Dopo
Semina il vento del 2011 e lo
splendido Le colpe dei padri, che
avrebbe senz’altro meritato l’assegnazione del Premio Strega edizione 2013 e
non il secondo posto, Alessandro
Perissinotto ci dona "Coordinate d’oriente"
(Piemme), romanzo che parte lento e
sonnecchiante, si ravviva cammin facendo, per poi esplodere nella volata finale,
dove le lacrime che si erano via via condensate ineluttabilmente si sciolgono.
Fra
Shanghai e Torino, fra tragedie, abbandoni e nuovi incontri, fra uno spazio (“semplice indicazione di rotta,…annuncio,…presagio
di città,…profezia”) e un luogo (“identitario,
relazionale e storico”), fra semafori e alberi, crocevia di morti filiali devastanti
e sopraggiunte empatie tra la pirandelliana Jin e il tutto senso di colpa, del
dovere e di responsabilità Pietro, la narrazione procede per fotogrammi e a più
dimensioni: il lettore sente i sapori dei cibi d’oriente, gli odori acri,
pungenti, delicati o sgradevoli che aleggiano nelle stradine caotiche delle
megalopoli cinesi e si addensano nelle abitazioni private e nei locali pubblici;
ascolta le parole che veleggiano nei dialoghi e che assumono valore e
consistenza solo grazie alle diverse intonazioni conferite ad esse dai
personaggi, parole il cui ritmo cadenza e ticchetta l’incedere delle frasi (“Una chela di granchio, un uovo cotto nel
sale, delle fave lunghe e nere, dei blocchi che sembrano torrone, e,
naturalmente, spiedini, involtini, carne di maiale. Nel vicolo si vende solo
cibo, cotto e crudo, vegetale e animale: roba che camminava, che volava, che
strisciava, che ronzava, che ragliava, che pigolava, che nuotava, che gracidava,
a sangue caldo, a sangue freddo, senza
sangue”); vede i colori, le miriadi di tinte che salterellando sbucano
dagli stralci di vita tratteggiati da Perissinotto; sente le note delle sonate
di Stockhausen, Offenbach, Ravel, Satie, Berg, eseguite dalle mani di donna
delle pulizie e di artista di Jin. Nel sottofondo si intravede la rivoluzione
culturale maoista, con il suo retrogusto acido, che fa da contraltare all’erotismo
velatamente evocato mediante le pagine de L’amante
di Marguerite Duras e di Eros dans un train
chinois di René Depestre.
Ognuno
ha bisogno di raccontare e di essere raccontato e la voce narrante, la voce
fuori scena, e poi dentro la scena, che compie questa opera maieutica è proprio
quella dell’Autore, il quale, lungo il suo viaggio - reale ed affettivo,
immaginario, immaginifico e concreto - in
Cina, aiuta le storie “a uscire, a farsi
strada nella confusione dei fatti che si affastellano”.
Fabrizio Giulimondi
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