venerdì 21 gennaio 2022

"ANNIENTARE” di MICHEL HOUELLEBECH (LA NAVE DI TESEO)

 


Michel Houellebech è il coraggioso Autore francese che ha sfidato le ire islamiste con “Soumission”, la cui letteratura è carica di spessore introspettivo, ricerca spirituale, sessualità esplicita. Nella sua ultima opera “Annientare” (La nave di Teseo) quest’ultimo elemento scema, mantenendosi vistosi i primi due aspetti.

Anzianità e malattia, certezza della morte, l’Ossuta che si avvicina e la paura che si ingrandisce, la riscoperta di amori che si pensavano oramai svaniti, la famiglia come radice robusta, il coraggio di posizioni anti eutanasiche in una Europa mortifera: “La vera ragione dell’eutanasia, in realtà, è che non sopportiamo più i vecchi, non vogliamo nemmeno sapere che esistono, per questo li parcheggiamo in luoghi specializzati, lontano dalla vista degli altri. Quasi tutte le persone oggi ritengono che il valore di un essere umano diminuisca con l’aumentare dell’età”.

Lo scrittore francese prende per mano il personaggio Paul e lo accompagna negli ultimi suoi anni di vita, verso la rimozione delle coltri di polvere posate sui valori più per noia che per convinzione: “Ciò non toglie che per l’ideologia ufficiale siano estremamente scomodi: la costringono a riflettere su se stessa, a riesaminare i suoi valori ed è la cosa che odia di più di ogni altra”.

È un romanzo sulla impermanenza portato avanti con uno sguardo mesto e disincantato, triste e stanco, reso lieve dalla vicinanza di una moglie riscoperta. Il protagonista si sta accostando alla sofferenza ed è a un bivio fra un atteggiamento angosciato ed uno accarezzato dalla presenza costante di Prudence. Non v’è disperazione, ma solo consapevolezza. Non si vuole abbandonare questa vita ma la si vuole godere sino alla fine. È lo spirito che vince sulla materia, l’ordine sul caos.

Il core del libro si addensa in duecento pagine, mentre la prima parte è propedeutica a quello che avverrà.

Le parole hanno tinte chiaro scure, terree, marroncine, grigiastre con sfumature giallognole, autunnali, novembrine. Il cielo disegnato dalla narrazione è plumbeo, ma dietro le nuvole si intravedono chiaramente alcuni raggi di sole.

Paul è attratto dalla fede della sorella Cécile, una fede indomita, antica come una quercia, ma ne è anche sconcertato, dubbioso, guardingo, spaventato.

Il dolore che permea gli ultimi capitoli di “Annientare” possiede l’esteriorità dell’attesa dell’Evento, ma è un dolore privo di disperazione. L’annientamento è fisico ma non morale, non psicologico, non interiore. Non v’è dramma ma solo coscienza che “Avremmo avuto bisogno di meravigliose menzogne”.

Fabrizio Giulimondi


sabato 8 gennaio 2022

"LA CASA SENZA RICORDI" di DONATO CARRISI (LONGANESI)

 


Qualcosa di malvagio abitava in quelle stanze e, negli anni, aveva preso il posto di tutte le speranze e i palpiti d’amore. Una specie di entità acquattata nel silenzio, che si nutriva di rancore per non essere stata creduta.”.

Donato Carrisi dà una ennesima grandissima prova di sé con “La casa senza ricordi” (Longanesi).

Ogni romanzo di Carrisi è un passo in avanti verso la vetta dell’Olimpo degli autori del genere psicologico e thriller.

La casa senza ricordi” è puro psico-crime, sguardo onirico, labirintico, claustrofobico, allucinatorio sugli anfratti reconditi dell’oscurità umana.

La figura dell’Affabulatore riprende il romanzo di apertura dello scrittore pugliese “Il Suggeritore”, ripercorrendo le trame misteriche de “L’ipotesi del male”. Al centro della scena di una Firenze in penombra v’è l’ipnosi ed un suo uso manipolatorio che collega ventidue anni di tragedie inascoltate: “Nessuno è disposto a credere alle storie dei bambini”.

Il lettore rimane avvinghiato in uno stato ipnotico al racconto, deve capire, deve sapere, ciò che appare non è ciò che è, ciò che è non è ciò che appare. Mente, conscio e subconscio si inseguono, si combattono, l’uno cerca di sopraffare l’altro, in una eterna lotta senza vinti né vincitori.

Habemus Malleum Animi. Oblivio. La licantropia come patologia psichiatrica. Psiche e corporeità in perenne e insoluto contrasto.

La letteratura di Donato Carrisi tagliuzza l’uomo con il bisturi e ne studia la fuga nelle catacombe da lui stesso costruite e poi nascoste a se stesso. “La casa dei ricordi” proietta la disattenzione per la parola dei bambini verso il grande telo della tragedia che si fa grido silenzioso. Ciò che sembra malvagio non è tale, perché, in realtà, non è altro che l’urlo di Munch del fanciullo che per mezzo dell’“Addormentatore di bambini” far sapere all’esterno che cosa sia accaduto in passato… e cosa stia continuando ad accadere.

Non dovrai parlare a nessuno di me. Ascolterai ciò che ho da dire fino in fondo. Non dovrai cercarmi là fuori.”.

Fabrizio Giulimondi

 

 

domenica 2 gennaio 2022

"BILLY SUMMERS" di STEPHEN KING

 


Io ho due mostri sacri: Steven Spielberg, incarnazione del cinema, e Stephen King, inveramento della letteratura horror, thriller, poliziesca e psico-crime.

Il momento di stanca capita a tutti, anche ai giganti, specie dopo produzioni artistiche senza precedenti al mondo.

Billy Summers” (Sperling & Kupfer) è l’ultima fatica letteraria di Stephen King e credo che, purtroppo, risenta del clima di campagna elettorale delle presidenziali statunitensi del novembre 2020.

Io non ho mai letto un romanzo lontano dal genere politologico o fantapolitico che attaccasse in continuazione, in maniera posticcia, improvvida, petulante, anche sconclusionata, una personalità che si avversa. In questo libro Trump è pura espressione del male, i suoi elettori berciati, tutti i suoi fan trattati come criminali.

Il personaggio principale, il protagonista ed eroe indiscusso è un vero e proprio killer che uccide a pagamento, ma solo quelli che lui ritenga persone cattive, come se un assassino possa ergersi ad angelo vendicatore, a giustiziere, a latore del Bene previo cospicuo compenso.

L’Autore sta con lui, lo coccola e lo vezzeggia, ritenendo giusto usare ogni mezzo per ricevere la “giusta mercede” promessa ed “ingiustamente” negata.  La violenza adoperata da Billy in qualche modo è giustificata, vista quasi con simpatia: forse in via subliminale si vuole sussurrare che un pluriomicida è migliore di Trump?

I noti tratteggi dei caratteri e delle personalità di Stephen King qui scompaiono. Alice, diciannovenne vergine brutalmente violentata da tre uomini, ha solo qualche fugace crisi di panico e segue senza colpo ferire un assassino abbracciandone “usi e costumi”: si va ben oltre la Sindrome di Stoccolma, che qui appare subitanea.

Billy prima di dedicarsi ad ammazzare le persone per denaro era un marine a Falluja nella guerra irachena voluta da Bush (ovvio!), ed è lì che ha imparato a sparare, e ad uccidere. Forse Billy è diventato un eliminatore prezzolato di uomini per colpa di Bush?

Il Sommo Scrittore è sequestrato da un manicheismo parossistico in cui il Bene sta tutto da una parte e il Male da un’altra. Che fine hanno fatto le descrizioni della complessità dell’uomo, miscuglio di distoniche verità in un apparente unicum?

Il finale, invece, è bello e ben costruito, con una chiara filosofia che lo sottende: la scrittura mantiene in vita chi amiamo, crea nuovi spazi e libera le menti dalla schiavitù del presente e della realtà.

Alice Maxwell, studentessa di economia e reduce da uno stupro, è seduta su un vecchio furgone con un uomo che si è guadagnato da vivere uccidendo la gente”.

Non v’è né drammaticità, né suspense, né pathos, mentre Dickens ed Émile Zola, padri spirituali di King, questa volta restano stupiti da tanto livore ideologico in un “giallo”.

Fabrizio Giulimondi