giovedì 23 ottobre 2014

PATRICK MODIANO, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2014:"DORA BRUDER"

Dora Bruder
De gustibus non disputandum est ma avrei preferito che il Premio Nobel per la letteratura 2014 fosse stato assegnato al giapponese Murakami per la genialità e la singolarità della sua produzione letteraria, piuttosto che al francese Patrick Modiano per le sue opere librarie, fra le quali “Dora Bruder” (Narratori della Fenice) certamente emerge per la drammatica semplicità e per lo scorrevole incidere della narrazione  negli anni ottenebrati dal nazismo.
L’Autore stesso è il protagonista del racconto che si snoda nella ricerca di memorie su una ragazzina ebrea dopo la scoperta che egli compie su un giornale dell’epoca.
Modiano intraprende un percorso fra l’immaginifico e il realistico mentre indaga su  questa Anna Frank d’oltralpe lungo la Parigi di Vichy, la Parigi cupa de I Miserabili di Victor Hugo, la Parigi orribilmente straziata dalla occupazione tedesca fra il luglio del 1940 e l’agosto del 1944. Storie di vita quotidiana e di prigionia riscostruite attraverso foto sbiadite in bianco e nero e lettere dimenticate, storie che ci conducono all’interno delle prigioni del regime, dei campi di internamento, di concentramento e di sterminio, dove tutti i gironi danteschi vanno a confluire. In “Doria Bruder” v’è l’orrore rarefatto del capolavoro di Spielberg Schindler’s list e de La banalità del male della compianta  Hanna Arendt.
Questo lavoro incarna il verbo scritto senza il quale le esistenze di tante persone come Dora Bruder si sarebbero volatilizzate: “…si muove nel vuoto, si agita nel vuoto, attraversa il vuoto, viene deluso dal vuoto…”(Pietro Citati).
Il trade union fra quel passato e il presente di uno scrittore francese di origine ebraica è lo stesso Patrick Modiano: ”Ho la sensazione di essere il solo a reggere il filo che collega la Parigi di quell’epoca e quella di oggi, il solo che si ricordi di tutti questi particolari…..Se non fossi qui a scriverlo, non esisterebbe più traccia della presenza di quella sconosciuta….”.
E poi, incamminandosi verso la fine, verso orizzonti crepuscolari, il lettore si abbandona ad una sensazione di stupore quando dalla fuliggine che lo nascondeva viene lentamente disvelato ciò che prima era ignoto e tale poteva rimanere: ” Eppure, sotto quella spessa coltre di amnesia, si sentiva qualcosa, di quando in quando, un’eco lontana, soffocata, anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa, con precisione. Era come trovarsi sull’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde.”.
Fabrizio Giulimondi

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