lunedì 29 dicembre 2014

"LA REGOLA DELL'EQUILIBRIO" DI GIANRICO CAROFIGLIO

Dopo aver letto i bei romanzi Ragionevoli dubbi, Il silenzio dell’onda, Il bordo vertiginoso delle cose e il suggestivo racconto La velocità dell’angelo nella raccolta Cocaina, ho approcciato l’ultima fatica di Gianrico CarofiglioLa regola dell'equilibrio (Einaudi), nella quale tornano le storie che vedono protagonista la sua principale creatura letteraria, l’avvocato penalista del foro di Bari (città nativa dell’Autore) Guido Guerrieri, le cui fattezze psicologiche e modalità operative  ricordano molto il commissario Ricciardi,  ideato dallo scrittore partenopeo Maurizio De Giovanni.
Lo stile è, come sempre, scorrevole e la narrazione gradevole, didascalica ogniqualvolta vi sia un passaggio che necessiti di una spiegazione processual-penalistica dell’istituto citato.
La figura di Guerrieri risente della originaria professione di magistrato di Carofiglio: difende solo persone che ritiene innocenti e si tiene lontano da coloro che hanno posto in essere condotte criminose quali la corruzione o la concussione, salvo non le ritenga assolutamente estranee ai fatti loro contestati.
Il fulcro del racconto gira intorno a questo quesito deontologico ed etico, posto a difensori e giudici:
Il lavoro dell’avvocato penalista consiste, perlopiù, nel difendere imputati colpevoli-spesso di reati gravi e ripugnanti – e nel cercare, con tutti i mezzi leciti, di farli assolvere…….Il nostro problema, dunque, è duplice: come ammettere la liceità etica della difesa di un colpevole di reati orribili; come ammettere la liceità etica della privazione della libertà personale di una persona da parte di un’altra persona.”.

Fabrizio Giulimondi

sabato 27 dicembre 2014

"L'AMORE BUGIARDO"("GONE GIRL") DI FLYNN GILLIAN

L' amore bugiardo. Gone girl
“L'amore bugiardo” ("Gone girl"), tratto dall'omonimo romanzo di Flynn Gillian (Rizzoli) è uno splendido, intrigante e torbido film (migliore pellicola agli Hollywood film awards 2015) di David Fincher (nomination come miglior regista ai Golden Globe 2015), con Ben Affleck e Rosamund Pike (resa sensuale e sexy, poi trasandata e anonima, per tornare di nuovo seducente ed attraente, grazie alle abili mani dei truccatori ed acconciatori), accompagnato dalla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (candidata anch’ essa ai Golden Globe come migliore colonna sonora originale), che già da sola riesce a determinare una certa qual inquietudine nello spettatore.
La narrazione a tinte fosche - che ricorda molto Bound di Andy e Lana Wachowski - dovrebbe far riflettere chi di professione indaga sulle persone scomparse o presunte assassinate, gli operatori del settore sulla potenza distruttrice dei media che cercano l’audience a dispetto della verità e della dignità delle persone e, infine, tutti noi sulla presunzione che le donne siano vittime a prescindere e gli uomini carnefici a prescindere.
L'amore bugiardo” è la storia di una moderna Mata Hari, di una mantide psicopatica, un racconto che dà vita a un thriller denso che non permette alla platea di distrarsi nemmeno per un momento.
Fabrizio Giulimondi



mercoledì 24 dicembre 2014

DUEMILA ANNI FA.....UNA LUCE NEL CIELO.....








........BETLEMME.......UNA CAPANNA......






.......UN BAMBINO...UNA SPERANZA......





......CHE HA CAMBIATO IL MONDO.........

lunedì 22 dicembre 2014

"LO HOBBIT-LA BATTAGLIA DELLE CINQUE ARMATE" DI PETER JACKSON

Locandina italiana Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate
Siamo giunti alla conclusione!
Lo Hobbit-La battaglia delle cinque armate” di Peter Jackson  è il terzo film (dopo Lo Hobbit -  Un viaggio inaspettato e Lo Hobbit -  La desolazione di Smaug) della versione cinematografica del romanzo “Lo Hobbit” del creatore della letteratura neo epica John Ronald Reuel Tolkien, scrittore britannico che a cavallo fra l’800 e il ‘900, senza averne contezza, dette  vita ad un prodigioso e durevole filone letterario (poi trasbordato sul grande schermo) che, vulgo, sarebbe stato chiamato “fantasy”, basato sulle mitologie germaniche dei nibelunghi e sui miti, le leggende e le divinità celtiche e vichinghe e, ancor prima, sulle epopee greche e  romane.
L’ultima scena de “Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate” rappresenta il momento  di congiunzione fra il trittico scaturito da “Lo Hobbit” (l’ante) e l’opera  letteraria tolkeniana successiva Il Signore degli Anelli (il post), divenuta poi la portentosa trilogia cinematografica di Jackson La compagnia dell’anello, Le due torri, Il ritorno del re.
Elfi, hobbit, nani, uomini, orchi, mannari, troll, draghi, goblin, grandi aquile, giganteschi pipistrelli e mostruose creature al pari dei “mangiaterra”, sono di nuovo i protagonisti delle avventure di Bilbo Baggins e di Gandalf, fra battaglie eroiche e scenografie neozelandesi mozzafiato. In realtà i veri protagonisti, in questa pellicola come nelle altre, sono l’onore, la lealtà, l’amicizia, la fedeltà, gli ideali, il coraggio, la sacralità e l’inviolabilità della “parola data”…locuzioni oramai disciolte nella vacuità del Nulla quotidiano.
Fabrizio Giulimondi




mercoledì 17 dicembre 2014

"DEREK DOLPHYN E IL VARCO INCANTATO" DI CHRISTIAN CAPRIELLO



Il titolo fa repentinamente comprendere al passante che getta un’ occhiata alla vetrina di una libreria la natura fantasy del racconto e, seppur del tutto difforme nel tratto di penna e nel contenuto, la vicinanza nella titolazione ai lavori di Licia Troisi: “Derek Dolphyn e il Varco Incantato” (Tullio Pironti editore) è l’opera prima di Christian Capriello, primo di cinque volumi di una saga che farà parlare di sé agli amanti della letteratura di genere.
Dialoghi continui, intensi, incisivi, serrati, talune volte quasi goldoniani, visivamente posti in risalto anche dai differenti stili, tipi e dimensione dei caratteri, talora coralmente avvincenti come cori greci.
Suggestive le interpolazioni che punteggiano la storia fatte di filastrocche, cantilene, fanciullesche poesiole, che si cadenzano in modo tale da sembrare di udire la voce infantile o roca di chi le recita: ”Quando si fece più vicino, sempre più ciondolante, Josh capì che il vecchio canticchiava, anzi gracchiava una canzone, scandendone minuziosamente ogni singola sillaba. Quel motivo assumeva via via sempre maggiore musicalità: si percepiva inoltre che essa, pur suonando come vagamente funesta, aveva un obiettivo molto chiaro: conteneva un messaggio.”.
Nulla è scontato, ciò che appare tale potrebbe non esserlo, le piccole creature follettesche che si aggirano furtivamente fra le righe raramente compaiono come protagoniste in altri scritti di analoghe creazioni letterarie.
I ricorrenti aspetti autobiografici nelle descrizioni intimistiche dei personaggi sono rari in questa tipologia di racconti ed è bene che l’attento lettore cerchi di indagare, appropinquandosi guardingo verso la fine, chi sia Josh e, soprattutto, se incarni o meno l’Autore.

Ne consiglio caldamente la lettura, particolarmente propizia nel periodo che ci accingiamo a vivere.


Fabrizio Giulimondi

venerdì 12 dicembre 2014

"CRISTIADA" DI DEAN WRIGHT

Locandina italiana Cristiada

Venerdì 12 dicembre è uscito  il film storico "Cristiada" che rimarrà nei cinema romani fino al 17 dicembre.
Già presentato in anteprima in diversi capoluoghi italiani, il film ha registrato il tutto esaurito realizzando più di 5000 ingressi nelle prime 3 sale di programmazione (Milano, Torino, Firenze).
La pellicola  è stata prodotta nel 2011 ma la grande distribuzione, fino ad oggi, ne ha impedito la diffusione in Europa.
Diretto da Dean Wright e supportato da un cast d'eccezione che annovera, tra gli altri, Andy Garcia, Peter O'Toole, Eva LongoriaCristiada” affronta un argomento difficile: la guerra dei cristeros (1926 - 1929), combattuta dai cattolici messicani contro il governo anticlericale e massonico del presidente Plutarco Elías Calles che osteggiò e perseguitò violentemente la Chiesa cattolica.

Fabrizio Giulimondi



martedì 9 dicembre 2014

"SCUSATE SE ESISTO" DI RICCARDO MILANI

Locandina Scusate se esisto!
Come fare comicità intelligente? Ce lo mostra Riccardo Milani con il film “Scusate se esisto”, dove v’è un fantastico shakeraggio di temi “impegnati”, come la fuga dei “cervelli” all’estero, la valorizzazione delle donne sul lavoro anche in relazione agli impegni casalinghi, gli “outing” degli omosessuali (qui mirabilmente definiti tali e non gay), l’esterofilia, l’amore per la propria Terra  e il linguaggio anglofono che nasconde qualche “fregatura”, una certa urbanistica che devasta l’umanità di chi la vive, come il monstrum del “Serpentone del Nuovo Corviale “ creato nel 1972 a Roma, trattati con simpatia e leggerezza, ma anche con sottile e sotterraneo atteggiamento riflessivo, da una fantasmagorica Paola Cortellesi in salsa abruzzese e da un bravissimo Raoul Bova, unitamente a un cast italiano niente male (Corrado Fortuna, Cesare  e Marco Bocci, Lunetta Savino, Ennio Fantastichini, Stefania Rocca).
DA VEDERE

Fabrizio Giulimondi


GIORGIO MAGLIOCCA ASSOLTO PERCHE' IL FATTO NON SUSSISTE.



CORTE DI APPELLO DI NAPOLI: CONFERMATA LA SENTENZA DI PRIMO GRADO DI ASSOLUZIONE PIENA PERCHE' IL FATTO NON SUSSISTE  PER GIORGIO MAGLIOCCA.
CONDANNATE AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI LE PARTI CIVILI  RAIMONDO CUCCARO E ENZO PALMESANO COSTITUITOSI IN VECE DELLA PROVINCIA DI CASERTA.
MI AUGURO CHE IL LETAME CHE E' STATO BUTTATO ADDOSSO A GIORGIO MAGLIOCCA TORNI  A CHI GLIELO HA LANCIATO.

FABRIZIO GIULIMONDI, L'AMICO ROMANO 


domenica 7 dicembre 2014

"L'AMORE CHE TI MERITI" DI DARIA BIGNARDI




Alm
a e Antonia. Madre e figlia. Due donne. Due mondi che pensavano di sapere l’uno dell’altro e invece l’uno sconosce l’altro.
La famiglia. Il complice legame tra fratelli. La droga. La bellezza aristocratica e fascinosa di Ferrara sullo sfondo. Daria Bignardi con il suo ultimo romanzo “L'amore che ti meriti” (Mondadori) di nuovo ci incanta con la sua narrazione poco velatamente autobiografica, impreziosita da un tocco “giallo”. “L'amore che ti meriti” sembra il quarto capitolo di una storia costellata di memorie, di sentimenti, di ricordi, di affetti familiari e amicali, incominciata da Io non vi lascerò orfani e proseguita con Un karma pesante e L’acustica perfetta. La presenza della madre e della famiglia dell’Autrice è granitica lungo tutti e quattro i romanzi e l’amore per la sua Terra è il respiro costante delle sue creazioni letterarie.
La ricerca di Marco detto Maio, fratello di Alma e zio di Antonia, è solo il pretesto per compiere un rinnovato viaggio introspettivo, intimistico e familistico della Bignardi.

Fabrizio Giulimondi 

domenica 30 novembre 2014

"RIPORTANDO TUTTO A CASA" DI NICOLA LAGIOIA

Riportando tutto a casa” (Einaudi) di Nicola Lagioia, da alcuni considerato un campione in pectore del romanzo italiano, è la storia ruvida di uno sgradevole amarcord raccontata con uno stile eccentrico e nervoso, infagottato o impreziosito da aggettivazioni, giochi ed equilibrismi espressivi (“tra il cinguettio delle nostre chiacchierate, l’aculeo di un episodio inconfessabile subito ricoperto dal miele a lunga conservazione di altre banalità”…”avevo ripassato tante volte quella scena nella speranza di logorare l’elastico del tempo, ma il tempo era l’eterna vibrazione di un elastico nascosto”).
Il “vuoto” è la trama della narrazione, ne è il canovaccio e il leitmotiv, ne è il fil rouge. Il “vuoto” di figli consegnati all’ eroina dal cupio dissolvi di genitori bramosi solo di apparire e mostrare ricchezze e lusso, obnubilati da un parossistico, feroce e forsennato lavoro (“il bello diventato insulto, l’eccesso di vitalità che trascolora nel delirio di impotenza, l’arroganza spumeggiante del benessere che imbocca la strada della frustrazione”).
Il set è Bari e sullo sfondo si depositano gli anni ’80 con i suoi Gorbacev, i suoi Reagan, i suoi Wojtyla e i suoi Mandela, con l’arrivo della televisione commerciale e degli onnipresenti quiz e il boom della borsa e le bombe sui treni e il Muro che crolla e la Porta di Brandeburgo che si apre ad una nuova epoca che non porterà ad una nuova Europa, e poi “Mani Pulite”, e poi la fine: “Non si può perdere quello che non si è mai avuto, non si ha quello che non si è mai perso”.
Fabrizio Giulimondi


sabato 22 novembre 2014

"HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA (MOCKINGJAY), PARTE 1" DI FRANCIS LAWRANCE

Locandina italiana Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I
Mi chiamo Katniss Everdeen ho diciassette anni. Sono nata nel distretto 12. Ho partecipato agli Hunger Games. Sono fuggita. Capitol City mi odia. Peeta è stato fatto prigioniero. Si pensa che sia morto. E’ molto probabile che sia morto. Forse è meglio che sia morto…”

Are you, are you coming to the tree, they strung up a man they say who murdered three. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.

Pochi registi sono in grado di trasportare una buona idea dalla carta allo schermo portandola a così alti livelli. Francis Lawrance è riuscito nuovamente a lasciarci senza fiato. Questa volta non è stato aiutato dai colori brillanti e gli splendidi panorami che lusingano l’occhio dello spettatore, ma il suo tocco non è cambiato neanche nei sotterranei del distretto 13, come la sua incondizionata lealtà alla scrittrice Suzanne Collins. Questo film è la prova di come si può dirigere un film splendido senza cambiare una virgola del libro a cui si è ispirato, è la prova che la bravura di una regista sta nel dettaglio cinematografico, non nel completo stravolgimento della trama letteraria, come spesso accade. Non per questo non vi sono state scelte e cambiamenti, alcuni assolutamente ben riusciti (l’intelligente decisione di lasciare la presenza di Effie), altri meno convincenti (il finale, secondo la migliore tradizione americana, è mal fatto).
Ad ogni modo, la sensazione che proverete – per chi ha letto la trilogia – sarà proprio quella di rileggere il libro mentre guardate il film. Rivedrete le inquadrature  e le immagini che si erano andate a creare nella vostra testa e le stesse battute che hanno accompagnato tutti i personaggi.
Are you, are you coming to the tree where dead man called out for his love to flee. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.

Non mi soffermerò più di tanto a parlare dell’ormai rinomata capacità della nostra amata Jennifer Lawrance, che interpreta Katniss Everdeen, come già saprete tutti. Eravamo da tempo a conoscenza del suo singolare talento. Ciò che ci era stato nascosto era la sua dote di cantante di cui, costretta fino alle lacrime dal regista, ha dovuto dare prova. Credo che la scena de “L’albero degli impiccati” (The Hanging Tree) sia la parte più geniale ed emozionante di tutto il film, perché è suggestivo vedere come una semplice e timida voce possa divenire il tritolo che fa esplodere una diga. Per quanto la storia, per alcuni amanti della critica, possa sembrare distante anni luce da noi, Francis Lawrance  la rende assolutamente attuale, assolutamente reale e fedele a ciò che è accaduto in passato e accadrà in futuro.
Are you, are you coming to the tree where I told you to run, so we'd both be free. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.
Questa pellicola unisce tutto ciò che ha segnato la nostra storia e che continua a segnarci, questo film potrebbe raccontare di tutto il sangue, le morti e le speranze che sono vissute su questa stessa Terra: vi è la guerra in tutto il suo più crudele realismo, che si va a sposare con la propaganda politica. Ci insegna come quella scatola misteriosa dalle mille immagini che siede davanti al nostro divano, proprio in casa nostra, possa diventare lo strumento più potente e devastante per una rivoluzione. Ci insegna, come anche altri nel corso della storia ci hanno insegnato, che ciò che da forza è la speranza e la speranza spesso si aggrappa alla semplicità di un canto, al volo di un uccello, ad una spilla appuntata per caso su una giacca, si aggrappa ad un simbolo, si aggrappa alla Ghiandaia Imitatrice. La speranza si arrampica sui muri, sugli specchi, sulle braccia di chi vuole sorreggerla. E’ l’edera del mondo che resiste anche al fuoco delle bombe e dei carri armati, anche quando si spegne la luce e si resta al buio, soli con la paura. La speranza resiste sempre, è il batterio benigno dell’umanità, è la scintilla che divampa nell’incendio. E come in ogni scena c’è il dolore, in ogni scena c’è la fiducia. Solo alla fine ci si spezza, perché sono le cose che amiamo di più a distruggerci.
Are you, are you coming to the tree wear a necklace of hope, side by side with me. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.
Il numero del Gatto Matto diventa la metafora della mia situazione. Io sono Ranuncolo. Peeta, che ho tanta voglia di mettere in salvo, è la luce. Ranuncolo, finché sente di avere la possibilità di afferrare tra le zampe quel bagliore sfuggente, ribolle di aggressività. (E’ così che mi sento io da quando ho abbandonato l’arena, con Peeta ancora vivo.) Quando la luce si spegne rimane turbato e confuso per un po’, ma poi si riprende a passa ad altro. (E’ ciò che mi succederebbe se Peeta morisse).”

Miss Everdeen, it’s the things we love most that destroy us.

In loving memory of Philip Seymour Hoffman.
Alessia Giulimondi




mercoledì 19 novembre 2014

"COORDINATE D'ORIENTE" DI ALESSANDRO PERISSINOTTO

Dopo Semina il vento del 2011 e lo splendido Le colpe dei padri, che avrebbe senz’altro meritato l’assegnazione del Premio Strega edizione 2013 e non il secondo posto, Alessandro Perissinotto ci dona "Coordinate d’oriente" (Piemme), romanzo che parte lento e sonnecchiante, si ravviva cammin facendo, per poi esplodere nella volata finale, dove le lacrime che si erano via via condensate ineluttabilmente si sciolgono.
Fra Shanghai e Torino, fra tragedie, abbandoni e nuovi incontri, fra uno spazio (“semplice indicazione di rotta,…annuncio,…presagio di città,…profezia”) e un luogo (“identitario, relazionale e storico”), fra semafori e alberi, crocevia di morti filiali devastanti e sopraggiunte empatie tra la pirandelliana Jin e il tutto senso di colpa, del dovere e di responsabilità Pietro, la narrazione procede per fotogrammi e a più dimensioni: il lettore sente i sapori dei cibi d’oriente, gli odori acri, pungenti, delicati o sgradevoli che aleggiano nelle stradine caotiche delle megalopoli cinesi e si addensano nelle abitazioni private e nei locali pubblici; ascolta le parole che veleggiano nei dialoghi e che assumono valore e consistenza solo grazie alle diverse intonazioni conferite ad esse dai personaggi, parole il cui ritmo cadenza e ticchetta l’incedere delle frasi (“Una chela di granchio, un uovo cotto nel sale, delle fave lunghe e nere, dei blocchi che sembrano torrone, e, naturalmente, spiedini, involtini, carne di maiale. Nel vicolo si vende solo cibo, cotto e crudo, vegetale e animale: roba che camminava, che volava, che strisciava, che ronzava, che ragliava, che pigolava, che nuotava, che gracidava, a sangue caldo, a sangue freddo, senza sangue”); vede i colori, le miriadi di tinte che salterellando sbucano dagli stralci di vita tratteggiati da Perissinotto; sente le note delle sonate di Stockhausen, Offenbach, Ravel, Satie, Berg, eseguite dalle mani di donna delle pulizie e di artista di Jin. Nel sottofondo si intravede la rivoluzione culturale maoista, con il suo retrogusto acido, che fa da contraltare all’erotismo velatamente evocato mediante le pagine de L’amante di Marguerite Duras e di Eros dans un train chinois di René Depestre.
Ognuno ha bisogno di raccontare e di essere raccontato e la voce narrante, la voce fuori scena, e poi dentro la scena, che compie questa opera maieutica è proprio quella dell’Autore, il quale, lungo il suo viaggio - reale ed affettivo, immaginario, immaginifico e concreto -  in Cina, aiuta le storie “a uscire, a farsi strada nella confusione dei fatti che si affastellano”.

Fabrizio Giulimondi

venerdì 7 novembre 2014

"IL GIOVANE FAVOLOSO" DI MARIO MARTONE: ELIO GERMANO MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA DAVID DI DONATELLO 2015

Locandina Il giovane favoloso
Il cinema italiano ed europeo ha un nuovo gigante: Elio Germano.
L’interpretazione di Giacomo Leopardi ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone – insieme ad uno straordinario  cast  - lascia senza fiato nella grandiosità della recitazione e nella capacità espressiva corporea del genio e della sofferenza dell’immenso poeta marchigiano (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837).
La  mirabile declamazione  dei versi leopardiani fa da colonna sonora ad una fotografia (Renato Berta) le cui immagini raccontano la vita, la sublime profondità letteraria, l’intelletto, la disperazione, la gioia, la passione, l’amore frustrato e la struggente solitudine di un Uomo e di un Poeta.
Lo splendore dei palazzi ottocenteschi di Recanati,  Firenze,  Roma e  Napoli, e poi, la possanza e la terrificante bellezza della eruzione del Vesuvio accompagnata dalla voce di Leopardi, che  fa giungere alle nostre orecchie La ginestra, e tutto ammutolisce e tutto zittisce, mentre  l’umanità rumorosa, fuori, continua il suo inutile cicaleggio.
Fabrizio Giulimondi


giovedì 6 novembre 2014

"IL CACCIATORE DEL BUIO" DI DONATO CARRISI

Dopo Il Suggeritore (vincitore del premio Bancarella 2009) e L’ipotesi del male (recensito in questa stessa Rubrica), si affaccia nelle librerie italiane un altro romanzo di Donato Carrisi Il cacciatore del buio (Longanesi), un autentico capolavoro thriller, carico di interminabile suspance e mistero e colorato di tinte cupe orlate di tenebra, un affresco letterario composito e potente.
Il penitenziere era in grado di rievocare il male che quello si portava dentro…Esistono alcune categorie di crimini che attirano l’attenzione della Chiesa….Si differenziano perché contengono una ‘anomalia’
Una figura antropomorfa esoterica di un uomo con la testa da lupo. Strade e piazze di Roma avviluppate da bellezza e magia. L’irraccontabile che si nasconde nella Roma sotterranea e catacombale. Palazzi romani antichi dove regna ancora l’inquietudine di chi vi ha vissuto. Pitture, dipinti e mosaici che seguono con sguardi tormentati personaggi che cercano verità indicibili, malefiche. Una ambientazione della storia dove non si distinguono più i confini fra letteratura e cinema e i tratti di penna e immagini filmiche si fondono indissolubilmente. Brian de Palm, Alfred Hitchcock, Jonathan Demme tessono il filo narrativo insieme a Carrisi. Sandra che consegna a Marcus la medaglietta di San Michele Arcangelo appartenuta a Clemente rimanda immediatamente la mente alla scena finale de L’esorcista. Transessualismo mortifero, metamorfosi kafkiane, bambini che come crisalidi diventano “altro” da adulti: assassini narrativi, psicopatici sapienti.
Hic est diabolus.
Il Bene e il Male sono dimensioni marcatamente opposte e avverse o sono due dimensioni di uno stesso Essere? Sono così irrimediabilmente separati come ne Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson, o semplicemente l’uno è servente all’altro? il Male ancillare al Bene?
I siti archeologici, i monumenti e le chiese romane raccontano storie e leggende che riportano il lettore a tempi antichi che in realtà potrebbero sostanziare il nostro futuro.
Colis eum?
Un prete amnesico che è un penitenziere, ossia un cacciatore del buio: ”Lui era un cacciatore del buio. Non si trattava di una professione, era la sua natura. Il male non era semplicemente un comportamento da cui scaturivano effetti e sensazioni negative. Il male era una dimensione. E il penitenziere riusciva a scorgerla, vedendo ciò che gli altri non potevano vedere.”.
Fabrizio Giulimondi


mercoledì 5 novembre 2014

“UN CUORE PER LA VITA ETERNA. PERCHÉ IL PAPA E LA CHIESA TACCIONO?” DI MAURIZIO BLONDET


Un cuore per la vita eterna. Un fatto inaudito ed ignorato

Un cuore per la vita eterna. Perché il Papa e la Chiesa tacciono?” di Maurizio Blondet (Edizioni Effedieffe)
“In una metropoli sudamericana, per anni ostie sanguinano. Non solo: diventano un pezzo di Cuore sofferente, come dimostreranno successive perizie forensi. Ci troviamo di fronte ad un fatto, un segno dei più concreti: è l'apparenza che s'è trasformata in Realtà, nella Realtà affermata da Gesù stesso che, nello spezzare il pane, affermò: "Questo è il mio corpo". Ecco la Sua Verità letterale, che dobbiamo urgentemente recuperare insieme al senso della Maestà. Un fatto che non solo scredita tutte le nuove teologie: distrugge tutte le filosofie moderne; e conferma - scandalosamente - il realismo e l'oggettività di Aristotile e di san Tommaso. In questo senso è doveroso domandarsi: come avrà inteso quel messaggio Jorge Mario Bergoglio, attuale Pontefice ed arcivescovo proprio all'epoca dei fatti argentini? È possibile che l'eloquente "segno", il doloroso segno della Presenza Reale, sia voluto apparire proprio a Buenos Aires, e con tanta insistenza, per ben tre volte, carico di un segreto avvertimento per il futuro Papa? Domande che purtroppo avranno conseguenze apocalittiche per questa Chiesa e per l'attuale apostasia che l'ha travolta, anch'essa predetta".

Tratto dalla recensione del libro

domenica 2 novembre 2014

CINQUANTA ANNI!




3 NOVEMBRE A.D. 1964
3 NOVEMBRE A.D. 2014

...LA MARCIA CONTINUA...

Il Vostro Fabrizio Giulimondi di quartiere

sabato 1 novembre 2014

2 NOVEMBRE 2014





....continuate a pensarmi...continuate a parlarmi...continuate a raccontarmi quello che fate...proprio come se fossi lì, con voi, perché potrei  essere davvero lì, con voi.
Caterina

giovedì 23 ottobre 2014

PATRICK MODIANO, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2014:"DORA BRUDER"

Dora Bruder
De gustibus non disputandum est ma avrei preferito che il Premio Nobel per la letteratura 2014 fosse stato assegnato al giapponese Murakami per la genialità e la singolarità della sua produzione letteraria, piuttosto che al francese Patrick Modiano per le sue opere librarie, fra le quali “Dora Bruder” (Narratori della Fenice) certamente emerge per la drammatica semplicità e per lo scorrevole incidere della narrazione  negli anni ottenebrati dal nazismo.
L’Autore stesso è il protagonista del racconto che si snoda nella ricerca di memorie su una ragazzina ebrea dopo la scoperta che egli compie su un giornale dell’epoca.
Modiano intraprende un percorso fra l’immaginifico e il realistico mentre indaga su  questa Anna Frank d’oltralpe lungo la Parigi di Vichy, la Parigi cupa de I Miserabili di Victor Hugo, la Parigi orribilmente straziata dalla occupazione tedesca fra il luglio del 1940 e l’agosto del 1944. Storie di vita quotidiana e di prigionia riscostruite attraverso foto sbiadite in bianco e nero e lettere dimenticate, storie che ci conducono all’interno delle prigioni del regime, dei campi di internamento, di concentramento e di sterminio, dove tutti i gironi danteschi vanno a confluire. In “Doria Bruder” v’è l’orrore rarefatto del capolavoro di Spielberg Schindler’s list e de La banalità del male della compianta  Hanna Arendt.
Questo lavoro incarna il verbo scritto senza il quale le esistenze di tante persone come Dora Bruder si sarebbero volatilizzate: “…si muove nel vuoto, si agita nel vuoto, attraversa il vuoto, viene deluso dal vuoto…”(Pietro Citati).
Il trade union fra quel passato e il presente di uno scrittore francese di origine ebraica è lo stesso Patrick Modiano: ”Ho la sensazione di essere il solo a reggere il filo che collega la Parigi di quell’epoca e quella di oggi, il solo che si ricordi di tutti questi particolari…..Se non fossi qui a scriverlo, non esisterebbe più traccia della presenza di quella sconosciuta….”.
E poi, incamminandosi verso la fine, verso orizzonti crepuscolari, il lettore si abbandona ad una sensazione di stupore quando dalla fuliggine che lo nascondeva viene lentamente disvelato ciò che prima era ignoto e tale poteva rimanere: ” Eppure, sotto quella spessa coltre di amnesia, si sentiva qualcosa, di quando in quando, un’eco lontana, soffocata, anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa, con precisione. Era come trovarsi sull’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde.”.
Fabrizio Giulimondi

giovedì 16 ottobre 2014

FABRIZIO GIULIMONDI:LA RISPOSTA ALLE "TESI" DEL CARDINAL KASPER - “PERMANERE NELLA VERITÀ DI CRISTO. MATRIMONIO E COMUNIONE NELLA CHIESA CATTOLICA”, A CURA DI ROBERT DODARO O.S.A., SCRITTI DI BRANDMULLER, BURKE, CAFFARRA, DE PAOLIS, DODARO, MANKOWSKI, MULLER, RIST, VASIL

Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica
Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa Cattolica”, a cura di Robert Dodaro O.S.A., scritti di Brandmuller, Burke, Caffarra, De Paolis, Dodaro, Mankowski, Muller, Rist, Vasil (2014, edizioni Cantagalli)
Nella relazione presentata al Concistoro straordinario sulla famiglia (febbraio 2014), il cardinale Walter Kasper ha lanciato un appello affinché la Chiesa armonizzi "fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo ai divorziati risposati con rito civile". Un invito al confronto arriva con questo volume, scritto in vista del sinodo sulla famiglia, che vede lo sforzo congiunto di cinque cardinali della Chiesa cattolica e di altri quattro studiosi. Nei loro interventi, gli autori dimostrano come, esaminando i testi biblici fondamentali e facendo ricorso alla patristica, non sia possibile dare sostegno "sic et simpliciter" ad una "tolleranza" - sostenuta dal cardinale Kasper - nel riconoscere la facoltà di accedere al sacramento dell'eucaristia a quanti abbiano contratto il matrimonio civile successivamente al divorzio. Gli autori argomentano in favore del mantenimento delle basi teologiche e canoniche della connessione tra dottrina cattolica tradizionale e disciplina sacramentale inerente il matrimonio e la comunione. La fedeltà della Chiesa alla verità del matrimonio costituisce così il fondamento irrevocabile della sua misericordiosa e amorevole risposta alla persona civilmente divorziata e risposata. Il libro, quindi, sfida la premessa secondo la quale la dottrina tradizionale cattolica e la pratica pastorale contemporanea sarebbero in contraddizione.

Tratto dal commento al libro

"LUCY" DI LUC BESSON

Locandina italiana Lucy
E se il cervello umano usasse tutto il 100 per cento del suo potenziale cosa accadrebbe? L’avvincente ed affascinante film di Luc BessonLucy”  fornisce una immaginifica risposta alla domanda che in tanti ci poniamo.
Lucy è il primo australopiteco  di sesso femminile risalente a quattro milioni di anni fa scoperto nel novembre del 1974 in Etiopia. Lucy è la prodigiosa protagonista interpretata dalla seducente e bravissima Scarlett Johansson (affiancata da un sempre grandioso Morgan Freeman), che non dismette nelle sue movenze le sembianze della Vedova Nera, assumendo simultaneamente anche quelle della "eroina" di Kill Bill di Quentin  Tarantino.
La pellicola è simile nella partenza al film del 2011 di Neil Burger Limitness, per poi svilupparsi ed esplodere in un secondo momento in un vero action movie di marcato segno fantascientifico, dove al posto di una pasticca vi sono sacchetti di cph4, la potente sostanza che le donne incinte producono dalla sesta settimana e che contribuisce alla trasformazione del feto in bambino.
Bellissime le interpolazioni documentaristiche e i richiami ad  alcune immagini dell’epocale opera 2001:Odissea nello spazio.
La “Messa da requiem in re minore K 626” di Mozart come colonna sonora è il tocco artistico finale di Besson.

Fabrizio Giulimondi


sabato 11 ottobre 2014

"NON E' FRANCESCO-LA CHIESA NELLA GRANDE TEMPESTA" DI ANTONIO SOCCI (MONDADORI)





Mentre la Chiesa vive un periodo storico drammatico, di crisi interna e di violento attacco ai cattolici nel mondo, in Vaticano continua un'inedita «convivenza di due Papi» su cui nessuno ha avuto ancora il coraggio di riflettere. Lo fa, in questo libro Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta (edito dalla Mondadori), chiedendosi quali sono i motivi tuttora sconosciuti della storica rinuncia di Benedetto XVI e se si tratta di vera rinuncia al Papato, dato che i canonisti cominciano a sollevare gravi dubbi. Domande che adesso s'intrecciano con quelle relative al Conclave del 13 marzo 2013 che, secondo la clamorosa ricostruzione dell'autore, si sarebbe svolto in violazione di alcune norme della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, cosa che automaticamente rende nulla e invalida l'elezione stessa del cardinale Jorge Mario Bergoglio. L'interrogativo su chi è il vero Papa (ovvero se c'è bisogno di un nuovo Conclave) irrompe in un momento in cui nella Chiesa si stanno verificando fratture drammatiche e si annunciano eventi clamorosi. Chi può tenere il timone? Era piaciuto a tanti l'esordio di Francesco. Sembrava un ritorno alla semplicità evangelica. Purtroppo oggi i fedeli delusi sono moltissimi. Ci si aspettava una ventata di rigore morale nei confronti della «sporcizia» (anche del ceto ecclesiastico) denunciata e combattuta da Ratzinger. Ma come va interpretato il segnale dato dal nuovo Pontificato al mondo, di lassismo e di resa sui principi morali? E l'arrendevolezza nei confronti di ideologie e forze anticristiane, anche persecutrici? E le traumatiche rotture con la tradizione della Chiesa? Molti fatti soprannaturali, dalle apparizioni di Fatima alla visione di Leone XIII, alle profezie della beata Anna Caterina Emmerich sull'epoca dei «due Papi», sembrano concentrarsi sui giorni nostri annunciando eventi catastrofici per il Papato, per la Chiesa e per il mondo. Sono ineluttabili o si può ancora imboccare un'altra strada? E con quale Papa?

Tratto dalla recensione del libro


venerdì 10 ottobre 2014

MALALA YOUSAFZAY: PREMIO NOBELPER LA PACE 2014 - "IO SONO MALALA, LA MIA BATTAGLIA PER LA LIBERTA' E L'ISTRUZIONE DELLE DONNE" DI MALALA YOUSAFZAY

Nobel Pace 2014: vincono Malala e Kailash Satyarthi





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Spesso noi esseri umani non ci rendiamo conto di quanto Dio sia grande. Lui ci ha dato un cervello straordinario e un cuore sensibile e capace di amore. Ci ha benedetto donandoci due labbra con cui parlare ed esprimere i nostri sentimenti, due occhi con cui ammirare un mondo di colori e di bellezza, due piedi con cui percorrere le strade della vita, due mani che lavorano per noi, un naso capace di cogliere i profumi e due orecchie con cui sentire parole d’amore. Come avevo sperimentato nel caso del mio orecchio sinistro, non ci rendiamo conto di quanto potere ci sia in ciascuno degli organi del nostro corpo finché non ne perdiamo uno.


Ringrazio Dio per i medici che tanto lavoro hanno profuso su di me, per la mia guarigione e per averci mandati in questo mondo dove possiamo lottare per la sopravvivenza. Alcuni di noi scelgono via buone e altri vie cattive. La pallottola sparata da una persona mi ha colpito, mi ha fatto gonfiare il cervello, mi ha rubato l’udito e ha tagliato il mio nervo facciale sinistro, tutto nello spazio di un secondo. Ma passato quel secondo ci sono stati milioni di persone che hanno pregato per la mia vita e medici bravissimi che mi hanno restituito il mio corpo.

Ero  una brava ragazza che nel suo cuore aveva solo il desiderio di aiutare gli altri. A interessarmi non erano premi o soldi. Ho sempre chiesto a Dio: Ti prego, voglio aiutare gli altri, aiutami a farlo!”

Questo è il desiderio che sgorga dal cuore di Malala Yousafzay, candidata al Premio Nobel per la Pace, autrice del libro autobiografico Io sono Malala” (Garzanti), che sarebbe opportuno divenisse obbligatorio sui banchi di scuola degli istituti secondari e liceali, per dare aria alle menti di tanti adolescenti offuscate dal politically correct. A questa straordinaria pulsione intellettuale e morale di Malala i talebani rispondono con tre colpi sparati a distanza ravvicinata contro la sua testa.

Quale è la terribile colpa di Malala per meritare l’attentato? Vuole studiare. Malala ha quindici anni quando le hanno esploso tre colpi di pistola e vuole studiare, e vuole che studino tutte le ragazzine dello Swat,  valle dove vive con la sua famiglia, e vuole che in tutta la sua Patria, il Pakistan, vadano a scuola le bambine e le ragazze, e vuole che abbiano una istruzione anche le donne del vicino Afghanistan e tutte le musulmane a cui viene negata la conoscenza in molti  Paesi (tanti! troppi!) a prevalente religione islamica.

Chi è fra di voi Malala?” “Io sono Malala” e poi tre esplosioni.

Malala è così, semplicemente coraggiosa e umilmente straordinaria,  anche grazie a  un padre al di sopra del comune, che combatte per il diritto allo studio delle donne e, per questo,  mette su una scuola a rischio della propria vita, contro la volontà dei talebani, fra una bomba e un attentato kamikaze.

Malala ha una madre, analfabeta, che non vuole che lo sia anche la figlia.

Alla segregazione del purdah, che imprigiona il corpo con il burka e separa fisicamente  la donna dal mondo con tende appositamente montate o pareti a ciò  costruite, agli islamici radicali  per i quali quasi tutto è haran, forse la vita stessa, Malala  oppone una istruzione gratuita a tutti i bambini:  “Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”. La cultura è halal, la vita è halal.

Le vicende di Malala – che  aspira ad  essere la nuova Benazir Bhutto -  si accompagnano con  la storia del Pakistan.

Lungo la narrazione –  che, nel suo incedere,  diventa sempre più marcata, trascinante  e vibrante, fino  alle note di grande drammaticità  dell’epilogo - si intravedono i costumi, gli usi, i precetti, le concezioni, i miti  di quelle regioni dell’Asia meridionale. Nel proscenio ammirerete le descrizioni delle bellezze naturali di quelle Terre e, talora, se presterete un attimo di attenzione, potreste scorgerne i colori e, magari, gustare i sapori delle pietanze tradizionali e, solo però se vi lascerete andare, udire anche i suoni che vagano nell’aria e fanno da sottofondo alle parole pronunziate da una ragazzina: una ragazzina  che viene da un villaggio sperduto nella valle dello Swat, che andava a scuola terrorizzata che le potessero buttare sul viso dell’acido, a cui hanno puntato un’arma sul viso,  e che adesso parla  alle Nazioni Unite a New York di fronte ai Grandi della Terra.

La malinconia e la nostalgia delle ultime pagine rispecchiano la luce che Malala emana dai suoi occhi: perché ora vive a Birmingham e non è più tornata a casa sua.

Sedermi a scuola a leggere i libri è un mio diritto. Vedere ogni essere umano sorridere di felicità è il mio desiderio. Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato ma io no.”.
Malala Yousafzay, insieme a Kailash Satyarthi, ha ricevuto il 10 ottobre 2014 il Premio Nobel per la Pace.


Fabrizio Giulimondi

domenica 5 ottobre 2014

"KAFKA SULLA SPIAGGIA" DI HARUKI MURAKAMI

murakami haruki - kafka sulla spiaggia
Il puro presente è il processo impercettibile in cui il passato avanza divorando il futuro.  A dire il vero, ogni percezione è già ricordo………..Qui non c’è niente, salvo le variazioni atmosferiche, a differenziare un giorno dall’altro. Se non ci fossero, si perderebbe ogni distinzione. Il confine tra l’oggi e il domani, il domani e il dopodomani, è labile: il tempo è come una nave senza ancora, trasportata qua e là dalla corrente.”.
Si avvicina la proclamazione della assegnazione del premio Nobel per la letteratura 2014 e il favorito è il prodigioso scrittore nipponico Haruki Murakami, padre, insieme al latino-americano Gabriel Garcìa Màrquez, del “realismo magico”.
Non è facile parlare di letteratura giapponese e, men che meno, dell’opera di un genio globalmente riconosciuto come Murakami, che, con il romanzo  “Kafka sulla spiaggia” (Einaudi Super ET,2002), tocca livelli di intrigata, intrigante e ineffabile bellezza.
Kafka sulla spiaggia” turba e affascina il lettore per il contenuto, lo stile e la stessa strutturazione del linguaggio. Non si può approcciare questo lavoro – al pari delle altre fatiche di Murakami – se non con la stessa metodologia di avvicinamento usata dagli storici dell’arte per godere di una tela cubista, surrealista o astrattista, in cui i punti di fuga, la visione prospettica, il baricentro della rappresentazione figurativa, sono completamente stravolti rispetto alla concezione pittorica classica, e dove la riproduzione dell’immagine dell’essere umano è destrutturata e strappata dalla realtà.
Alla stessa stregua il lettore si deve muovere fra le pagine di  “Kafka sulla spiaggia”.
La magia, il mistero, il soprannaturale, i risvolti onirici e favolistici, l’inverosimile, la stravaganza, sono parte della realtà, sono un tutt’uno con essa. Non v’è una separazione, una cesura, fra il mondo visibile e quello intangibile, fra lo spazio e l’assenza di esso, tra il tempo nel suo fluire, il passato, il presente ed il futuro, e la sua assenza. Un unico universo in cui nulla è chiaro, non sussistono certezze nelle risposte e tutto è niente altro che una ipotesi, avvolta in una coltre di fuliggine, che nasconde e rende  indistinto, incomprensibile, impalpabile  e irraggiungibile ogni particolare, ogni verità.
L’armonia romantica e la delicata poesia di un momento vengono improvvisamente scosse da sprazzi di cannibalica violenza e incestuosa turpitudine erotica, propria della complessa letteratura del Sol Levante, della ricca cinematografia orientale e della fumettistica del “Paese dei fiori di loto”, come le pellicole di animazione  di Hayao Miyazaki ci insegnano.
Alle  descrizioni talora espressioniste, talora impressioniste, della natura,  si sovrappongono dettagliati racconti introspettivi di ciascun personaggio. Ogni rappresentazione della corporeità di un essere umano o di un animale è solo l’occasione per penetrare il suo mondo interiore e la sua essenza. Fisicità e spiritualità, yin e yang l’una dell’altra. Ogni elemento è significante ed insignificante nello stesso tempo, avviluppato in una sacralità panteista e scintoista.
La narrazione è continuamente interpolata da richiami letterari risalenti alla antichità greco-romana o  alla contemporaneità anglo-sassone e russa. Il leitmotiv è l’Edipo re di Sofocle, ma c’è anche la ricerca kafkiana dell’uomo e la presenza di Edgar Allan Poe, perché Kafka in lingua ceca vuole dire Corvo, come “il ragazzo che si chiama Corvo”, alter ego del protagonista Tamura Kafka, invero The Raven.
Kafka sulla spiaggia” è il titolo del capolavoro, ma è anche un brano musicale che funge da colonna sonora del libro, ed è anche un dipinto su cui i personaggi si specchiano e attraverso di esso tentano di capire e capirsi, senza riuscirci.
Sartre diceva che una parola può avere molti significati, richiamare molte immagini, scatenare molte emozioni. “Kafka sulla spiaggia” non è solo un’opera letteraria, ma è musica e pittura e, quindi, una magmatica, vorticosa e incontrollabile moltitudine di sentimenti, di emozioni, di sensazioni.
Tutt’intorno a me ci sono molti validi sostituti: il canto degli uccelli, le voci di infiniti insetti, il mormorio del ruscello, il suono del vento che attraversa il fogliame degli alberi, i passi di qualche animale che cammina sul tetto, il rumore della pioggia.”.

Fabrizio Giulimondi

sabato 4 ottobre 2014

"FRATELLI UNICI" DI ALESSIO MARIA FEDERICI

Locandina italiana Fratelli unici

Dopo la notevole interpretazione di Alessandro Gassman e Luigi Lo Cascio ne I nostri Ragazzi di Ivano De Matteo (già recensito in questa Rubrica), altra robusta recitazione di una coppia di belli, Luca Argentero e Raoul Bova, la troviamo in “Fratelli unici” di Alessio Maria Federici.
Questa pellicola è la prova provata che si può far ridere il pubblico senza volgarità e parolacce e far provare allo spettatore emozioni amorose e romantiche senza sbattergli  in faccia sesso a profusione.
Fratelli unici”  è uno splendido mix di risate e sentimenti puliti, un po’ Rain Man e tanta commedia tradizionale italiana.
Quando vuole la cinematografia nostrana riesce a tirare fuori ottimi lavori, specie se concepiti dalle nuove leve, non assopite in polverosi e tristi modelli cinici ed intellettualoidi seguiti da certi vetusti cineasti italici.
Fabrizio Giulimondi