De gustibus non disputandum est ma
avrei preferito che il Premio Nobel per la letteratura 2014 fosse stato assegnato
al giapponese Murakami per la
genialità e la singolarità della sua produzione letteraria, piuttosto che al
francese Patrick Modiano per le sue
opere librarie, fra le quali “Dora
Bruder” (Narratori della Fenice) certamente
emerge per la drammatica semplicità e per lo scorrevole incidere della
narrazione negli anni ottenebrati dal
nazismo.
L’Autore
stesso è il protagonista del racconto che si snoda nella ricerca di memorie su
una ragazzina ebrea dopo la scoperta che egli compie su un giornale dell’epoca.
Modiano
intraprende un percorso fra l’immaginifico e il realistico mentre indaga su questa Anna Frank d’oltralpe lungo la Parigi
di Vichy, la Parigi cupa de I Miserabili
di Victor Hugo, la Parigi orribilmente straziata dalla occupazione tedesca fra
il luglio del 1940 e l’agosto del 1944. Storie di vita quotidiana e di
prigionia riscostruite attraverso foto sbiadite in bianco e nero e lettere
dimenticate, storie che ci conducono all’interno delle prigioni del regime, dei
campi di internamento, di concentramento e di sterminio, dove tutti i gironi
danteschi vanno a confluire. In “Doria
Bruder” v’è l’orrore rarefatto del capolavoro di Spielberg Schindler’s list e de La banalità del male della compianta Hanna Arendt.
Questo
lavoro incarna il verbo scritto senza il quale le esistenze di tante persone come
Dora Bruder si sarebbero volatilizzate: “…si
muove nel vuoto, si agita nel vuoto, attraversa il vuoto, viene deluso dal
vuoto…”(Pietro Citati).
Il trade union fra quel passato e il presente
di uno scrittore francese di origine ebraica è lo stesso Patrick Modiano: ”Ho la sensazione
di essere il solo a reggere il filo che collega la Parigi di quell’epoca e
quella di oggi, il solo che si ricordi di tutti questi particolari…..Se non
fossi qui a scriverlo, non esisterebbe più traccia della presenza di quella
sconosciuta….”.
E
poi, incamminandosi verso la fine, verso orizzonti crepuscolari, il lettore si
abbandona ad una sensazione di stupore quando dalla fuliggine che lo nascondeva
viene lentamente disvelato ciò che prima era ignoto e tale poteva rimanere: ” Eppure, sotto quella spessa coltre di
amnesia, si sentiva qualcosa, di quando in quando, un’eco lontana, soffocata,
anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa, con precisione. Era come
trovarsi sull’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde.”.
Fabrizio Giulimondi
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