venerdì 4 agosto 2023

"BARBIE” di GRETA GERWIG

 


Mi sono chiesto e mi hanno chiesto come mai il film “Barbie” di Greta Gerwig sta sbancando al botteghino come terzo film più visto nelle sale dopo le riaperture post pandemia. La risposta è semplice e basta guardare la pellicola con attenzione, scrutando i dettagli sino alla fine.

Barbie” è un lavoro cinematografico di liberazione dello spettatore dalla opprimente imposizione fluida, liquida, queer e gender. È esaltata la “Bellezza” femminile, la bellezza di donne vere, non frutto del laboratorio transgender. Le differenze corporee e psicologiche dei due sessi, maschio e femmina, sono marcate, in chiave ovviamente macchiettistica, in modo chiaro e senza equivoci.

Nel mondo irreale e plastificato di Barbie - quello della bambola immessa in commercio il 9 marzo 1959 - la felicità è artefatta perché vissuta da donne irreali, prive di vagina, in quanto tali incomplete, e l’elemento maschile è un optional, un Ken, un maschio finto, senza il pene.

Il maschio vive di riflesso alla femmina: Ken vive per farsi notare da Barbie. Maschile e femminile sono in contrapposizione secondo la concezione vetero-femminista. La Barbie soppianta le bambole di un tempo che aiutavano le donne, sin dalla loro infanzia, a divenire buone mogli e brave madri.

Barbie rivoluziona la percezione delle donne nella società, strumento ludico di lotta alla discriminazione.

Barbie è una wasp. È bianca, americana, bionda, molto californiana, bella e sexy: è femmina, parecchio femmina. Questa femminilità non smette mai di esistere e di imporsi per tutta la durata della proiezione, con i tacchi o con le orribili Birkenstock, con o senza trucco: Margot Robbie - l’attrice che veste i panni della creazione di Ruth Handler - è bellissima. La femminilità, l’essere donna, sono l’autentico leitmotiv della trama. Non si può essere donna senza il reale, senza l’umanità ed i suoi risvolti negativi, senza il pianto, il dolore e la morte. Barbie vuole questo per essere vera, completa, tutta ragazza, tutta essere umano. Barbie, così, decide di fare parte di quella Umanità composta di uomini con il pene e donne con la vagina. I dettagli sono fondamentali. Le ultime immagini mostrano una bambola Barbie con il bambino da inserirle nella pancia. La vagina è aperta alla vita e Barbie si reca dal ginecologo perché, in quanto donna e per volontà della natura, è potenzialmente madre. Non v’è alcuna concessione agli LGBT. Alcuna. Gli uomini e le donne sono complementari, non gli uni contro le altre: solo complementari realizzano se stessi, completano se stessi e possono cercare di migliorare l’esistenza umana, perpetuandone la specie.

Questo film è l’esaltazione della normalità e della naturalità e avversa gli stereotipi. Il pianto non appartiene solo all’ “altra metà del cielo” ma anche all’uomo, che non perde la propria mascolinità versando lacrime.

Ad essere preso in giro è chi qualifica “fascista” tutto ciò che non rientra fra le sue idee, ma v’è salvezza anche per lui. L’adolescente woke, eternamente triste e arrabbiata, ritroverà il sorriso e l’amore per la madre proprio entrando in contatto con il mondo leggero e “curvilineo” di Barbie.

Le citazioni sono numerose: dalle scene iniziali di “2001: Odissea nello spazio” con lo splendido brano “Così parlò Zarathustra” ai musical di Broadway (penso a “Tommy” degli Who), sino ai cantanti rock e rapper anni ’70 e ’80 con la pelliccia sopra il petto nudo (segno di virilità non di altro come taluni, inventando, hanno ideologicamente affermato).

Secondo me si sono sbagliati a produrre questa pellicola: proclama, in modo esplicito o subliminale, valori tradizionali.

Fabrizio Giulimondi


                                


 

 

mercoledì 2 agosto 2023

"LA PORTALETTERE" di FRANCESCA GIANNONE (NORD): VINCITORE PREMIO BANCARELLA 2023

 


La portalettere” di Francesca Giannone (Nord), vincitore del Premio Bancarella 2023, è un romanzo morbido ed emozionante che fa viaggiare il lettore nella metafisica degli affetti. La famiglia, oggetto di puntuale e premeditata aggressione da parte della odierna letteratura e cinematografia, in “La portalettere” viene descritta in maniera articolata e amorevole.  I personaggi – tutti ampiamenti raffigurati dall’interno e dall’esterno - non vi abbandoneranno terminata la lettura, ma continueranno a cercarvi.

L’Umanità è rappresentata ad ampio spettro ed ogni protagonista, coprotagonista, attore secondario o comparsa, ne compone la maestosità, fatta di ordinarietà e straordinarietà, quotidianità ed eccezionalità. La Giannone sembra voler sussurrare che ogni persona è un mistero a se stessa, amplificandosi il mistero ogniqualvolta una relazione sbocci.

L’Autrice sembra la Austen italiana che fa trasmigrare le sue creature letterarie dalle campagne britanniche a quelle salentine.

La narrazione è ritmata dalle sonorità che hanno punteggiato il ventennio fascista ed il primo dopo guerra.

I fatti storici, dalla “avventura” mussoliniana africana al crollo del Regime, sino all’arrivo della Repubblica, sono raccontati tramite i titoli delle pellicole dell’epoca, le canzoni del tempo e gli accadimenti sociali al pari del matrimonio fra la Regina Elisabetta con il principe Filippo e del sopraggiungere dell’uso del telefono.

Goethe e Cechov accompagnano il lettore e rafforzano il legame fra Anna, la Portalettere, la Forestiera dagli occhi del color delle foglie di ulivo, ed il cognato Antonio. Ogni membro della famiglia traccia una storia, verga un sentimento, marca il dualismo eterno dell’animo umano, il suo bianco come il suo nero, ripercorrendo la ricerca della felicità e la tragica condizione di costante insoddisfazione umana. Daniele porta con sé un segreto a lui nascosto che cambia non solo il suo percorso esistenziale, ma anche quello di chi lo circonda, prima fra tutti la tragico-ellenica Lorenza.

La portalettere è una Anna Magnani letteraria che incarna il turbinio innovativo e la voglia di rivalsa  delle donne, invera una suffragetta ligure trapiantata nella Puglia del marito, Carlo, pura energia creativa.

La portalettere” è un tappeto persiano ricamato con più fili, di colori smorti e pungenti, che portano il lettore e non mollare mai la presa.

Sul tronco del Grande Leccio poggiano la schiena Carlo e Antonio, fratelli legati da un legno duro come la quercia. Il dopobarba mentolato e l’odore speziato del sigaro di Carlo impregnano le pagine del libro, mentre il sentore del pesto di Anna e Giovanna si insinua nel palato del lettore che avverte anche sapore gustoso delle pietanze di Agata. Non esistono figure sgradevoli perché tutte vivono di una umanità profonda e radicale.

Ed il lutto tutto cancella e tutto innova.

Tutto vede e tutto cela.

Credo di aver sentito…di essere a casa. Di poter mostrare il mio lato più fragile, sapendo che l’altra persona lo capisce, lo accetta, se ne prende cura, e non lo userà mai contro di te.”.

Fabrizio Giulimondi