 T.U., sino a che il regolamento previsto dall’art 230 T.U. non individua importi più alti, il credito iscritto a ruolo concernente le spese processuali e di mantenimento di importo non superiore a euro 25,82 (68) è discaricato automaticamente se risulta infruttuoso il primo pignoramento.
Infine, l’art,. 231 T.U. rinvia ad un futuro decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, con il quale dovranno essere fissati i criteri eccezionali sulla base dei quali l’ufficio è tenuto alla reiscrizione degli articoli di ruolo discaricati ai sensi delle disposizioni sopra richiamate (69).
15. PAGAMENTI INDEBITI
Se le somme iscritte a ruolo, pagate dal debitore, sono riconosciute indebite, l’ufficio competente incarica dell’effettuazione del rimborso il concessionario, che provvede al pagamento nei successivi sessanta giorni mediante anticipazione delle relative somme.
L’ufficio è tenuto quindi a restituire al concessionario le somme anticipate, corrispondendo sulle stesse gli interessi legali a decorrere dal giorno dell’effettuazione del rimborso al debitore, nonché a rimborsare allo stesso le spese relative alle procedure esecutive (70). A tal fine, l’ari 216 T.U. dispone che il funzionario addetto all’ufficio emette gli appositi ordini di pagamento a valere sulle aperture di credito disposte con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia.
Se invece le somme iscritte a ruolo sono riconosciute indebite prima del pagamento, si procede a rettifica del ruolo secondo modalità definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (art. 26, D.Lgs. n. 112/1999).
16. DILAZIONE E RATEIZZAZIONE DEL CREDITO
La disciplina relativa alla dilazione e rateizzazione del credito non ha carattere generale, dovendosi distinguere l’ipotesi riguardante il credito per la pena pecuniaria da quello riguardante le sanzioni amministrative pecuniarie o ancora le altre voci di credito.
A) Spese processuali e di mantenimento, sanzioni pecuniarie processuali
A norma dell’art. 232 T.U., il debitore può chiedere la dilazione o la rateizzazione dell’importo dovuto per spese processuali, spese di mantenimento dei detenuti e per sanzioni pecuniarie processuali, indicando le cause che gli impediscono di soddisfare immediatamente il debito e il termine più breve che gli occorre per provvedervi. La richiesta può intervenire sia nella fase dell’adempimento spontaneo che in quella della riscossione mediante ruolo; in ogni caso deve essere presentata, a pena di decadenza, prima dell’inizio della procedura esecutiva (71).
Sulla richiesta decide il funzionario addetto all’ufficio entro un mese dalla presentazione, secondo criteri e modalità che dovranno essere individuati da un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia (72).
Le rate scadono l’ultimo giorno del mese. Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o dilazionato, si applicano gli interessi al tasso
del sei per cento annuo a beneficio dell’erario. L’ammontare degli interessi dovuto è determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la prolungata rateazione ed è riscosso unitamente al credito principale alle scadenze stabilite (73).
In caso di mancato pagamento di una rata il debitore decade automaticamente dal beneficio ed è tenuto al pagamento, in un’unica soluzione, della restante parte del debito. In particolare, a norma dell’art. 218 T.U., se il credito era stato rateizzato prima dell’iscrizione a ruolo, al primo inadempimento viene iscritto per l’intero o per il residuo; se invece era stato dilazionato o rateizzato dopo l’iscrizione a ruolo, la riscossione mediante ruolo è sospesa e al primo inadempimento è riavviata per l’intero o per il residuo.
B) Sanzioni amministrative pecuniarie
Riguardo alle sanzioni amministrative pecuniarie inflitte agli enti che hanno commesso illeciti amministrativi dipendenti da reato, l’art. 240 TU. non richiama la disciplina applicabile alle spese processuali, bensì, riprendendo il precetto dell’ari. 75, comma 2, D. Lgs. 8-6-2001, n. 231, le disposizioni dettate dall’art. 19, D.P.R. n. 602/1973 per le entrate tributarie.
L’ufficio competente, su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di sessanta rate mensili ovvero la sospensione della riscossione per un anno e, successivamente, la ripartizione del pagamento fino ad un massimo di quarantotto rate mensili. Se l’importo iscritto a ruolo è superiore ad curo 25.822,84, il riconoscimento di tali benefici è subordinato alla prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria.
La richiesta, di rateazione deve essere presentata, a pena dì decadenza, prima dell’inizio della procedura esecutiva.
Le rate mensili nelle quali il pagamento è stato dilazionato scadono l’ultimo giorno di ciascun mese.
in caso di mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate, il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione e l’intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione; ulteriore conseguenza è che il carico non può più essere rateizzato. Inoltre, se, a seguito di decadenza del contribuente dal beneficio della dilazione, il fideiussore non versa l’importo garantito entro trenta giorni dalla notificazione di apposito invito, contenente l’indicazione delle generalità del fideiussore stesso, delle somme da esso dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa, il concessionario può procedere ad espropriazione forzata nei suoi confronti sulla base dello stesso ruolo emesso a carico del debitore.
C) Pene pecuniarie
Dispone l’art. 133 ter c.p. che il giudice, tenuto conto delle condizioni economiche del condannato, con la sentenza di condanna o con il decreto penale di condanna può disporre la rateizzazione della pena pecuniaria, con ripartizione in rate mensili da tre a trenta, ciascuna per un importo non inferiore ad euro 15,49.
In ogni momento il condannato può estinguere la pena mediante un unico pagamento.
Parimenti, quando a norma dell’art. 238 T.U. il giudice dell’esecuzione accerta l’insolvibilità del debitore con riguardo alla pena pecuniaria, lo stesso giudice può disporre la rateizzazione della pena a norma dell’art. 133 ter c.p., qualora non sia stata già disposta con la sentenza di condanna, o il differimento della conversione per un tempo non superiore a sei mesi, rinnovabile per una sola volta se Io stato di insolvibilità perdura, e il concessionario è automaticamente discaricato per l’articolo di ruolo relativo.
Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale la conversione è stata differita.
In qualsiasi caso di rateizzazione delle pene pecuniarie, l’art. 236 T.U. dispone che l’invito al pagamento o il provvedimento del giudice contenga l’indicazione dell’importo e la scadenza delle singole rate. Non sono dovuti interessi per la rateizzazione.
Il termine per il pagamento decorre dalla scadenza delle singole rate. In caso di mancato pagamento di una rata il debitore decade automaticamente dal beneficio ed è tenuto al pagamento, in un’unica soluzione, della restante parte del suo debito.
17. REMISSIONE DEL DEBITO PER SPESE
La remissione del debito costituisce una modalità non satisfatoria di estinzione dell’obbligazione (74), applicabile però solo alle spese processuali in materia penale e alle spese di mantenimento in carcere.
L’istituto della rimessione del debito, già previsto dall’art. 56, L. 26- 7-1975, n. 354, e ora dall’art. 6 T.U. n. 115/2002, trova la sua ratio nella necessità di evitare al condannato il sacrificio di carattere patrimoniale, consistente nel pagamento delle spese a suo carico, riconoscendogli un premio per aver tenuto una condotta regolare.
La remissione del debito è concessa dal magistrato di sorveglianza, su domanda, corredata da idonea documentazione, presentata dall’interessato o dai prossimi congiunti, ovvero proposta dal consiglio di disciplina, di cui alla L. n. 354/1975.
La domanda può essere presentata fino a che non è conclusa la procedura di recupero che, se in corso, è sospesa di diritto. A tal fine, la cancelleria dell’ufficio di sorveglianza dà notizia della avvenuta presentazione dell’istanza o della proposta alla cancelleria competente per le attività connesse al recupero (75). Alla medesima cancelleria viene comunicata l’ordinanza di accoglimento o di rigetto.
Della richiesta di remissione del debito concernente le spese di mantenimento viene data comunicazione anche alla direzione dell’istituto da cui il detenuto o l’internato è stato dimesso. A seguito di questa comunicazione, o contemporaneamente alla proposta di remissione del debito, la direzione dell’istituto che non abbia ancora provveduto, non dà corso alla procedura per il recupero delle spese di mantenimento. L’ordinanza di accoglimento o di rigetto viene comunicata alla direzione competente.
L’applicazione del beneficio richiede il concorso di due condizioni:
a) le disagiate condizioni economiche;
b) la regolarità nella condotta tenuta dal condannato in sede di espiazione della pena ovvero in libertà.
Per l’accertamento delle condizioni economiche, il magistrato di sorveglianza si avvale della collaborazione del centro di servizio sociale e può chiedere informazioni agli organi finanziari.
Per l’accertamento della condizione sub b), il magistrato di sorveglianza tiene conto, per la valutazione della condotta del soggetto, oltre che degli elementi di sua diretta conoscenza, anche delle annotazioni contenute nella cartella personale, con particolare riguardo al
l’evoluzione della condotta del soggetto (art. 106, D.P.R. 30-6-2000, n. 230); in particolare, a norma dell’art. 30 ter, comma 8, L. n. 354/1975, la condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali. Se invece non vi è stata detenzione, si tiene conto della regolarità della condotta in libertà.
A seguito della comunicazione dell’ordinanza di rigetto viene dato corso alla procedura sospesa o non ancora iniziata.
18. CONVERSIONE DELLA PENA PECUNIARIA
Di fronte ad un debito per spese processuali, lo Stato ben può decidere di rinunciare all’esazione in presenza di particolari condizioni del debitore (si pensi alla remissione del debito) o comunque nel caso in cui si sia fatto tutto il possibile per riscuotere, ma inutilmente. Diversa è la situazione delle pene pecuniarie, la cui disciplina è ispirata a principi differenti, quali l’irrinunciabilità ed il favor nei confronti del debitore, sicché tutte le volte che il debitore sia insolvente per effettive difficoltà economiche, si può ricorrere alla rateizzazione o alla dilazione, ma in nessun caso alla rinuncia definitiva al credito, che, al contrario, in ultima istanza può essere convertita in una sanzione comunque limitativa della libertà personale, anche se non più a carattere detentivo (76).
Non è convertibile la pena pecuniaria che si riferisca a reato commesso precedentemente alla dichiarazione di fallimento del condannato, qualora la procedura fallimentare sia ancora in corso (77).
A norma dell’art. 237 T.U., entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione, da parte del concessionario, relativa all’infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni, l’ufficio che ha in carico il credito investe il pubblico ministero, perché attivi la conversione presso il giudice dell’esecuzione competente, che è quello individuato a norma dell’art. 665 c.p.p. e dell’art. 40, D.Lgs. 28-8-2000,
n. 274 (78).
La competenza riconosciuta in capo al giudice dell’esecuzione costituisce una importante novità introdotta dal testo unico in materia di spese di giustizia, dal momento che in precedenza era prevista la competenza del magistrato di sorveglianza; la novità si spiega da un lato con la necessità di armonizzare la disciplina della conversione, visto che già per i procedimenti innanzi al giudice di pace è quest’ultimo, in funzione di giudice dell’esecuzione, a provvedere alla conversione ai sensi dell’ari. 42, D.Lgs. n. 274/2000 (abrogato poi dalle nuove disposizioni), e dall’altro con l’esigenza di escludere la competenza dell’ufficio di sorveglianza, visto che tale competenza non ha più senso ora che la pena pecuniaria non sì converte più in pena detentiva.
Per ciò che riguarda la comunicazione, da parte del concessionario, circa lo stato della procedura esecutiva, essa è effettuata a norma degli artt. 19 e 36, D.Lgs. n. 112/1999 e con le modalità indicate dal D.M. (Finanze) 22-10-1999 (79). Da tali norme si evince:
— il concessionario è obbligato a trasmettere mensilmente all’ufficio che ha formato il ruolo le informazioni relative allo svolgimento del
servizio e all’andamento delle riscossioni;
— le informazioni sono riferite alle singole quote comprese nei ruoli;
— il concessionario perde il diritto al discarico se non trasmette la prima informazione entro il diciottesimo mese successivo alla consegna del ruolo e, successivamente, con cadenza annuale.
Ciò permetterà all’ufficio di cancelleria competente di procedere tempestivamente alla conversione della pena.
Attivata la procedura, l’articolo di ruolo relativo alle pene pecuniarie è sospeso.
Dispone l’art. 238 T.U. che il giudice dell’esecuzione competente, al fine di accertare l’effettiva insolvibilità del condannato, dispone le opportune indagini nel luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si ha ragione di ritenere che lo stesso possiede nuovi beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari. Le medesime indagini dovranno eventualmente riguardare anche la persona obbligata per la pena pecuniaria, e cioè quella persona che, a norma degli artt. 196 e 197 c.p. e 534 c.p.p. è obbligata a pagare una somma pari alla pena pecuniaria inflitta al condannato, nel caso in cui questi risulti insolvibile.
A norma dell’art. 239 T.U., il giudice competente per il processo di conversione comunica l’esito degli accertamenti sui nuovi beni all’ufficio che ha in carico il credito e al concessionario e, in caso di esito positivo, restituisce gli atti al pubblico ministero.
Se il giudice dell’esecuzione accerta la solvibilità, il concessionario riprende la riscossione coattiva sullo stesso articolo di ruolo; se invece il debitore risulta insolvibile, il giudice può innanzitutto disporre la rateizzazione della pena a norma dell’art. l33 ter c.p., qualora non sia stata già disposta con la sentenza di condanna, o il differimento della conversione per un tempo non superiore a sci mesi (80), e il concessionario è automaticamente discaricato (81) per l’articolo di ruolo relativo. Il differimento è rinnovabile per una sola volta se lo stato di insolvibilità perdura.
Alla scadenza del termine fissato per l’adempimento, anche rateizzato, è ordinata la conversione, dell’intero o del residuo. L’eventuale
ricorso avverso tale ordinanza ne sospende l’esecuzione.
Con l’ordinanza che dispone la conversione il giudice dell’esecuzione determina le modalità di esecuzione delle sanzioni conseguenti in osservanza delle disposizioni attualmente vigenti, e segnatamente degli artt. 102, 103, 105 107 e 108, L. 24-1 1-1981, n. 689, nonché, per i reati di competenza del giudice di pace, dell’art. 55, D.Lgs. 28-8-2000, n. 274.
A norma dell’art. 102, L. n. 689/1981, le pene della multa e dell’ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato si convertono nella libertà controllata per un periodo massimo, rispettivamente, di un anno e di sei mesi.
A richiesta del condannato, la pena pecuniaria può essere convertita, in alternativa, in lavoro sostitutivo (82). Questo consiste nella prestazione di un’attività non retribuita (83), a favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, o presso enti, organizzazioni o corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela dell’ambiente naturale o di incremento del patrimonio forestale, previa stipulazione, ove occorra, di speciali convenzioni (ari. 105, L. n. 689/1981).
Vige, comunque, un limite agli aumenti in caso di conversione di più pene pecuniarie concorrenti: la durata complessiva della libertà controllata non può superare un anno e sci mesi, se la pena convertita & quella della multa, e nove mesi se la pena convertita quella dell’ammenda, mentre la durata complessiva del lavoro sostitutivo non può superare in ogni caso i sessanta giorni (art. 103, L n. 689/1981).
Il ragguaglio tra pena da convertire e sanzione sostitutiva ha luogo calcolando 38,73 curo, o frazione di tale importo, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata (84) e 25,82 curo, o frazione ditale importo, per un giorno di lavoro sostitutivo.
11 condannato può sempre far cessare la pena sostitutiva pagando la multa e l’ammenda, dedotta la somma corrispondente alla durata della libertà controllata scontata o del lavoro sostitutivo prestato.
Dispone infine l’ari. 108, L. n. 689/1981, che quando violata anche solo una delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata, ivi comprese quelle inerenti al lavoro sostitutive, conseguenti alla conversione di pene pecuniarie, la parte di libertà controllata o di lavoro sostitutivo non ancora eseguita si converte in un uguale periodo di reclusione o di arresto, a seconda della specie della pena pecuniaria originariamente inflitta.
Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi (art. 55, D.Lgs. n. 274/ 2000).
Il lavoro sostitutivo deve essere svolto con le stesse modalità previste per il lavoro di pubblica utilità (85), che è una delle sanzioni applicabili dal giudice di pace al condannato. Tali modalità sono state in concreto individuate dal D.M. (Giustizia) 26-3-2001, mentre il successivo D.M. (Giustizia) 16-7-2001 ha conferito espressa delega ai Presidenti dei tribunali per la stipula di apposite convenzioni con amministrazioni, enti, ovvero organizzazioni di assistenza sociale o di volontariato presso cui il lavoro di pubblica utilità può essere svolto.
Ai fini della conversione, un giorno di lavoro sostitutivo applicato dal giudice di pace equivale a 12,91 euro di pena pecuniaria. Il condannato può sempre far cessare la pena del lavoro sostitutivo pagando la pena pecuniaria, dedotta la somma corrispondente alla durata del lavoro prestato.
Se invece il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo previsto dalle norme sulla competenza penale del giudice di pace, le pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità si convertono nell’obbligo di permanenza domiciliare con le forme e nei modi previsti dall’art. 53, comma 1, D.Lgs. n. 274/2000(86). Ai fini della conversione un giorno di permanenza domiciliare equivale a 25,82 euro di pena pecuniaria e la durata della permanenza non può essere superiore a quarantacinque giorni.
Quando è violato l’obbligo del lavoro sostitutivo conseguente alla conversione della pena pecuniaria disposta dal giudice di pace, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte nell’obbligo di permanenza domiciliare secondo i criteri di ragguaglio sopra indicati (art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 274/2000).
Riguardo infine al problema del rapporto tra conversione e prescrizione della pena, (considerato che può realizzarsi la prima solo se la seconda non si è ancora verificata), c’è da rilevare che, poiché il termine di prescrizione delle pene non è soggetto né a sospensione, né ad interruzione, ad eccezione di quanto previsto dall’art. 238, comma 5, T.U. (87), la sanzione sostitutiva andrà eseguita entro il termine in cui avrebbe dovuto esserlo la sanzione sostituita. Sicché, maturata la prescrizione, non resterà che prenderne atto con una pronuncia di accertamento da parte del giudice dell’esecuzione, pronuncia che può avvenire anche ad impulso d’ufficio, e quindi sollecitata dalla cancelleria che ne abbia notizia (88).
19. ANNULLAMENTO DEL CREDITO
L’irreperibilità del debitore, quale causa di annullamento del credito, rientra nella più ampia categoria dell’inesigibilità di cui all’art. 265, R.D. 23-5-1924, n. 827; tuttavia, quest’ ultima nel testo unico in materia di spese di giustizia non assume rilevanza riguardo al tema dell’annullamento, giacché essa rileva solo nella fase dell’esecuzione ad opera del concessionario e produce al contrario il discarico dal ruolo da effettuarsi con le modalità e nei termini visti in precedenza.
D’altra parte, non ha senso enucleare una categoria generale di credito inesigibile, visto che, per quanto riguarda la pena pecuniaria, l’in fruttuoso pignoramento sui beni del debitore apre le porte non alla rinuncia al credito, bensì alla conversione della pena (v. supra).
Nel testo unico è invece espressamente disciplinata l’ipotesi di irreperibilità del debitore. Tale condizione è individuata dall’art. 219 T.U. allorquando la notifica dell’invito al pagamento sia avvenuta ai sensi dell’art. 143 c.p.c., il quale disciplina la notificazione a persona di residenza, dimora o domicilio sconosciuti.
La regola generale è che in tal caso l’ufficio annulla il credito, previo parere conforme dell’Avvocatura dello Stato nel caso in cui l’importo superi quello previsto dall’art. 265, R. D. n. 827/1924, e cioè, attualmente, 2.582,28 euro. Tale regola, sancita dall’art. 219 T.U. contiene due importanti novità rispetto alla disciplina pregressa:
— non è più richiesto, come invece disposto in via generale dall’art. 265, R.D. n. 827/1924, che l’annullamento sia decretato dall’amministrazione finanziaria;
— si prende atto che, in forza dell’ari. 17, comma 26, L. 15-5-1997, n. 127 (L. Bassanini), non è più previsto come obbligatorio il previo parere del Consiglio di Stato (già stabilito per crediti superiori a 20.658,28 euro).
Si sottolinea inoltre che il legislatore del testo unico ha evitato accuratamente di considerare i crediti relativi agli irreperibili meramente sospesi, al fine di escludere che le cancellerie si ritenessero obbligate a riprovare la notifica di tanto in tanto, a causa delle possibili responsabilità conseguenti all’eventuale prescrizione dei crediti (89)
A norma dell’art. 265 u.c. R.D. n. 827/1924, i provvedimenti di annullamento sono sottoposti alla registrazione della Corte dei conti.
Disposizioni particolari sono poi dettate dall’art. 235 T.U. con riguardo alle sole pene pecuniarie, alfine di contemperare il carattere di irrinunciabilità della pena, che ispira anche le norme sulla conversione, con la necessità di evitare un inutile spreco di risorse nel tentativo di esazione. Posto il principio, derivante dall’art. 219 T.U. secondo cui se l’invito al pagamento è riferito alle spese e alle pene pecuniarie, si provvede all’annullamento del credito in caso di irreperibilità del debitore, a norma dell’ari. 235, comma i, T.U., l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo solo se, ovviamente nei limiti della prescrizione, il debitore dovesse risultare reperibile.
Più particolare è però la previsione dei due commi successivi, i quali, sfruttando le possibilità derivanti dall’applicazione delle disposizioni in tema di esecuzione di pene detentive, stabiliscono che nel caso in cui l’esecuzione riguardi reati per i quali c’è stata condanna a pena detentiva, ]‘ufficio, quando la notifica si ha per eseguita ai sensi dell’ari. 143 c.p.c., annulla il credito e rimette gli atti al pubblico ministero per l’esecuzione con il rito degli irreperibile. Quindi, solo nel momento in cui dovesse risultare reperibile il debitore, il pubblico ministero rimetterà gli atti all’ufficio per l’iscrizione a ruolo del credito.
La disciplina prevista per le pene pecuniarie è stata estesa dall’ari. 241 T.U. anche alle sanzioni amministrative pecuniarie, in virtù della loro equiparazione disposta dall’ari. 75, D.Lgs. 8-6-200 1, n. 231 (equiparazione che evidentemente non può riguardare né la conversione della pena né l’esecuzione di pene detentive); pertanto, qualora l’invito al pagamento sia riferito alle spese e alle sanzioni amministrative pecuniarie, dopo l’annullamento del credito ai sensi dell’ari. 219 TU., l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo solo se il debitore risulta successivamente reperibile.
A norma dell’art. 220 T.U., in tutti i casi in cui il credito è estinto legalmente, l’ufficio provvede direttamente all’annullamento ai sensi dell’art. 267, comma 1, R.D. n. 827/1924. Se il credito risulta già iscritto a ruolo, viene discaricato automaticamente, con le conseguenze indicate dall’art. 210 T.U. (senza quindi un formale annullamento del credito).
Tra le ipotesi di estinzione legale del credito, ricordiamo:
— l’intervenuta prescrizione del credito stesso (90);
— limitatamente alle pene pecuniarie, tutti i casi di estinzione del reato (91);
— riguardo alle spese di giustizia in materia penale, la morte del debitore (92);
— il credito fondato su una norma dichiarata incostituzionale(93).
Una particolare ipotesi di estinzione legale è individuata dall’art. 228 T.U., il quale si riferisce alle sole spese processuali e di mantenimento.
Riguardo a tali crediti, infatti, è previsto che per specifici importi non si proceda neanche alla notifica dell’invito al pagamento, anticipando pertanto l’annullamento al momento immediatamente successivo alla fase di quantificazione. Naturalmente, i predetti importi non devono riferirsi a quelli che costituiscono il residuo di un importo originariamente più elevato.
Per l’operatività della disposizione è necessario attendere la normazione secondaria, e cioè un regolamento da approvarsi con decreto del presidente della Repubblica, su proposta de] Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, che dovrà tener conto dei costi per la riscossione, anche con riferimento alle attività per le notifiche all’estero.
Nell’attesa, vale la disposizione transitoria dettata dall’art. 287 T.U.: per importi inferiori a quello previsto dall’ari. l2bis, D.P.R. n. 60211973, attualmente pari a 16,53 euro (94), l’ufficio non effettua l’iscrizione a ruolo in caso di inadempimento di crediti relativi a spese processuali e di mantenimento (e Cioè quando, a seguito dell’invito al pagamento, il debitore non paga l’importo dovuto) (95).
Quest’ultima regola è applicabile anche alle sanzioni pecuniarie processuali, giusto disposto dell’art. 229 T.U., ma questa volta non in via
transitoria, bensì come regola ordinaria.
20. VERSAMENTO DI SOMME
AGLI UFFICIALI GIUDIZIARI
A norma dell’art. 243 T.U., il concessionario, previa ritenuta della tassa del dieci per cento (96), versa alla fine di ogni mese all’UNEP (97) le somme relative a diritti e indennità di trasferta prenotate a debito (ai sensi degli artt. 33 e 131 T.U.), nonché le somme relative ai diritti per le notifiche in materia penale effettuate a richiesta di ufficio (ai sensi dell’art. 25 T.U.).
In caso di recupero parziale, tutti i crediti prenotati a debito e spettanti agli ufficiali giudiziari, come ad ogni soggetto diverso dall’erario, sono prelevati con privilegio di pari grado sulle somme riscosse (art. 245 T.U.).
Il nuovo sistema di riscossione ha inoltre lasciato immutata la regola per cui gli ufficiali giudiziari sono retribuiti anche «con una percentuale sui crediti recuperati dall’erario, sui campioni civili, penali e amministrativi e sulle somme introitate dall’erario per la vendita dei corpi di reato, in ragione del 15 per cento» (98).
Attualmente, le somme spettanti sono ripartite tra gli ufficiali giudiziari con le modalità indicate dall’art. 6 del C.C.N.L sottoscritto il 24-4-2002.
A seguito dell’abolizione dei servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari, fin dal 1998 era stato disposto che i concessionari comunicassero due volte al mese agli uffici giudiziari competenti le somme riscosse per i campioni penali e civili, affinché questi ultimi potessero compilare una proposta di liquidazione, comprensiva anche delle somme ricavate dalla vendita dei corpi di reato (99). Le proposte, unitamente all’indicazione del dirigente UNE? beneficiano, dovevano essere trasmesse all’Ufficio delle entrate competente, perché questi provvedesse alla liquidazione definitiva; infine, alla Direzione regionale delle entrate spettava l’emissione dell’ordinativo di pagamento, a cadenza bimestrale.
A decorrere dal l° gennaio 2002, la competenza alla liquidazione della percentuale sui crediti riscossi è passata dal Ministero dell’economia e delle finanze al Ministero della giustizia, mediante la gestione diretta di un apposito capitolo di bilancio; da tale data, è stato disposto che le proposte di liquidazione, entro il giorno cinque del mese successivo al bimestre di riferimento, fossero trasmesse al Ministero della giustizia per il tramite delle Corti di appello, in modo che in favore dei rispettivi presidenti, quali funzionari delegati, potessero essere predisposti i necessari ordinativi di accreditamento ai fini della successiva attribuzione agli uffici NEP (l00)
Il sistema di versamento delle percentuali agli ufficiali giudiziari è nuovamente mutato a seguito dell’entrata in vigore del testo unico in materia di spese di giustizia; l’ad. 246 TU. infatti stabilisce che «la percentuale spettante agli ufficiali giudiziari sui crediti recuperati relativi alle spese processuali, civili, amministrative e contabili, e alle pene pecuniarie, considerati al netto delle somme riversate a terzi, nonché sulle somme ricavate dalla vendita dei beni oggetto di confisca penale è liquidata, cori cadenza bimestrale, dai concessionari all’UNEP», secondo modalità e regole tecniche che dovranno essere stabilite con apposito decreto dirigenziale del Ministero della giustizia. In tal modo si è raggiunto lo scopo di semplificare al massimo la preesistente procedura; del resto, i concessionari sono in grado di pagare direttamente avendo tutte le informazioni utili: hanno l’evidenza del riscosso, detratte le somme spettanti a terzi, ed hanno l’evidenza delle somme ricavate dalla vendita dei beni confiscati (101).
21. RISCOSSIONE DEL CONTRIBUTO UNIFICATO
In caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato si applicano le disposizioni di cui agli artt. 247 e ss. T.U.: la cancelleria competente al recupero è quella presso il magistrato dove è stato depositato l’atto che ha reso necessario il pagamento o l’integrazione del contributo unificato.
Entro trenta giorni dal deposito del predetto atto, la cancelleria deve notificare alla parte, ai sensi dell’art. 137 c.p.c., e quindi a mezzo ufficiale giudiziario, l’invito al pagamento dell’importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra la dichiarazione resa e il corrispondente scaglione ovvero, mancando la dichiarazione, ai sensi dell’art. 13, comma 6, T.U., con espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese. Gli interessi decorrono dal deposito dell’atto cui si collega il pagamento o l’integrazione del contributo (art. 1 6 T.U.).
Nell’invito devono essere indicati il termine e le modalità per il pagamento; al debitore deve essere inoltre richiesto di depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall’avvenuto pagamento.
L’invito va notificato alla parte nel domicilio eletto o, nel caso che mancata elezione di domicilio, depositato presso l’ufficio.
Alla riscossione del contributo unificato si applicano le disposizioni relative alla riscossione mediante ruolo, contenute nello stesso testo unico o comunque da CSSO richiamate, e principalmente quelle relative a:
- il discarico automatico che tiene luogo dell’annullamento art. 210 T.U.);
- la correzione degli errori nella quantificazione dell’importo (art. 21 1, comma 2, TU.);
- l’iscrizione a ruolo (art. 213 T.U.);
- la comunicazione al concessionario e alla ragioneria provinciale, da parte della cancelleria, delle sopravvenute cause di sospensione o estinzione della riscossione (art. 214 T.U.);
- la sospensione della riscossione in caso di impugnazione del ruolo (art. 215 T.U.);
- il rimborso al concessionario per pagamenti indebiti (art. 216 T.U.);
- l’annullamento per irreperibilità (art. 219 TU.);
- l’annullamento per insussistenza (art. 220 T.U.);
- il rinvio alle norme relative ad altre entrate dello Stato (arti. 222- 227 T.U.);
- l’estinzione legale del credito, per determinati importi, all’atto della quantificazione (ari. 228 T.U.);
- il discarico automatico per inesigibilità (ari. 230 T.U.);
- l’eccezionale ipotesi di reiscrizione a ruolo del credito (ari. 231 T.U.);
- il recupero delle spese di riscossione unitamente al credito principale (art. 234 T.U.).
Tra le disposizioni richiamate dall’art. 249 T.U., non figurano quelle relative alla dilazione e rateizzazione del pagamento, in quanto il legislatore, come si è visto, ha stabilito la decorrenza degli interessi in caso di mancato spontaneo adempimento e di conseguente iscrizione a ruolo, così escludendo in radice la possibilità di differimento e rateizzazione (102).
(1) E vigono tuttora ai sensi delle disposizioni transitorie (v. infra).
(2) Cfr. nota Mm. Giust, n. 8/4180/60/2, in data 23-12-1997, Aff. Civ., Uff. IV.
(3) La materia relativa alle spese processuali anticipate dall’erario o prenotate a debito nel Caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato stata trattata nel cap. V.
(4) Per le sanzioni pecuniarie nel processo penale i riferimenti normativi sono:
- condanna alla perdita della cauzione (artt. 259, 262, 319, 320 c.p.p.);
- sanzioni disciplinari pecuniarie (artt. 133, 147, 231, 694, c.p.p.);
- dichiarazione di inammissibilità o rigetto (artt. 44, 48, 616, 634 c.p.p.);
Anche nel processo civile, come in quello penale, esistono norme, della stessa natura di quelle a Cui si riferisce l’art. 604 c.p.p., che comminano sanzioni pecuniarie:
- art 54, comma 3, c.p.c. (pena pecuniaria in conseguenza dell’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta l’istanza di ricusazione);
- art. 118 c.p.c. (rifiuto di souoporsi all’ispezione);
- art. 220 c.p.c. (pena pecuniaria a carico della parte che ha disconosciuto la scrittura verificata. 226 c.p.c. (pena pecuniaria per la parte querelante in caso di rigetta della quercia di falso):
- art.. 255 c.p.c. anche in correlazione con l’art, 106 disp. att. (pena pecuniaria per il testimone che non si presenta: possibilità di condanna al pagamento delle spese per la mancata presentazione);
- ari. 408 c.p.c. (condanna alla pena pecuniaria dell’opponente in caso di dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità della domanda di opposizione);
- art. 476 c.p.c. (pena pecuniaria a carico del cancelliere, notaio per violazione delle norme sulla spedizione in forma esecutiva).
(5) Si ritiene, al contrario, applicabile la disciplina del recupero nell’ipotesi di revoca della dichiarazione di fallimento, a norma dell’art. 147 TU.
(6) Circolari Min. Giust. 19-9-1924, n. 602/1985; 6-6-1930, n. 3208/602; 19-8-1935, n. 4746/ 602.
(7) Se però la custodia cautelare supera la durata della pena, sono detratte le spese relative alla maggiore durata.
(8) Art. 2, L. 26-7-1975, n. 354. Tale quota dal I’ agosto 1998 e aggiornata a euro 1,69 (Boll. Uff. Min. Giust. n. 20 del 31-10-1998).
(9)Art 145 c.p., arti,. 2 e 24, L. 26-7-1975, n. 354, ari,. 56, D.P.R. 30-6-2000, n. 230. In particolare, l’art. 24, comma 2, L. n. 354/1975 dispone che In ogni caso deve essere riservato a favore dei condannati una quota pari a tre quinti. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti, o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili della amministrazione.
(10) Art. 213, comma 4, c.p., art.. 2, L. n. 354/1974.
(11) Generalmente conosciuto come 2regis1ro mod. 12” Sull’argomento, v. cap. VI.
(12) Quando un imputato è assolto ed altro condannato in uno stesso procedimento, non possono essere poste a carico dell’imputato condannato le spese processuali che trovano la loro causa nella posizione dell’imputato assolto (Cass. 29-10-1965, in Cass. pen. Mass., 1996, 330, 460).
(13) In G.U. — Serie Generale— n.. 303 del 28-12-2002.
(14) Tale decreto e stato abrogato dall’art. 301 TU.
(15) Il Ministero della giustizia — Aff. Civ Uff. VIII, con circolare 6-1 1-89 prot. n. 8/2714/91 ci ha chiarito che:
“L’applicazione della forfetizzazione secondo la tabella allegata e riferita ad ogni singolo condannato a prescindere dalla possibilità che, nell’ambito dello stesso modello processuale che conclude il giudizio, vi siano più condannati definitivi. 1 questa la maggiore semplificazione introdotta col nuovo sistema, di seguito a complesse valutazioni che hanno dovuto tenere presenti difficili aspetti giuridici della innovazione».
Secondo la circ. n. s./36, in data 8-10-1993, del Mi Giust., la pluralità dei soggetti condannati non incide sulla piena applicazione del principio forfettario, la cui ratio è sostanzialmente quella di svincolare l’entità della somma dovuta dal numero dei soggetti concretamente interessati al rapporto.
(16) Circ. n. 3/2002, in data 13-5-2002, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust.
(17) Circ.. n. 3/2002, cit. Per le critiche a questa posizione, si legga A. Cardillo, contributo unico e recupero dette spese nei procedimenti penati (inclusi quelli dinanzi al giudice di pace), in Rivista delle Cancellerie, 2002. pag. 161 ss.
Prima dell’emanazione del D.M. n. 285/2002, per i procedimenti penali innanzi al giudice di pace, evidentemente non contemplati nel regolamento dell’89, si è ritenuto transitoriamente applicabile la tariffa prevista per i procedimenti celebrati innanzi al tribunale in composizione monocratica (in tal senso la circolare n. 592, in data 21-12-2001, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust). Anche in tal caso, peraltro, è stata richiamata la necessità di procedere al necessario scorporo., alla luce delle disposizioni introdotte dall’ari 9, L. n. 488/1999.
(18) Corte costituzionale, sentenza n. 98 del 26-3/6-4-1998. In precedenza, la non trasmissibilità dell’obbligazione era riferita alle sole spese di mantenimento in carcere (art 188 c.p.).
(19) Cass. pen. 1-3-1966, in Cass. pen. Mass. 1966, 1352, 2080.
(20) Nota n. 8/4138/109. in data 5-12-1991, del Min. Giust., Aff. Civ., Uff. VIII.
La stessa Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione dovendo decidere circa l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 c.p. nella parte in cui non prevede l’estinzione del debito di rimborso delle spese processuali in caso di revoca del provvedimento di condanna conseguente ad una aboltio criminis: Ebbene, la Corte, con ordinanza n. 57 del 13-3-2001, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione proposta sull’indubbia considerazione che l’articolo censurato non dispone affatto la sopravvivenza delle spese processuali alla declaratoria di estinzione, e che il giudice remittente aveva già a disposizione tutti gli strumenti interpretativi per giungere ad una simile conclusione.
La medesima Corte, inoltre, con sentenza 23/31-5-2001, n. 169. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ari. 101, comma 2, D.Lgs.30-1 2-1999, n. 507 Depenalizzazione dei reali minori e riforma del sistema sanzionatorio — in quanto è apparsa irragionevole la disparità di trattamento dei condannati alla pena pecuniaria inflitta con sentenza passata in giudicato prima della depenalizzazione, per i quali la norma contestata aveva disposto la riscossione della pena con le forme dell’esecuzione penale, rispetto ai condannati a pena detentiva, per i quali l’abolitio criminis comporta, invece, la totale cancellazione degli effetti della condanna stessa.
Sulla sorte delle spese processuali nell’ipotesi di revoca del provvedimento di condanna ex art. 101, D.Lgs. 507/1999, si legga P. Sturiale, La depenalizzazione ed i suoi effetti sulla condanna dell’imputato al pagamento delle spese, in Rivista delle Cancellerie, 2002, pagg. 283 ss.
(21) Con sentenza 3-12-1993, n. 423, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’ari, 427, comma 1, c.p.p., nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell’imputato perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell’esercizio del diritto di querela.
(22) In tal senso la nota n. 840/20001V, in data 7-3-2000, del Miri. Giust., Aff. Civ.
(23) Ordinanza n. 59 del 13-3-2001.
(24) La disciplina del recupero di somme pagate dall’erario, per il caso di revoca, è costruita come sanzione» e, quindi, prescinde dalle disposizioni relative al recupero delle spese processuali in conseguenza di un provvedimento di condanna. Per fare un esempio, il revocato dal beneficio, anche se assolto, deve restituire tutto ciò che è stato anticipato, mentre per il condannato non revocato tutte le spese rimangono a carico dell’erario, anche quelle che — se non fosse stato ammesso al patrocinio — sarebbero state recuperate nei suoi confronti.
(25) In tal senso si era espressa già la Cassazione a più riprese (da ultimo, Cass. Pen. Sez. VI. 29-4-1997, n. 4864; Sez. IV, 17-12-1993, n. 1548; Sez. I, 1-5-1993, n. 7127; ma contra, Sez. IV, 4-12-2000, n. 5404 - limitatamente, però alle spese di custodia cautelare, in quanto distinte da quelle di mantenimento in carcere in espiazione di pena definitiva).
Sulla questione, si veda anche Cass. Pen. Sez. IV, 15-10-1997, n. 10342, ove si precisa che in tema di patteggiamento il principio secondo cui le spese di mantenimento in carcere dell’imputato durante la custodia cautelare devono essere poste a suo carico non si applica al caso in cui il provvedimento restrittivo sia stato precedentemente annullato in via del definitiva dal tribunale del riesame, non potendosi da un provvedimento illegittimo farsi derivare un onere a carico di chi l’ha ingiustamente subito.
(26) Ai fini del trattamento premiale previsto dal codice, alla sentenza di patteggiamento è equiparata la sentenza che accoglie il patteggiamento solo all’esito del dibattimento, avendo il giudice ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero (Cass. Pen. Sez.. III, Sent. 17—4/ 3 1-5-2002, n. 21406).
(27) Il Ministero della giustizia, con la circolare n. 14/96, in data 15-4-996, aveva assunto sul tema una posizione di netto contrasto rispetto alle conclusioni cui era pervenuta la S.C. in tema di spese di custodia e conservazione dei reperti, ma con la circolare n. 1/2001 in data 2-3-2001 ha invertito la rotta, accogliendo la tesi che le predette spese non rientrano tra quelle del procedimento e, quindi, sotto escluse dal trattamento premiale. Pertanto, salvo il caso in cui il giudice li abbia autonomamente poste comunque a carico dell’Erario, in ogni altro caso la cancelleria dovrà provvedere al recupero delle spese di custodia e conservazione delle cose sequestrate e, in caso di omissione di provvedimento di condanna alle spese, il giudice stesso potrà azionare anche d’ufficio, la procedura di correzione di errore materiale ex art. 130 c.p.p.. La circolare si conclude con la precisazione che, per quanto possibile, le nuove disposizioni ministeriali andranno applicate anche a quei procedimenti per i quali la cancelleria non ha provveduto al recupero in ottemperanza alle precedenti direttive.
(28)Cfr.Cass.10-l1-1964, in Cass. pen. Mass. annoiato 1965, 419. Sono altresì da recuperare le spese occorse per l’esecuzione di pene successivamente estinte per amnistia, indulto, condono ()altra causa estintiva (si pensi ad esempio alle spese necessarie per la pubblicazione della sentenza); tali spese, da non confondersi con quelle processuali», sono infatti basate su un titolo autonomo e, in quanto legittimamente sostenute prima del verificarsi della causa estintiva delle pene, non seguono l’effetto estintivo di queste ultime (in tal senso la circolare Mm. Giusi. — Aff. Civ. — n. 11/97, in data 17-12-1997).
(29) In tal senso Cass., SU., n. 1181/95 del 5-7-1995.
(30) Circolare n. 19/94, in data 17-10-1994, confermata dalla successiva circolare n. 5/95, in data 4-4-1995, e dalla nota n. 8/3148/171, in data 8-1 1-1995.
(31) Così si esprimeva la citata circolare n. 19/94.
(32) Cass. Sei. TV, Seni. 27-1-1999, n. 3399.
(33) Circolare n. 1/2000, in data 6-3-2000.
(34) Nota n. 22l3/991U, in data 8-9-1999, del Min. Giust., Aff. civ.
In ordine a tale presa di posizione, notevoli perplessità sono state manifestate in dottrina, soprattutto alla luce di alcune recenti pronunce della Corte Costituzionale. Si legga sul tema, Fabrizio Giulimondi, Natura del pagamento delle spese processuali in relazione all’amnistia ed alla depenalizzazione, in Rivista delle Cancellerie, 2001, pagg. 495 C ss.
(35) Cass.,S.U., 16-9-1995, n. 27.
(36) A tale proposito, come dispone l’art. 128 TU., il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato ha l’obbligo, disciplinarmente sanzionato, di far dichiarare l’estinzione dello stesso se cancellato dal ruolo, ai sensi dell’art. 309 c.p.c.
(37) La ratio di tale previsione è rinvenibile nella circostanza che, essendo l’estinzione fenomeno che ordinariamente consegue alla rinunzia agli atti del giudizio, ovvero all’inattività delle parti, è parso giusto al legislatore che la parte la quale abbia dato impulso al giudizio (o al singolo grado di esso) con l’atto introduttivo o con l’‘impugnazione, e che successivamente rinunci al giudizio o lo lasci estinguere per inattività, sopporti per intero le spese prenotate a debito.
(38) Si ritiene che la legge voglia riferire la previsione di solidarietà - oltre che alla diserzione bilaterale dell’udienza — alle ipotesi di estinzione o, comunque, (li venir meno del giudizio, non direttamente imputabili alla negligenza o alla deliberata volontà di una delle parti, come ad esempio nei casi di cessazione della materia del contendere derivanti da fatti o circostanze diversi dalla transazione (si pensi alla morte di uno dei coniugi in pendenza del processo del divorzio).
(39) Si tratta di coloro che sarebbero credi testamentari o legittimi, se l’assente fosse morto nel giorno a cui risale l’ultima notizia sul suo conto, o i toro rispettivi eredi, nonché i legatari, i donatari e tutti quelli ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell’assente
(41) Si fa riferimento al provvedimento definitivo, oltre che passato in giudicato, volendo ricomprendere anche quei provvedimenti diversi dalla sentenza, su cui si fonda il diritto al recupero, come ad esempio l’ordinanza che commina una sanzione pecuniaria al teste.
(42) V. circolare n. 6/2002, in data 8-10-2002, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust.
(43) Non sembrano al contrario rilevanti ai fini del recupero delle pene pecuniarie le disposizioni che nell’individuare il giudice dell’esecuzione, nel caso di pluralità di provvedimenti da eseguire, stabiliscono la prevalenza del giudice ordinario su quello speciale, del giudice collegiale su quello monocratico, del giudice togato sul giudice di pace (art. 665, commi 4 e 4 bis, c.p.p, e art. 40 D.Lgs. 28-8-200 n. 274).
(44) Ai sensi dell’ari. 208, n.. 2, RD. 23-l2-1965, n 2701 (ora abrogato) “le pene pecuniarie, indennità e spese relative per contravvenzione alle leggi ed ai regolamenti sopra le dogane, le gabelle ed i dazi” non sono comprese tra le pene pecuniarie riscosse dai cancellieri (e ora dai concessionari del servizio riscossione tributi) mentre l’art. 1, L.. 26-8 1668 n.. 4548, anch’esso abrogato dal testo unico, disponeva “la riscossione delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia nelle cause per contravvenzione delle leggi sui dazi di confine e sui dazi di consumo in diretta amministrazione dello Stato, o sulla privativa dei sali, dei tabacchi e della polvere da sparo, è affidata alle direzioni delle gabelle, le quali vi provvederanno a mezzo dei propri contabili.
(45) V. nota n. 649/200l/U in data 21-2-2001, del Min. giust. Aff. Civ., la quale richiama le precedenti circolari del Minisero delle finanze Direzione Generale delle dogane, n. 38, in data 10-3-1958 e n. 519, in data 7-7-1972. Appare evidentemente inopportuna, scriveva il Ministero, una prassi anministrativa che applichi la pena stabilita da un’unica sentenza per luna stessa violazione attraverso gli organi di due diversi Ministeri.
(46) Si ritornava invece alla competenza ordinaria per le decisioni in tema di rateizzazioni della pena (non disposta in sentenza) o differimento del pagamento, nonché di conversione della pena pecuniaria (v. infra). In tal senso si erano espressi l’Avvocatura Generale dello Stato, con il parere n. 15334-5, in data 1-2-1997, nonché con successivo parere del 6-5-1997, e l’allora Ministero delle Finanze, Dir. Centr. Servizi doganali, con la circolare n. 170/D, in data 16-6- 1997.
(47) In applicazione della nuova disciplina, poiché il pagamento della multa o dell’ammenda non esime dall’obbligo del pagamento dei diritti doganali, salvo il caso in cui la merce oggetto del contrabbando sia stata sequestrata (in tal senso disponendo l’art. 338, D.P.R. 23-1-1973, n. 43), vi è il concreto rischio che gli uffici finanziari, ormai estranei al procedimento di riscossione, richiedano al condannato il pagamento del contributo evaso, anche quando questo resta assorbito dal sequestro del bene oggetto di contrabbando. È per questo motivo che l’art.. 221 TU. dispone che la cancelleria procedente provveda a tenere informato l’ufficio finanziario in ordine alle vicende relative all’eventuale sequestro della merce oggetto del contrabbando.
(48) La trasmissione del Mod. 38, in duplice copia di cui una per ricevuta, doveva avvenire alla fine di ogni trimestre e comunque al termine dell’espiazione della pena.
(49) V. nota Min. Giust., Aff. civ., Uff. IV, n. 2398/19.980, in data 8-6-1964.
(50) In tal senso la circolare n. 6/2002, in data 8-10-2002, del Min. Giust., Dip. Aff. Giust.
(51) Cfr. la relazione ministeriale al testo unico, con riguardo in particolare alla Parte V.
(52) L’argomento relativo ai registri di cancelleria è trattato più approfonditamente nel cap. XV.
(53) Con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia è determinato il momento, collegato allo stato dell’informatizzazione ed eventualmente differenziato sul territorio, in cui non si terrà più il foglio delle notizie (art. 280, comma 3, T.U.).
(54) Circ. n. 4/2002, in data 28-6-2002, del Min. Giust, Aff. Giust.
(55) Il modello ufficiale è stato approvato dal D.M. (Giustizia) 1-12-200 1. Tale registro corrisponde al c.d. registro campione civile (ex mod. 20), di cui si è detto nel cap. X.
(56) Il numero dell’articolo di campione deve essere riportato sulla copertina del fascicolo del campione, sulla copertina del fascicolo processuale, a margine della sentenza o del decreto penale di condanna e sul registro generale.
(57) Non c’è dubbio che la disposizione sul foglio delle notizie costituisce una generalizzazione di quella già prevista, per la materia penale, dall’ormai abrogato art. 200 disp. Att. c.p.p.; riguardo alla distinta prevista da quest’ultima norma, al fine di responsabilizzare gli operatori, era stato stabilito che essa dovesse essere inserita nel fascicolo processuale sin dalla sua formazione: infatti, nel caso di effettiva anticipazione delle spese, le stesse andavano annotate, mentre in caso negativo, la cancelleria o la segreteria doveva effettuare un’attestazione in tal senso nel modulo della distinta (in tal senso, la nota n. 8/63(U)40 Ques(99), in data 24-1-2000, del Min.. Giust., Aff. civ., Uff. VIII).
(58) Alla notifica dell’invito al pagamento si applica la disciplina della notifica a richiesta d’ufficio del processo in cui è inserita (art. 22 TU.).
(59) Con provvedimento dell’Agenzia delle entrate in data 14-1 1-2001 (in Gazz. Uff., 19-11- 2001, n. 269), è stato approvato il nuovo modello F23, e le relative istruzioni, per il pagamento in curo di tasse, imposte, sanzioni e altre entrate, utilizzabile a decorrere dal 1 gennaio 2002 in sostituzione dei precedenti modelli F23 in lire e in curo, approvati con D.M. 17-12-1998. Il modello è reso disponibile gratuitamente in formato elettronico e può essere prelevato dai siti internet www.finanze.it e www.agenziaentrate.it nel rispetto, in fase di stampa, delle caratteristiche indicate nel provvedimento.
(60) V. nota Min. Giust. n. 8/988/(u)/60/2, in data 27-4-1999.
(61) Si pensi alle competenze spettanti agli ufficiali giudiziari (es.: art. 33 u.c. TU.) ovvero agli onorari spettanti agli ausiliari dei magistrati (art. 131, comma 3, T.U.) nel patrocinio a spese dello Stato in materia civile.
(62) Art.12,commi 1, 2 e 4, D.P.R. 602/73 “Formazione e contenuto dei ruoli”: L’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno i1 domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce.
2. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono stabiliti i dati che il ruolo deve contenere, i tempi e le procedure della sua formazione, nonché le modalità dell’intervento in tali procedure del consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari.
4. Il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato. Con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo.
Art. 24, D.P.R. n. 602/1973 “Consegna del ruolo al concessionario”: 1. L’ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce secondo le modalità indicate con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.
2. Con lo stesso o con separato decreto sono individuati i compiti che possono essere affidati al consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari relativamente alla consegna dei ruoli e le ipotesi nelle quali l’affidamento dei ruoli ai concessionari avviene esclusivamente con modalità telematiche.
(63) Circ. n. 4/2002, in data 28-6-2002, del Min. Giust., Dip. Aff, Giust.
(64) Il concessionario, previe ritenute secondo le previsioni legislative, versa i crediti prenotati a debito ai soggetti che ne sono titolari, entro un mese dalla riscossione (art. 244 TU.).
In caso di recupero parziale, tutti i crediti di soggetti diversi dall’erario prenotati a debito sono prelevati con privilegio di pari grado sulle somme riscosse (art. 245 T.U.).
(65) In tal senso dispongono l’art. 234 T.U.. e l’art. 48, D.P,R. n. 602/1973.
(66) Art. 215 TU., che richiama l’ari. 28, D.l.gs. 26-2-1999, n. 46.
Sulle garanzie giurisdizionali e l’eventuale sospensione della riscossione, si vedano gli artt. 57, comma 2, e 60, D.P.R. n. 602/1973, nonché l’ari. 29, D.Lgs. n. 46/1999. In particolare, nella forma dell’opposizione all’esecuzione saranno proponibili le questioni attinenti all’esistenza, alla validità, alla sufficienza del titolo esecutivo (costituito dal ruolo esattoriale); nella forma dell’opposizione agli atti esecutivi si potranno invece far valere le questioni attinenti alla procedura (dalla quantificazione delle spese alla mancata rituale notifica dell’invito al pagamento o della cartella di pagamento, all’estinzione legale del credito).
Non è al contrario autonomamente impugnabile l’invito al pagamento trattandosi di atto che non prelude all’esecuzione forzata ma alla riscossione mediante ruolo esattoriale.
(67) Sulla procedura di discarico e la reiscrizione nei ruoli, si veda l’art. 20, commi I, 2, 3, 4 e 6, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112.
Ai sensi dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 112/1999, costituiscono causa di perdita del diritto al discarico:1I ) la mancata notificazione imputabile al concessionario, della cartella di pagamento, entro il quinto mese successivo alla consegna del ruolo ovvero, quando la somma da iscrivere a ruolo è ripartita in più rate su richiesta del debitore, entro il terzo mese successivo all’ultima rata indicata nel ruolo; 2) la mancata comunicazione all’ente creditore, anche in via telematica, Con cadenza annuale, dello stato delle procedure relative alle singole quote comprese nei ruoli consegnati in uno stesso mese; la prima comunicazione è effettuata entro il diciottesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo, Tale comunicazione è effettuata con le modalità stabilite con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze; 3) la mancata presentazione, entro il terzo anno successivo alla consegna del ruolo, della comunicazione di inesigibilità ne è soggetta a successiva integra/bue se, alla data della sua presentazione le procedure esecutive sono ancora in corso per causa non imputabile al concessionario; 4) il mancato svolgimento dell’azione esecutiva su tutti i beni del contribuente la cui esistenza, al momento del pignoramento, risultava dal sistema informativo del Ministero dell’ economia e delle finanze, a meno che i beni pignorati non fossero di valore pari al doppio del credito iscritto a ruolo, nonché sui nuovi beni la cui esistenza è stata comunicata dall’ufficio ai sensi del comma 4; 5) il mancato svolgimento delle attività conseguenti alle segnalazioni effettuate dall’ufficio ai sensi del comma 4; 6) la mancata riscossione delle somme iscritte a ruolo, se imputabile al concessionario: sono imputabili al concessionario e costituiscono causa di perdita del diritto ai discarico i vizi e le irregolarità compiute nell’attività di notifica della cartella di pagamento e nell’ambito della procedura esecutiva, salvo che gli stessi concessionari non dimostrino che tali vizi ed irregolarità non hanno influito sull’esito della procedura.
(68) L’importo massimo è adeguato ogni biennio, in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati verificatasi nel biennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.
(69) La reiscrizione prevista dall’art. 231 TU. costituisce una particolare applicazione dell’art. 20, comma 6, D.Lgs. n. 112/1999.
Le disposizioni sulla reiscrizione a ruolo sono applicabili anche alle sanzioni pecuniarie amministrative, di cui al D,Lgs. n. 231/2001, in virtù del richiamo effettuato dall’art. 242 TU.
(70) Artt. 17,comma 6,e 26, D.Lgs. n. 112/1999.
(71) Cfr art. 26, D.Lgs. n. 46/1999.
(72) Il decreto dirigenziale dovrà individuare criteri e modalità in modo da tener conto della condizione del debitore, e dovrà altresì stabilire le modalità delle comunicazioni al concessionario (art. 233 TU.).
(73) Art. 21,commi 1 e 2, e art. 22, D.P.R. n. 602/1973, richiamati dall’art. 232, comm 5, TU.
(74) La circolare n. 8/522/94 A.. 88, in data 3-3-1990, del Min. Giust., Aff. civ., Uff. VIII, ha chiarito che in caso di pluralità di condannati, solidalmente tenuti al pagamento delle spese processuali, la quota parte del debito complessivo che sarebbe stata a carico del beneficiano, deve essere dedotta dall’ammontare della somma rimasta a carico degli altri condebitori solidali.
(75) Art. 106, D.P.R. 30-6-2000, n. 230. Tale articolo, in verità, stabilisce che la comunicazione vada fatta alla cancelleria del giudice dell’esecuzione: in realtà, alla luce di quanto disposto dall’art. 208 TU. (v. supra), non sempre questa cancelleria anche competente alle attività connesse col recupero.
(76) Fino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 21-11-1979, in caso di insolvenza del condannato la pena pecuniaria della multa o dell’ammenda era convertita, rispettivamente, nella pena detentiva della reclusione o dell’arresto.
(77) Corte cost., Sent. 18-6-1971, n. 149. In caso di fallimento, infatti, il condannato non è in grado di disporre del suo patrimonio per fatto indipendente dalla sua volontà.
Del resto, per qualsiasi credito vantato dall’erario il concessionario ha la possibilità di insinuarsi nel passivo fallimentare, a norma dell’art. 33, D.Lgs. n. 112/1999.
(78 Si ritiene che l’applicazione del quarto comma dell’art. 665 c.p.p., come dei commi da due a quattro dell’art. 40, D.lgs. n. 274/2000, sia limitata allo specifico caso in cui la pena pecuniaria da convertire riguardi più provvedimenti emessi da giudici diversi (si pensi ad una pena pecuniaria oggetto di cumulo ovvero all’applicazione delle disposizioni sul reato continuato). Peraltro, la Cassazione, sulla questione della declaratoria di estinzione del reato, e pervenuta all’opposta decisione di considerare sempre e comunque competente il giudice che ha emesso la sentenza divenuta definitiva per ultima, anche se il provvedimento richiesto riguardi (secondo la SC. “solo apparentemente”) un unico provvedimento giacché solo il predetto giudice à in grado di conoscere la complessiva vicenda esecutiva del soggetto interessato (Cass. penale, Sez. I, Sent. 2586/2002, del 2/11-7-2002).
(79) Art., 36, D..Lgs. n. 112/1999 “Trasmissione dei flussi informativi”: 1. Entro la fine di ogni mese il concessionario trasmette al soggetto creditore che ha formato il ruolo, anche per via telematica, e con le modalità stabilite con decreto ministeriale, le informazioni relative allo svolgimento del servizio e all’andamento delle riscossioni effettuati nel mese precedente. 2. Eventuali anomalie rilevate dall’analisi delle informazioni di cui al comma1 , sono segnalate al competente ufficio del Ministero delle finanze per l’adozione dei provvedimenti conseguenti anche, se del caso, di tipo sanzionatorio.
Il Decreto Ministeriale 22-10-1999 (in Gazz. UFF, 29-10-199, n. 255) (del Direttore generale del Dipartimento delle entrate) riguarda la «Determinazione delle modalità di trasmissione, da parte dei concessionari della riscossione, della comunicazione di inesigibilità, dello stato delle procedure esecutive riguardanti le quote dei ruoli ricevuti in carico e delle informazioni relative allo svolgimento del servizio e all’andamento delle riscossioni, ai sensi degli articoli 19, commi 1 e 2, lettera h), e 36, D.Lgs. 13-4-1999, n. 112».
(80) Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale la conversione è stata differita (art. 238, comma 5, T.U.).
(81) Il discarico automatico, ai sensi dell’art. 210 TU., comporta l’automatica eliminazione dalle scritture patrimoniali dei crediti erariali, non occorrendo alcun provvedimento di annullamento del credito (previsto dall’art. 265, comma 3, R.D. 23-5-1924, n. 827).
In nessun caso, tuttavia, dovrà ritenersi estinto il credito relativo alle spese sostenute per il recupero della pena pecuniaria successivamente convertita, in quanto la conversione della pena non incide in alcun modo sulle spese a suo tempo legittimamente sostenute.
(82) La Corte costituzionale, con sentenza 21-6-1996, n. 206, ha fatto cadere il limite massimo di pena pecuniaria (pari agli attuali 516,46 euro), oltre il quale , a norma dell’art. 102, L. n. 689/81, non era possibile convertire la pena pecuniaria in lavoro sostitutivo.
(83) Tale attività si svolge nell’ambito della provincia in cui il condannato ha la residenza, per una giornata lavorativa per settimana, salvo che il condannato chieda di essere ammesso ad una maggiore frequenza settimanale.
(84) La Corte costituzionale, con sentenza 23-12-1994, n. 440, ha dichiarato, l’illegittimità costituzionale dell’art. 102, comma 3, 1.. n. 689/1981, nella parte in cui stabilisce clic, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per l’insolvibilità del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando 12,91 euro, o frazione di tale importo, anziché 38,73 euro, o frazione di tale importo, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata.
(85) Disciplinato dall’art. 54, D.Lgs. 274/2000.
(86) In tal caso non è applicabile al condannato il divieto di cui all’art. 53, comma 3, D.Lgs. n. 274/2000.
(87) A norma del quale, ai finì dell’estinzione della pena per decorso del tempo, non bisogna tenere conto del periodo durante il quale l’esecuzione è stata differita.
(88) La problematica è stata affrontata dalla nota n. 433/991U, in data 8-2-1999, Mi Giusi., Aff. Civ. In essa non si esclude una diversa soluzione, anche tenendo presente che la questione concerne l’interpretazione e l’esecuzione di norme giuridiche, e pertanto sono rimesse all’esclusiva valutazione del giudice.
(89) Cfr la relazione ministeriale al testo unico e segnatamente il commento all’art. 219 TU.
(90) La prescrizione è di norma decennale. L’:ammenda però si prescrive in cinque anni, a meno che non ricorrano le condizioni indicate dal comma 1 dell’art 1 73 c. p.
(91) Come già ricordato in precedenza, quando vi è revoca del provvedimento di condanna per abolizione del reato, non si recupereranno neanche le spese processuali (nota n. 8/4138/109, in data 5-12-1991 del Min. Giust. Aff. Civ., Uff, VIII
(92) Corte cost.. Sent, n. 96 del 26-3/6-4-1998. In sostanza, prima di tale sentenza i debiti per spese di giustizia si trasmettevano agli eredi, prevedendosi un’ipotesi di annullamento dell’artico di campione solo in caso di debitori deceduti in stato di povertà. A parere della Cori e dopo la riforma dell’ordinamento penitenziario, che ha introdotto l’istituto della remissione del debito, l’obbligazione relativa alle spese processuali deve essere considerata non più alla stregua delle obbligazioni civili, ma piuttosto una vera e propria sanzione economica accessoria alla pena, e conie tale essa non può non partecipare al carattere della personalità che e propria di tutte le pene.
(93) La questione è stata posta di recente, a proposito del procedimento di separazione personale dei coniugi, divenuto totalmente esente in virili della sentenza della Corte Costituzionale n. 154 del 1(1-5-1999: quale sarebbe stata dunque la sorte degli articoli di credito relativi alle spese prenotate a debito prima della richiamata sentenza? Il Ministero della giustizia (Aff. Civ., Segreteria), con la nota 1352/2001/U, in data 9-4-2001, si e espresso chiaramente per un generalizzato annullamento di tutti gli articoli pendenti alla data della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, giacché non vi sono dubbi sull’efficacia retroattiva della pronuncia di incostituzionalità, fatte salve le situazioni giuridiche già consolidate (tra le quali, certamente non possono annoverarsi i procedimenti di recupero delle spese di giustizia, ancorché afferenti processi conclusi con sentenze gia passate in giudicato).
(94) Importo determinato dal D.P.R. 16-4-1999, n. 129, e riferibile alle spese di giustizia sulla base del rinvio contenuto nell0art. 18 D.lgs n. 46/19998.
(95) Si chiarisce che mentre l’art. 12 bis citato prevede — per un importo determinato — un meccanismo di estinzione riferito all’iscrizione a rulo, la provvisionale dell’art 228 T.U.. (che riprende una disposizione introdotta dall’art. 80, L.. 21-11-2000, n. 342) assorbe e vanifica la precedente norma generale: da ciò l’operatività transitoria della prima, rispetto alla seconda. Infatti non è ragionevole che nell’ordinamento esistano in relazione agli stessi crediti (spese processuali e di mantenimento). due meccanismi di estinzione, fondati sull’importo, che operano rispetto a momenti diversi. È evidente che quello che estingue il credito in un momento antecedente (all’atto della quantificazione del credito) assorbe quello che faceva scattare l’estinzione in un momento successivo, (l’iscrizione a ruolo).
(96) Prevista dall’art. 154, D.P.R. 15-12-1959, n. 1229.
(97) Con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia sono stabilite le modalità e, tenendo conto del D-P-R. 13-2-2001, n. 123, le regole tecniche telematiche per il versamento.
Le somme sono ripartite ai sensi dell’art. 138, commi 4, e 6, D.P.R. n. 1229/1959.
(98) La disposizione, gia prevista dall’art. 122, D.P.R 15-12-1959, n. 1229, e stata riconfermata dagli artt. 2 e 3 del C.C.N.L. relativo alle norme di raccordo per gli ufficiali giudiziari, sottoscritto il 24-4-2002.
(99) Circolare n. 1998/74869, in data 2-6-1998, del Min. finanze.
(100) Si leggano sul tema le circolari n. Vl/474/035/09, in data 28-3-2002, e VI/1039/035/MR, in data l9-6-2002
(l01) Tale sistema per la sua estrema semplicità e celerità, è stato utilizzato, anche se solo in via transitoria, anche per il versamento delle somme spettanti alla cassa di previdenza dei cancellieri (pari allo 0,9% delle somme spettanti alla cassa di previdenza degli accertatori dei reati finanziari (artt. 291 e 292 T. U.).
(102) Cfr il commento all’art 249 del T.U. contenuto nella relazione ministeriale al lesto unico.
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