sabato 26 febbraio 2022

FABRIZIO GIULIMONDI: "SIAMO ANCORA FIGLI DI JALTA"

 


Questa mia breve riflessione sarà composta da domande. Non è mia intenzione ripercorrere la storia recente dell’Ucraina, dal 2014, anno della occupazione ed annessione russa della Crimea (“ceduta” nel 1954 da Chruščёv all’Ucraina) e della autoproclamazione delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk (russofone e russofile) nella regione del Donbass, ai nostri giorni, oscurati e rabbuiati dalla invasione dell’Ucraina da parte delle armate di Putin.

Porrò sì quesiti, ma evocherò anche episodi storici.

A Jalta (scherzo del destino in Crimea), fra il 4 e l’11 febbraio 1945, i vincitori della seconda guerra mondiale, Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin, si spartirono il mondo in zone di influenze. In quelle zone gli States e l’Unione Sovietica avrebbero dominato senza che l’altro potesse interferire in alcun modo.

Tanto tempo è trascorso e sono sopraggiunti altri protagonisti, come la Cina, mentre l’impero sovietico si è dissolto nel 1991 a seguito del crollo del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 e, con esso, della tirannide comunista.

Il 24 agosto 1991 l’Ucraina diviene Stato indipendente.

Altro passaggio.

La Dottrina Monroe, annunciata il 2 dicembre 1823, proclama che gli Stati Uniti devono sovraneggiare sul Centro-Sud America, loro centro di interesse da tutelare, garantire e proteggere.

Fra il 16 e il 28 ottobre 1962 si rischiò la terza guerra mondiale per la reazione militare del Presidente americano Kennedy contro l’allocazione di missili sovietici nell’isola castrista di Cuba (e se fossi già nato mi sarei schierato certamente con gli States).

Ultimo passaggio, forse quello più fastidioso. Il diritto internazionale dà forma a regole costruite dai detentori, non della saggezza, della cultura, della lungimiranza e della scienza, bensì delle armi. Il diritto internazionale è il dettame imposto da chi ha eserciti, armi e testate nucleari. Il vero diritto si sostanzia nella forza bellica ed i primi a trasgredirlo, come la storia dal 1945 in poi insegna, sono proprio coloro che hanno immaginato e redatto i trattati sovranazionali. La stessa condotta è illecita o meno a seconda di chi la compia: le guerre israelo-arabo-palestinesi e i conflitti in Iraq, Siria, Afghanistan e Libia ci mostrano la strada.

Veniamo ai giorni d’oggi.

Il Messico potrebbe ospitare missili russi? Il Messico potrebbe decidere di allearsi militarmente, politicamente ed economicamente con la Russia di Putin?

Draghi o Mattarella potrebbero sfidare Biden in televisione proclamando la volontà di aderire ad un novellato Patto di Varsavia? Potrebbero, irridendo il Capo americano, ufficializzare una richiesta di accesso ad una organizzazione militare a guida russa?

Cosa accadrebbe? Il Governo americano lancerebbe fiori colorati sul territorio italiano sventolando bandiere arcobaleno della pace?

Lituania, Estonia e Lettonia, Paesi facenti parte dell’allora Urss, dal 1999 sono nella Nato, ossia quegli Stati un tempo non satelliti (come Polonia, Ungheria, etc.) ma costituenti propriamente l’Urss.

La Russia, prima zarista, poi socialista reale, depotenziata e messa all’angolo dal Nuovo Ordine Mondiale a stelle e strisce, ha visto i suoi confini circondati da Paesi agli ordini dell’antico nemico.

Il cambio di Governo ucraino nel 2014 ha portato alla richiesta dell’Ucraina di entrata nella Unione europea e nella Nato. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso!

Nel 2015, intervistato da Aldo Cazzullo, Prodi spiegò: “Se l’obiettivo è portare l’Ucraina nella Nato, allora crei tensioni irreversibili”. Alla domanda in cui gli si faceva notare l’accusa di essere “troppo morbido con Putin”, rispose: “Duro o morbido non sono concetti politici. Puoi essere duro se ti conviene, o morbido se ti conviene; non puoi fare il duro se te ne vengono solo danni. Isolare la Russia è un danno.”.

Il 23 febbraio scorso, quando il Presidente ucraino Zelens'kyj ha pubblicamente sfidato Putin – che stava schierando già i tank nel Donbass -  rinnovando la volontà di entrare nella Nato e nella Unione europea, non ha esposto il proprio Popolo ad un probabile -  se non certo - massacro? L’esercito russo è tra i più possenti al mondo, rinvigorito, molto ben armato ed equipaggiato e reso particolarmente professionale dopo la guerra russo-georgiana del 2008. Pensava Zelens'kyj di avere con sé Biden e la sua cavalleria? L’esperienza afghana non gli è servita a nulla? Riteneva che con lui vi sarebbe stata la Nato che nulla c’entra con l’Ucraina, nonostante le dichiarazioni improvvide del Segretario Generale Stoltenberg? Oppure l’Unione europea priva di un proprio esercito ed esausta dopo due anni di pandemia?

Non sono mai stato pacifista ma credo che in questo caso il dialogo sia l’unico percorso, visto il plurimo numero di soggetti coinvolti, tutti con legittime istanze e tutti dotati di armi: Russia, Ucraina, le due Repubbliche del Donbass, la Crimea oramai russa, i Paesi della Unione europea confinanti con l’Ucraina e che temono, se non la guerra, l’invasione di profughi (Polonia, Ungheria, Romania, Slovacchia), la stessa Unione europea oltre gli USA. Perché non tornare al maggio del 2002, a Patrica di Mare ed al suo spirito? Il desiderio di trattare espresso in queste ore dal Presidente ucraino è sicuramente saggio e del pari pragmatico.

Passi indietro e ripensamenti in Ucraina, nella Nato, in Russia e nelle Istituzioni comunitarie non condurrebbero a rasserenare il clima, ottenendo la fine di un numero osceno di vittime innocenti (ucraini che hanno 500.000 connazionali qui in Italia) ed un notevole miglioramento economico a livello globale? Le sanzioni economiche colpiranno la Russia o i nostri interessi nazionali, spingendo ulteriormente Putin nelle braccia di Xi Jinping (non dimenticando Taiwan)? Non sarebbe maggiormente opportuno “finlandizzare” l’Ucraina, rendendola equidistante fra Oriente ed Occidente?

So che è urticante da ammettere, ma siamo ancora figli di Jalta.

Fabrizio Giulimondi

 

 

domenica 6 febbraio 2022

"LA CAPPA. PER UNA CRITICA DEL PRESENTE" di MARCELLO VENEZIANI (MARSILIO NODI)

 


La società coperta baratta la libertà con la sicurezza, la civiltà con la sanità, il lavoro con la salute, la comunità con l’immunità.”.

C’è qualcosa nell’arte, come nella natura, che ci rassicura e qualcosa invece che ci tormenta, ci turba, ci inquieta.

Due sentimenti in costante conflitto: da una parte la ricerca dell’ordine e dall’altra il fascino per il caos.

Dentro questa lotta si colloca la produzione letteraria di Marcello Veneziani.

L’arte vera inquieta, la letteratura autentica turba, la bellezza imponderabile contrasta con la serenità e la quiete, perché pongono domande prive di facili risposte, si interrogano senza indicare immediate soluzioni, galleggiano con fatica sulle violente onde di un mare in tempesta.

Fra una statua di Fidia e la “Tempesta” di Giorgione, tra la ricerca di una armonia irraggiungibile e l’abbandono al caos, si insinua l’ultimo saggio di Marcello Veneziani, “La Cappa. Per una critica del presente” (Marsilio Nodi).

Nel cupo grigiore esistenziale spinto da una paura imposta, “La Cappa” forma una chiazza vermiglia, simile ad un improvviso lampo di luce che rischia di accecare chi da troppo tempo ha gli occhi spenti.

La Cappa” è uno dei saggi di Veneziani fra i più illuminati e coinvolgenti. Non v’è parola, o periodo, o pagina su cui il lettore non si soffermi. I passaggi sulla identità, la civiltà, la preghiera e il Pater Noster tolgono il fiato. Le riflessioni si incidono nell’anima come un coltello nella carne. Nel tempo in cui solo la salute fisica conta, il pensiero si erge maestoso, fra incanto e disincanto, fra Dionisio, Proteo e Narciso. Non vi sono certezze. Di certo v’è solo lo splendore espressivo che rinchiude un bagliore dell’anima. Lo spirito, dopo essere stato accantonato, umiliato, ritrova la sua Itaca, ritrova se stesso. La spiritualità, finalmente e fatalmente, si impone su un permanente presente globale, sprezzante del passato e impaurito dal futuro, troppo gravido di paventate emergenze. La lettura de “La Cappa” ci fa scoprire di nuovo mondi immateriali ed invisibili, non catturabili con i cinque sensi. Con l’Autore penetriamo nella oramai insopportabile, opprimente e densa coltre che tutto copre e intabarra menti, intelletti, esistenze e anime.

Ho avvertito un sussurro dietro ogni tratto di inchiostro: “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.".

Fabrizio Giulimondi

venerdì 4 febbraio 2022

“IL QUARTETTO RAZUMOVSKY” di PAOLO MAURENSIG (EINAUDI).


La letteratura vera, possente, densa, emozionale e emozionante non necessita di perdersi in voluminosi libri, ma può dimorare in spazi fatti di poche decine di pagine.

La bellezza artistica è espressa da linguaggio, anima, mente e sangue condensati nella vibrazione di una unica corda emotiva.

È dentro questi confini immaginifici e stilistici che si colloca la nuova splendida opera del friulano Paolo MaurensigIl quartetto Razumovsky” (Einaudi). Leggerla vuole significare assumere una nuova visione dell’esistenza, guardando la propria da un angolo prospettico sino ad allora sconosciuto.

La musica armoniosa di violini e viole cozza con la realtà umana degli autori, quella musica così antica, austera, melodiosa e sognate contrasta con la brutalità sanguinaria dei loro esecutori: sono mani che hanno torturato che pizzicano le corde del violino, muovono abilmente l’archetto.

Beethoven, omosessualità, arte e nazismo in una miscela narrativa esplosiva.

Chi non è musicista, chi non ha mai suonato in gruppo, non potrà mai capire il legame che si crea nel momento dell’esecuzione di un brano, neppure in una pièce teatrale si ottiene quel grado di intesa che si raggiunge in un dialogo strumentale. Le nostre personalità sembrano fondersi in una sola. Tutto ciò che esiste attorno a noi si cancella, e ci troviamo in una dimensione in cui la realtà cambia nella forma e nel significato.”.

Leggerete pentagrammi in forma di pagine che raccontano storie narrate con un intenso fraseggio musicale ove irromperà il suono acuto di un violino, acuto come l’urlo di dolore di un uomo straziato. La bestiale inumanità dell’uomo convivrà nell’animo nobile di un musicista, componente di un quartetto chiamato “Razumovsky”

Il passato sta franando dietro di me, vivo nel presente: ogni giorno è il primo giorno. Non c’è più né ieri né domani. Senza un passato non si può immaginare il futuro.”.

Fabrizio Giulimondi