Mi
sono chiesto e mi hanno chiesto come mai il film “Barbie” di Greta
Gerwig sta sbancando al botteghino come terzo film più visto nelle sale
dopo le riaperture post pandemia. La risposta è semplice e basta guardare la
pellicola con attenzione, scrutando i dettagli sino alla fine.
“Barbie”
è un lavoro cinematografico di liberazione dello spettatore dalla opprimente
imposizione fluida, liquida, queer e gender. È esaltata la “Bellezza”
femminile, la bellezza di donne vere, non frutto del laboratorio transgender.
Le differenze corporee e psicologiche dei due sessi, maschio e femmina, sono
marcate, in chiave ovviamente macchiettistica, in modo chiaro e senza equivoci.
Nel mondo
irreale e plastificato di Barbie - quello della bambola immessa in
commercio il 9 marzo 1959 - la felicità è artefatta perché vissuta da donne irreali,
prive di vagina, in quanto tali incomplete, e l’elemento maschile è un optional,
un Ken, un maschio finto, senza il pene.
Il maschio
vive di riflesso alla femmina: Ken vive per farsi notare da Barbie. Maschile
e femminile sono in contrapposizione secondo la concezione vetero-femminista. La
Barbie soppianta le bambole di un tempo che aiutavano le donne, sin
dalla loro infanzia, a divenire buone mogli e brave madri.
Barbie rivoluziona
la percezione delle donne nella società, strumento ludico di lotta alla
discriminazione.
Barbie è una
wasp. È bianca, americana, bionda, molto californiana, bella e sexy: è
femmina, parecchio femmina. Questa femminilità non smette mai di esistere e di
imporsi per tutta la durata della proiezione, con i tacchi o con le orribili Birkenstock,
con o senza trucco: Margot Robbie - l’attrice che veste i panni della
creazione di Ruth Handler - è bellissima. La femminilità, l’essere donna, sono l’autentico
leitmotiv della trama. Non si può essere donna senza il reale, senza l’umanità
ed i suoi risvolti negativi, senza il pianto, il dolore e la morte. Barbie
vuole questo per essere vera, completa, tutta ragazza, tutta essere umano. Barbie,
così, decide di fare parte di quella Umanità composta di uomini con il pene e
donne con la vagina. I dettagli sono fondamentali. Le ultime immagini mostrano
una bambola Barbie con il bambino da inserirle nella pancia. La vagina è
aperta alla vita e Barbie si reca dal ginecologo perché, in quanto donna
e per volontà della natura, è potenzialmente madre. Non v’è alcuna concessione
agli LGBT. Alcuna. Gli uomini e le donne sono complementari, non gli uni contro
le altre: solo complementari realizzano se stessi, completano se stessi e possono
cercare di migliorare l’esistenza umana, perpetuandone la specie.
Questo
film è l’esaltazione della normalità e della naturalità e avversa gli stereotipi.
Il pianto non appartiene solo all’ “altra metà del cielo” ma anche all’uomo,
che non perde la propria mascolinità versando lacrime.
Ad
essere preso in giro è chi qualifica “fascista” tutto ciò che non rientra fra
le sue idee, ma v’è salvezza anche per lui. L’adolescente woke, eternamente
triste e arrabbiata, ritroverà il sorriso e l’amore per la madre proprio
entrando in contatto con il mondo leggero e “curvilineo” di Barbie.
Le
citazioni sono numerose: dalle scene iniziali di “2001: Odissea nello spazio”
con lo splendido brano “Così parlò Zarathustra” ai musical di Broadway (penso a
“Tommy” degli Who), sino ai cantanti rock e rapper anni ’70 e ’80 con la
pelliccia sopra il petto nudo (segno di virilità non di altro come taluni,
inventando, hanno ideologicamente affermato).
Secondo
me si sono sbagliati a produrre questa pellicola: proclama, in modo esplicito o
subliminale, valori tradizionali.
Fabrizio
Giulimondi
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