mercoledì 1 ottobre 2014

FABRIZIO GIULIMONDI - "IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE: DALL’ILVA DI TARANTO ALLA BASF DI ROMA"


1-    Introduzione
Il diritto dell’ambiente ha risvolti di varia natura, che spesso interferiscono simultaneamente con molteplici aspetti della persona e con le attività esercitate dagli operatori commerciali. La supervisione operata dagli organi pubblici non può non tenere conto dei danni che taluni comportamenti imprenditoriali provocano agli individui, alla Comunità nel suo insieme e alla conservazione dell’ambiente. Il principio di precauzione è uno strumento che si prefigge di interloquire fra i portatori di interessi di non poco momento, spesso confliggenti fra loro, facendo sì che il bene supremo della integrità fisica e psichica della persona non sia intaccato da un realizzazione sconsiderata dell’agere imprenditoriale.
Il principio, così come configurato dallo scrivente, si colloca nella impostazione “antropocentrica” e comparativa del diritto ambientale[1], che muove dall’uomo e dai suoi bisogni e, quindi, ispeziona la natura attraverso gli interessi umani[2].
Con questo breve scritto ci proponiamo di scandagliare, in mezzo alla magmatica massa di principi che informano il diritto dell’ambiente, il “principio di precauzione”, così come strutturato dalla legislazione comunitaria e dalla corposa produzione dottrinaria.
Ci occuperemo, pertanto, di capire cosa sia il principio di precauzione e come esso, attraverso l’azione legislativa e l’opera ermeneutica posta in essere nelle aule di giustizia straniere, comunitarie ed italiane, sia stato adoperato per coniugare occupazione, economia, produttività, salute personale e collettiva - senza dimenticare la salubrità ambientale – in vicende che hanno suscitato clamore nazionale (come quella dell’Ilva di Taranto), o di richiamo più localistico (al pari della Basf di Roma).
2-    Il principio di precauzione
I principi che informano l’azione comunitaria nel settore dell’ambiente sono enunciati nel secondo paragrafo dell’art. 174 del Trattato. I primi tre erano già previsti dall’Atto Unico Europeo, mentre il quarto è stato aggiunto ad opera del Trattato sull’Unione Europea[3]. Essi sono:
-       Il principio dell’azione preventiva, secondo il quale è necessario predisporre tutte le misure volte a prevenire danni ambientali scientificamente accertati o accertabili;
-       Il principio della correzione (soprattutto alla fonte) dei danni causati all’ambiente, principio che impone un’immediata rimozione della fonte di inquinamento ambientale;
-       Il principio “chi inquina paga” in base al quale chi produce danni all’ambiente è tenuto al risarcimento della collettività;
-       Il principio di precauzione, che impone a tutti coloro che svolgono attività potenzialmente dannose per l’ambiente, la ricerca di rimedi atti a scongiurare un tale evento.
Invero, la Dottrina ha effettuato una attenta e dettagliata analisi dei principi inerenti il diritto ambientale, individuando ed elaborando al loro interno categorie e sottocategorie correlate  all’ordinamento interno e a quello comunitario[4] [5].
Entro questa congerie di principi, quello di precauzione si connota come l’insieme delle azioni che tendono a salvaguardare la salute individuale e collettiva, ed ha come scopo, in una ottica antropocentrica, da una parte la tutela della integrità fisica e psichica dell’individuo, dall’altra la riduzione delle minacce che alcuni ambienti fisici, psicologici e sociali possono provocare alle persone[6].
Il termine italiano “rischio” indica sia la misura del pericolo (“hazard”), sia la probabilità del suo verificarsi (“risk”). Il rischio è multidimensionale: è in funzione della natura del pericolo, della probabilità di incorrervi e subirne gli effetti, oltre del grado di esposizione. E’ molto frequente la situazione in cui non vi sia una singola conseguenza ad un evento, ma si presentino più possibili conseguenze, ciascuna con una sua probabilità[7].
E’ stata la letteratura giuridica tedesca a delineare per prima i contorni del principio di precauzione e configurarne poi la forma[8].
Il diritto germanico, successivamente ripreso da quello comunitario, riconosce come nucleo fondamentale ascrivibile alla precauzione, autonomo principio giuridico rispetto a quello di prevenzione[9], la cura di beni fondamentali, quali la salute o l’ambiente, per cui è necessaria l’adozione o l’imposizione di determinate misure di cautela anche in situazioni di incertezza scientifica, dove è ipotizzabile soltanto una situazione di rischio, e non è invece dimostrata, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, la sicura o anche solo probabile evoluzione del rischio in pericolo[10].
Tale anticipazione della soglia di intervento si impone - e legittima la restrizione di alcuni diritti fondamentali, come l’iniziativa economica privata - per la peculiare natura di beni al pari della salute e dell’ambiente, il cui danneggiamento non potrebbe essere adeguatamente riparato attraverso un intervento successivo, in considerazione della dimensione spaziale e temporale, talvolta incontrollabile, nonché della temibile diffusività dei potenziali effetti dannosi, dovuta anche alla reciproca interferenza e convergenza fra le potenziali fonti di danno[11].
Il principio di precauzione è stato enunciato in forme vincolanti nel 1972 alla Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano[12], ed è stato giuridicamente applicato dalla Convenzione di Vienna del 22 marzo 1985 sulla protezione dal buco dell’ozono.
Il principio di precauzione integra il diritto europeo con l’art.130R del Trattato di Maastricht – in seguito divenuto art. 174 del Trattato - ove è citato senza esserne però definito.
La Dichiarazione di Rio (3-14 giugno 1992) fa proprio il principio di precauzione nell’art.15 del documento finale, nel quale si afferma che: “per proteggere l’ambiente si devono largamente applicare misure di precauzione da parte degli Stati secondo le loro capacità. In caso di rischi di danno gravi o irreversibili, l’assenza di certezze scientifiche non deve servire come pretesto per rimandare a più tardi l’adozione di misure efficaci volte a prevenire la degradazione dell’ambiente”.
Le definizioni adottate nella legislazione francese sono particolarmente suggestive. Il principio di precauzione compare nella normazione d’oltralpe in forza della legge n. 92-654 del 13 luglio 1992, relativa al controllo dell'uso e dell'emissione di organismi geneticamente modificati, che modifica a sua volta la legge n. 76-663 del 19 luglio 1976 relativa agli impianti classificati per la tutela dell'ambiente. La legge “Barnier” del 2 febbraio 1995[13] ha codificato in materia ambientale i principi di precauzione, di prevenzione alla sorgente e di partecipazione.
Con specifica attenzione al principio che ci siamo proposti di affrontare, la citata legislazione del 1995 afferma che la precauzione è un principio “secondo il quale l’assenza di certezze, tenuto conto delle conoscenze scientifiche del momento, non deve ritardare l’adozione di misure efficaci e proporzionate, volte a prevenire un rischio di danni gravi e irreversibili all’ambiente ad un costo economicamente accettabile[14]. Evidentemente tale configurazione si presta a diverse possibili interpretazioni. E’ opportuno notare che l’articolato francese è meno esigente di quello di Rio: il testo francese parla di “danni gravi ed irreversibili”, mentre quello di Rio di “danni gravi o irreversibili”.
La giurisprudenza d’oltralpe sul principio in parola si è espressa in relazione al problema della trasmissione dell’AIDS durante le trasfusioni, stabilendo che “in situazioni di rischio, un’ipotesi non confermata deve essere provvisoriamente considerata valida, anche se non è formalmente dimostrata”[15].
In Francia[16] il principio di precauzione ha ricevuto un definitivo riconoscimento di ordine super-primario con l’approvazione della legge costituzionale 1 marzo 2005, n 205[17] riguardante la “Carta costituzionale dell’ambiente” (art.5)[18].
3 – La questione Ilva di Taranto
 Nell’ordinamento italiano l’attuazione del principio di precauzione emerge con forza a seguito della approvazione da parte del Governo Monti del decreto legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito in legge 24 dicembre 2012, n. 231 (c.d. “decreto Ilva uno”)[19], “in forza del quale è stato disegnato un sistema eccezionale di prosecuzione della attività produttiva per gli stabilimenti industriali ‘di interesse strategico nazionale’, in sede di riesame della autorizzazione integrata ambientale, allorché sia riscontrabile una assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione, anche nel caso siano stati emessi dalla Autorità giudiziaria provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento”[20].
Su tali disposizioni è stato richiesto lo scrutinio da parte dei giudici della Consulta.
La sentenza 85/2013 della Corte Costituzionale[21] ha salvato il c.d. “decreto Ilva uno”, osservando che tale provvedimento di urgenza “traccia un percorso di risanamento ambientale” ispirato ad un ragionevole bilanciamento fra la tutela della salute e dell’ambiente e quella della occupazione, id est “tra beni costituzionalmente protetti”, senza peraltro far venire meno il controllo giurisdizionale sotto il profilo sanzionatorio penale e civile: ciò, in particolare, sull’assunto che la normativa censurata ”non prevede…la continuazione pura e semplice dell’attività, alle medesime condizioni che avevano reso necessario l’intervento repressivo della autorità giudiziaria, ma impone nuove condizioni, la cui osservanza deve essere continuamente controllata, con tutte le conseguenze giuridiche previste in generale dalle leggi vigenti per i comportamenti illecitamente lesivi della salute e dell’ambiente.”.
La Corte ha dichiarato inammissibile la questione perché il diritto europeo sarebbe stato dal tribunale rimettente “genericamente evocato”, ossia senza che lo stesso abbia dato conto di quali disposizioni sarebbero state lese; anzi – alla luce delle argomentazioni della Corte – senza che il giudice a quo abbia tenuto in debita considerazione la specifica produzione normativa del diritto europeo in materia siderurgica.
Attesa la genericità della evocazione del diritto comunitario da parte della ordinanza di remissione alla Consulta, è bene precisare che è la medesima Corte a citare tale diritto richiamando la direttiva 2010/75/UE[22] (citata, peraltro, dallo stesso decreto “Salva-Ilva” e resa operativa in Italia con d.lgs 4 marzo 2014, n. 46 - “attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali” - su delega della legge 6 agosto 2013, n. 96), contenente la seguente norma all’art. 8, comma 2: “Laddove la violazione delle condizioni di autorizzazione presenti un pericolo immediato per la salute umana o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata … è sospeso l’esercizio dell’installazione…”
D’altronde, non si può pensare che la prescrizione sulla sospensione delle attività, in caso di pericolo per la salute, funzioni soltanto qualora l’attività siderurgica non sia conforme alle condizioni dettate dell’A.I.A. La interruzione di tali attività si ricava dalla ratio di quella stessa previsione: suo scopo è la tutela incondizionata della salute e dell’ambiente.
Del resto, la direttiva 2008/1/CE[23] [24] - ricordata nella sentenza - stabilisce che: “gli Stati membri prendono le disposizioni necessarie affinché le autorità competenti garantiscano che l’impianto sia gestito in modo che … non si verifichino fenomeni di inquinamento significativi.”(art. 3, comma 1, lett. b). Pertanto: “se l’inquinamento è significativo, e cioè se da esso derivi un pericolo immediato per la salute umana o una minaccia seria ed immediata sull’ambiente e la sua salubrità, la produzione dovrebbe essere fermata”[25].
Altro punto di interesse giuridico è rappresentato dal c.d. bilanciamento dei diritti che risultano coinvolti nel caso Ilva. La parte costituita (e cioè la società Ilva) ha sostenuto che: “sarebbe erronea la pretesa che i diritti in questione siano insuscettibili di qualunque bilanciamento, così dando vita ad una gerarchia tra i valori della quale non vi sarebbe traccia in Costituzione[26]…. e, altresì, che spetterebbe al Legislatore procedere ad un contemperamento dei diversi diritti in gioco[27]: da un lato, vi sarebbe, dunque, il diritto alla prosecuzione dell’attività produttiva, corollario della libertà di iniziativa economica privata (ex art. 41 Cost.)[28], dall’altro il diritto alla salute e all’ambiente salubre (ex art. 32 Cost.).
La Corte ritiene realizzato il bilanciamento fra il diritto al lavoro e quello alla salute -escludendo, quindi, la libertà di iniziativa economica privata - grazie alla combinazione di due atti, il decreto-legge e l’A.I.A. “riesaminata”.
Al punto 9 del “considerato in diritto” si legge a tale riguardo: “La ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso”.
A questa conclusione la Corte approda muovendo dal seguente postulato: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre ‘sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro’ (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo ‘fondamentale’, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un ‘carattere preminente’ del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona. Né la definizione data da questa Corte dell’ambiente e della salute come ‘valori primari’ (sentenza n. 365 del 1993, citata dal rimettente) implica una ‘rigida’ gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come ‘primari’ dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale.”.

In realtà, il bilanciamento non è mai tale, prevalendo fatalmente - per alcuni Autori[29]- sempre un diritto sull’altro. Tale locuzione rappresenterebbe in realtà una modalità per consegnare nelle mani del legislatore la possibilità di esprimere un giudizio di soccombenza o di prevalenza dell’un diritto rispetto all’altro. Per altra autorevole Dottrina, “l’’interesse ambientale si è solo affiancato e non sovrapposto all’interesse pubblico allo sviluppo economico, e quest’ultimo è stato riorganizzato, in modo da assorbire l’impatto sovversivo dell’ambientalismo radicale incanalandolo in strutture e procedure finalizzate, con varia modulazione a seconda del tipo di ordinamento, a contemperarlo con la difesa dei livelli produttivi.”[30].
Il ragionamento che la Corte imbastisce sulla “tirannia” dei diritti evoca, in tutta evidenza, il noto dibattito filosofico sulla “tirannia dei valori”, incentrato sulla constatazione di come un “valore” – per l’adesione cieca che richiede – possieda in sé una ovvia attitudine a porsi come “tiranno” rispetto ad un altro di segno contrario[31].
L’operazione di estensione della disputa filosofico-giuridica in senso valoriale al piano dei diritti operata dalla Consulta lascia perplessi alcuni Commentatori[32], che interpretano i diritti per quel che sono: “un diritto può benissimo avere preminenza su un altro, senza che questa preminenza debba essere qualificata come ‘tirannica’: è l’ordinamento giuridico che assegna a ciascun diritto il suo posto nel sistema, che disegna per esso una certa struttura, che prevede per esso certuni limiti o taluni ‘vantaggi’ ”[33]. Sono le specifiche disposizioni costituzionali che sanciscono la prevalenza di un diritto su un altro: quando la Costituzione ritiene l’iniziativa economica privata libera (art. 41, comma 1, Cost.), purché non sia in contrasto con l’utilità sociale o non rechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41, comma 2, Cost.), sta palesemente indicando che la sicurezza o la dignità umana prevalgono sul diritto alla prosecuzione della attività            imprenditoriale.

La Corte dice che il bilanciamento tra contrapposti diritti in gioco (il “punto di equilibrio”) è effettuato ragionevolmente dal decreto-legge e dall’A.I.A., in ragione del fatto che la prosecuzione dell’attività produttiva è autorizzata per un tempo non superiore a trentasei mesi, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), rilasciata in sede di riesame, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche possibili.
 La domanda che a questo punto si è spinti a formulare è la seguente: è davvero possibile pensare che il diritto alla salute sia suscettibile di bilanciamento? Non dovrebbe prevalere sempre sugli altri diritti, inclusi quello al lavoro ed alla iniziativa economica privata? La risposta tranchant conseguenziale (ma che, come dimostra l’esperienza professionale di chi scrive e di cui di qui a poco si tratterà, è molto difficile realizzare nella realtà tout court) dovrebbe, pertanto, essere: il diritto alla salute o è tutelato o non lo è!
4 – La questione Basf di Roma
Questo excursus dottrinario, giurisprudenziale e legislativo sul principio di precauzione, non può non essere integrato con dati esperienziali, personali e professionali.
 Nel biennio 2009/2010 lo scrivente, nelle vesti di Vice Capo di Gabinetto della Amministrazione capitolina, ha affrontato la gravosa ed antica questione della fabbrica-inceneritore Basf sita in via Salone nella zona Tiburtina di Roma[34].
Il Comune di Roma, come “autorità sanitaria” a mente dell’art. 29 quater, comma 7, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (T.U. ambiente)[35], era stato convocato dalla Provincia di Roma a partecipare alla conferenza di servizi interna al procedimento amministrativo per la proroga dell’A.I.A. a favore della società Basf.
La Basf era ed è una società che opera in molti Paesi europei e agisce nel settore chimico, avente una sede nella città di Roma in cui si svolgono anche attività di incenerimento, di riciclo e trasformazione di materiali, inclusi quelli di natura metallica, nocivi e pericolosi. Tale sede è stata costruita alla fine degli anni ‘50 in un’area al tempo ricoperta solamente da un manto erbaceo e boschivo e assolutamente priva di edifici. Nel tempo  nella zona circostante si sono innalzate palazzine, scuole e chiese.
Il Comune aveva nelle proprie mani tre opzioni: bloccare la proroga, eccependo l’incremento di patologie polmonari e della epidermide anche molto gravi, così come affermato da alcuni comitati di quartiere; esprimere un semplice nulla osta, senza evidenziare alcunché su un piano sanitario circa la salute dei residenti e la situazione ambientale dell’area; ovvero, infine – come ha provveduto a fare – disporre e imporre una serie di condizioni e di prescrizioni stringenti che vincolassero la proroga dell’A.I.A. da parte dell’Ente provinciale.
I soggetti portatori di interessi costituzionalmente protetti erano numerosi e tutti molto agguerriti: i comitati di quartiere espressione di parte della comunità del tiburtino, richiedenti la tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e della salubrità ambientale (combinato disposto degli artt. 32 e 9 Cost.); i lavoratori (circa 350 fra operai semplici, specializzati, impiegati, quadri e dirigenti), che pretendevano la prosecuzione delle attività per non perdere l’impiego, affermando che alcuna patologia di rilievo era stata mai riscontrata in seno ai luoghi di lavoro (art. 4 Cost.); i vertici della Basf, interessati alla prosecuzione delle attività imprenditoriali (art. 41 Cost.), non ritenendo fosse riscontrabile alcuna anomalia nel funzionamento del sistema e fosse, dunque, tutto a norma.
In gioco, pertanto, v’erano tre diritti di rilievo costituzionale di non poco momento: il diritto alla salute - dei cittadini extra moenia e dei lavoratori intra moenia - e alla salubrità ambientale (artt. 32 e 9 Cost.); il diritto dei lavoratori al mantenimento della occupazione (art. 4 Cost.) e della impresa alla prosecuzione delle proprie attività (art. 41 Cost.).
In mezzo si poneva il governo capitolino, preoccupato per la salute delle persone e per la eventuale perdita di posti di lavoro, in un momento storico in cui già si cominciavano a sentire i primi scricchiolii della economia municipale.
Il principio di precauzione, così come sopra esaminato, è venuto in soccorso. Non sussistevano prove e studi certi che potessero evidenziare l’ineluttabilità di eventi dannosi per la salute umana e la conservazione dell’ambiente. A tal riguardo, la dottrina tedesca[36] ritiene necessaria l’imposizione di determinate misure di cautela anche in situazioni di incertezza scientifica, nelle quali è ipotizzabile soltanto una situazione di rischio, e non è invece dimostrata, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, la sicura o anche solo probabile evoluzione del rischio in pericolo.
Seguendo il bilanciamento di diritti alla salute e alla occupazione paritariamente tutelati dalla Carta Costituzionale, i Dipartimenti comunali competenti[37] hanno prescritto una serie di stringenti prescrizioni a cui la Basf doveva ottemperare, con il supporto e la supervisione dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Arpa Lazio (Agenzia Regionale Protezione Ambientale del Lazio). Queste due ultime strutture pubbliche avevano l’obbligo, per la durata di un anno, di compiere un permanente monitoraggio della eventuale presenza di agenti inquinanti, rilevandone la tipologia e la quantità nel suolo, nelle acque e nell’aria, negli spazi esterni alle mura della fabbrica. I dati dovevano essere prontamente e costantemente inviati e messi a disposizione delle Amministrazioni pubbliche interessate, dei comitati cittadini partecipanti al procedimento amministrativo ed alla conferenza di servizi, oltre, ovviamente, della Basf nelle persone della dirigenza e delle R.S.U.
Tale parere sub condicione – espresso nel rispetto del principio di precauzione - ha consentito il rilascio dell’A.I.A. da parte della Provincia di Roma il 4 dicembre 2009[38], imponendo alla Basf controlli serrati, continui, permanenti, ad opera di istituzioni altamente specializzate, locali e nazionali, sino ad allora mai esercitati su di essa. Effetto indiretto, ma di non poco conto, è risultato essere il mantenimento della occupazione, avendo un occhio anche alla salute degli “interni” alla azienda.
L’Amministrazione comunale, attuando con siffatte modalità il principio di precauzione, ha dato corpo ad una protezione comparativa o bilanciata (concezione antropica su cui ci siamo brevemente intrattenuti nell’incipit di questo scritto) dell’ambiente, in quanto: ”risultante dalla “ponderazione” dell’interesse pubblico ambientale con gli altri interessi….ammette che il valore ambientale è subordinato o equiordinato e comunque va comparato con altri valori.”.[39]
5- Conclusioni
Occupazione versus salute, salute versus occupazione e, in mezzo, la iniziativa imprenditoriale privata.
Probabilmente le attività “alla “Basf” - realtà nata negli anni ‘50 in zone ancora disabitate e poi implementatesi in maniera leviatanica negli anni successivi - incidono negativamente non solo su principi, beni e valori primari come la salute delle persone e la conservazione del patrimonio silvestre, ma ineluttabilmente anche sulla corretta regolamentazione edilizia ed urbanistica.
Le determinazioni approntate dagli organi decisionali hanno un sapore compromissorio, mentre probabilmente la soluzione migliore e definitiva per una ottimale protezione della salute dei residenti, senza in alcun modo intaccare la prosecuzione delle attività industriali, sarebbe proprio la delocalizzazione degli impianti produttivi in altri lidi[40].
Tale approccio, al pari di tutte le idee che osano proporsi di andare oltre il temporaneo ed il provvisorio, non si riesce proprio a farlo penetrare nel nostro sistema.
L’assenza di interventi che abbiano i caratteri della definitività determina la necessità di un corretto utilizzo ed attuazione del principio in parola. Tramite esso si è trovato un punto di equilibrio – come si evince nei casi proposti -  fra garanzia della occupazione, tutela della salute dei cittadini e tentativo di protezione dell’ambiente (in realtà già compromesso da anni di stratificati ed incontrollati insediamenti abitativi e produttivi), e si è cercato di porre un freno a possibili immissioni nocive nell’aria, nelle acque e nella terra.
Come in precedenza riportato, indubbiamente questo principio così come modulato nel caso concreto ha un sapore antropocentrico, calato in un modello di diritto dell’ambiente comparatistico e bilanciato.
 L’ecocentrismo e la c.d. protezione integrale, che muove dalla supremazia del valore naturalistico, potrebbe essere la concezione sottesa alla delocalizzazione degli impianti presso aree geografiche prive del fattore umano. Tale collocazione limiterebbe certamente gli effetti nocivi sull’organismo umano (almeno quelli diretti), mantenendo però quelli pregiudizievoli per l’habitat.
 Il principio di precauzione - come, d’altronde, quello di prevenzione - è frutto di una politica di mediazione fra punti di vista tutti strategicamente importanti, ma sfortunatamente in contrapposizione fra di loro.
 La filosofia della concretizzazione del principio de qua potrebbe essere sussumibile in una accezione nobile di “compromesso”, inteso come attento scrutinio normativo, giurisprudenziale, politico e istituzionale che non si schiera marcatamente da una parte, ma compie un’ opera di ingegneria legislativa e di cesello comportamentale tale da consentire la continuazione della lavorazione industriale, controllandone e vigilandone accuratamente però i modi di operare. Non si sopprime il possibile o potenziale nocumento per il patrimonio ambientale, né tantomeno si eliminano i rischi per l’integrità psico-fisica dell’essere umano, ma indubbiamente se ne riducono e ridimensionano i margini di rischio: “Le ragioni dell’economia (non di questa o quell’impresa, o di questo o quello speculatore, ma quelle ‘complessive’ e di ‘sistema’), in ultima istanza, prevalgono sugli interessi, i valori e le esigenze ‘ambientali.’ “.[41] [42]
Si potrebbe ritenere e sperare che un maggiore sforzo nella innovazione tecnica, tecnologica e scientifica ed una qualitativamente e quantitativamente migliore incentivazione all’utilizzo volontario delle certificazioni di impatto ambientale ed ecologico, potrebbero contemperare al meglio gli interessi in gioco. Il mercato stesso, alla luce di quanto or ora suggerito, senza mediazioni politiche e istituzionali, sarebbe in grado di procedere direttamente alla ponderazione e alla corretta “equilibratura” del rapporto tra ambiente, istituzioni ed economia, avendo come stella polare l’antico proverbio indiano: “ la Terra non ci è stata data in eredità dai genitori, ma in affitto dai figli.”.
Fabrizio Giulimondi



[1] G.di Plinio, Sette miliardi di ragioni,in G.di Plinio, P.Fimiani (cur.), Principi di diritto ambientale, Milano, Giuffrè, 2008, sec.ed.
[2]A differenza della concezione ‘ecocentrica’ che tende alla conservazione e allo sviluppo delle risorse, per tutelare la stessa presenza e lo sviluppo dell’uomo, di cui considera come dato i bisogni”(cfr. G.di Plinio, op.cit.,11).
[3] B.L. Ferrai, E.Moavero Milanesi, Lezioni di diritto comunitario, Napoli, Editoriale Scientifica,2002.
[4] Cfr. M. Cecchetti, La disciplina giuridica della tutela dell’ambiente come “diritto dell’ambiente”, in www.federalismi.it, 25/2006, 53-141; M.Cecchetti, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2000; S. Grassi, Problemi di diritto costituzionale dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2012; G.di Plinio, P.Fimiani (cur.),op.cit.; D, Amirante(cur.), La forza normativa dei principi, il contributo del diritto ambientale alla teoria generale, Padova,CEDAM.,2006; D.Amirante, Diritto ambientale italiano e comparato.Principi, Napoli, Jovene,2003.; N. Lugaresi, Diritto dell’ambiente , Padova,CEDAM.,2012,  quarta ed.; L.Pineschi, I principi del diritto internazionale dell’ambiente dal divieto di inquinamento transfrontaliero alla tutela dell’ambiente come common concern, in R.Ferrara, C.E.Gallo (cur.), Trattato di diritto dell’ambiente, vol.I, Milano, Giuffrè, 2014.
[5] ”…Si può dire che i lineamenti esistenziali del diritto dell’ambiente sono stati creati dalle imprese, dai gruppi di pressione, dalle agenzie tecniche, dalla amministrazione e dalla giurisprudenza; ciò significa che lo studio delle leggi ‘ambientali’ non è da solo sufficiente per comprendere i ‘principi’ del diritto dell’ambiente; significa inoltre che, attraverso la mediazione del diritto vivente si sono sedimentati una serie di principi e regole giuridiche più longevi e più radicati delle stesse leggi ambientali, che sono cambiate, sovrapposte ed affastellate di continuo…..”( cfr.G.di Plinio, op.cit,25).
[6] C. Petrini, Bioetica, Ambiente, Rischio: evidenze, probabilità, documenti istituzionali nel mondo, Soveria Mannelli, Rubettino, 2003.
[7] A. Barone, Il diritto del rischio, in Diritto degli enti locali e delle regioni, collana giuridica diretta da Ignazio Maria Marino, Quaderni, Milano, Giuffré,2006, sec.ed.
[8] S. Grassi, Prime osservazioni sul “principio di precauzione” come norma di diritto positivo, in S.Grassi,Diritto e gestione dell’ambiente, 2001, 38ss.
[9] Consiglio di Stato, sentenza 21 agosto 2013, n. 4227: “Il principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente….Il principio di prevenzione pone una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche……L'applicazione di tale principio (ndr di precauzione) fa si che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche.”; alla stessa stregua la pronunzia del TAR Lazio, sez III, n. 1360 del 4 febbraio 2014:“Dalla lettura degli atti del procedimento emerge che le Amministrazioni deputate all'approvazione del progetto non hanno adeguatamente valutato le conseguenze potenzialmente negative per i condomini, derivanti dalla propagazione delle onde elettromagnetiche sviluppate dalla cabina elettrica. Infatti, tale valutazione doveva essere effettuata ex ante e non ex post.……… Appare evidente che l'Amministrazione non ha compiuto alcuna preventiva istruttoria diretta ad accertare la quantità di onde elettromagnetiche che una cabina elettrica di 20 KV può sviluppare al fine di valutare, come suo precipuo obbligo, l'opportunità di approvare il progetto……..Per giurisprudenza costante, l'azione amministrativa, in ossequio al ‘principio di precauzione’, pur non risultando del tutto assodato in sede scientifica il limite oltre il quale l'esposizione di campi elettromagnetici possa arrecare danni alla salute degli esseri umani, deve essere improntata ad un rigido criterio di sicurezza e di tutela delle persone coinvolte (TAR Veneto, sez. II, 13 febbraio 2001 n. 236)…….. Infatti la regola della ‘precauzione’ può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato UE. L 'applicazione del ‘principio di precauzione’ comporta che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali (Cons. St. IV 6 maggio 2013 n. 2446).”.
[10] L.Kramer, Principi comunitari per la tutela dell’ambiente, Milano, Giuffrè,2002, 82 ss.; G. Lubbe-Wolff, Richtlinie IVU und Europäische Vorsorgeprinzip, in NVwZ, 1988, 777 ss.
[11] C. Petrini,op.cit.
[12] Dichiarazione delle Nazioni Unite alla Conferenza su l'ambiente umano tenutasi a Stoccolma da 5 al 16 giugno 1972 in www.treccani.it
[13] E. M.Kerjan, Insurance against Natural Disasters: Do the French have the Answer?Strenghts and Limitations, Cahier n° 7,4, Ecole Polytechnique, Paris, August 2001, in http://ceco.polytechnique.fr
([14]) Disposizione assorbita nell’art. L 110-1, code de l’environnement (legge n. 2002-276 del 27 febbraio 2002), in www.legifrance.gouv.fr
[15] C.Petrini,op.cit.,10.
[16] Per una prima panoramica legislativa, dottrinaria  e giurisprudenziale francese in subiecta materia  v. Autorità di Bacino, Bacino pilota del fiume Serchio, Le assicurazioni per i danni da catastrofe naturale: riflessioni e contributo conoscitivo, Lucca, 18- 19 novembre 2002, 9-15,in www.autoritabacinoserchio.it
[17] Legge costituzionale n° 2005-205 del 1 marzo 2005 relativa alla Carta dell’ambiente , in G. U., n° 51, del 2 marzo 2005, 3697.
[18]Art. 5 l. cost n° 2005-205 del 1 marzo 2005(v.n.prec.):”Nel momento in cui la realizzazione di un danno, anche se incerto allo stato delle conoscenze scientifiche, potrebbe affettare in modo grave ed irreversibile l’ambiente, le autorità pubbliche vegliano, in applicazione del principio di precauzione e nei loro campi di attribuzione, alla messa in opera di procedure di valutazione dei rischi ed all’ adozione di misure provvisorie e proporzionate al fine di evitare la realizzazione del danno.”.
[19] Il Governo è intervenuto successivamente con altri due provvedimenti di urgenza per dettare ulteriori disposizioni volte a preservare la continuità del funzionamento produttivo degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, pur sempre nell’ottica del necessario bilanciamento con i profili di protezione dell’ambiente e della salute e di salvaguardia dei livelli occupazionali: decreto legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito in legge 3 agosto 2013, n. 89 (“Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”) (c.d. Decreto Ilva-bis); decreto legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito in legge 6 febbraio 2014, n. 6 (“Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate”).
[20] Cfr. A. Masaracchia, Semplificati e accelerati gli iter per attuare l’”Aia”, in Guida al Diritto 3/ 2014, 57.
[21] Sentenza 85/2013 - giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale - presidente GALLO - redattore Silvestri - udienza pubblica del 09/04/2013; decisione del 09/04/2013; deposito del 09/05/2013;  pubblicazione in G. U. del 15/5/2013; norme impugnate: artt. 1 e 3 del decreto legge 03/12/2012, n. 207, come convertito, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°, legge 24/12/2012, n. 231.
[22]Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento),in  G.U.E.N. 17 dicembre 2010, L334/17.
[23] Direttiva 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (detta IPPC), in G.U.E.N. 29 gennaio 2008, L 24/8.
[24] Il recepimento in Italia della direttiva IPPC è avvenuto con l'emanazione del d. lgs. n. 372 del 4 agosto 1999, abrogato dal lgs. n. 59 del 18 febbraio 2005.
[25] E. di Salvatore, L’Ilva di Taranto, il diritto europeo e la ‘tirannia” dei diritti, Lex, 12 maggio 2013,in www.iduepunti.it
[26] Punto 3.2.4. del “ritenuto in fatto”.
[27] Punto 14.2. del “ritenuto in fatto”. In senso adesivo anche l’Avvocatura dello Stato: punto 13.2.4. del “ritenuto in fatto”.
[28] Diritto evocato sia dal giudice a quo (punto 1.4.4. del “ritenuto in fatto”), sia dalla parte costituita (punto 14.2. del “ritenuto in fatto”).
[29] E. di Salvatore, op.cit.
[30] G.di Plinio, op.cit.,33s.
[31]C. Schmitt, La tirannia dei valori, G. Gurisatti (cur.), Milano,Adelphi,2008.
[32]E. di Salvatore , op.cit.
[33] In http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:334:0017:0119:it:PDF.

[34] Il presente paragrafo è frutto della esperienza professionale dello scrivente presso il  Comune di Roma. La documentazione esistente è indicata nelle note seguenti, mentre buona parte del lavoro posto in essere è consistito in riunioni, incontri e contatti di natura verbale, di cui non v’è inevitabilmente  alcun supporto cartaceo e di altra natura.
[35] L'art. 7, comma 3, lettera e), d.lgs.4 marzo 2014, n. 46, ha modificato l'art. 29 quater, comma 7, e ha introdotto il comma 6 all'art. 29 quater d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”):
-art. 29 quater d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152:
 “6. Nell'ambito della Conferenza dei servizi di cui al comma 5,vengono acquisite le prescrizioni del sindaco di cui agli articoli 216 (a) e 217 (b)del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, nonché' la proposta dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, per le installazioni di competenza statale, o il parere delle  Agenzie regionali  e  provinciali  per  la  protezione dell'ambiente, per le altre installazioni, per quanto riguarda le modalità di monitoraggio e controllo degli impianti e  delle emissioni nell'ambiente.
 7. In presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell'autorizzazione di cui al presente titolo, il sindaco, qualora lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può, con proprio motivato provvedimento, corredato dalla relativa documentazione istruttoria e da puntuali proposte di  modifica dell'autorizzazione, chiedere all' autorità competente di riesaminare l'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'articolo 29 octies.”.
(a) Art. 216 Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie):
Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute de gli abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi.
La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda, quelle che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato.
Questo elenco, compilato dal Consiglio superiore di sanità, è approvato dal Ministro per l'interno, sentito il Ministro per le corporazioni, e serve di norma per l'esecuzione delle presenti disposizioni.
Le stesse norme stabilite per la formazione dell'elenco sono seguite per iscrivervi ogni altra fabbrica o manifattura che posteriormente sia riconosciuta insalubre.
Una industria o manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato
Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura, compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al podestà, il quale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne la attivazione o subordinarla a determinate cautele.
Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da L. 40.000 a L 400.000.”.
(b) Art. 217 Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie):
Quando vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza.
Nel caso di inadempimento il podestà può provvedere di ufficio nei modi e termini stabiliti nel testo unico della legge comunale e provinciale.”.
[36]G. Lubbe-Wolff, IVU, op. cit.
[37] Nota Dipartimento promozione dei servizi sociali e della salute e Dipartimento tutela ambientale e del verde- Protezione civile, Roma Capitale, prot. n. 59361 del 12/10/2009, che ha fornito parere favorevole al rinnovo dell’A.I.A. alla società Basf limitato alla durata di un anno; Nota Dipartimento promozione dei servizi sociali e della salute e Dipartimento tutela ambientale e del verde- Protezione civile, Roma Capitale, prot. n. 34942 del 12/12/ 2011 per la proroga dell’A.I.A. per la durata prevista dalla  legge.
[38] Amministrazione Provinciale di Roma - D.D. R.U. 8353 del 04/12/2009, che ha rilasciato l’A.I.A. alla società Basf per la durata di un anno nel rispetto del parere condizionato del Comune di Roma (v.n.prec.); Amministrazione Provinciale di Roma -D.D. R.U. 10374 del 30/12/2011, che  ha prorogato l’A.I.A. alla Basf per la durata prevista dalla  legge.
[39] G.di Plinio, op.cit.,15.
[40] In relazione al “caso Basf” fu presentata dalla Amministrazione capitolina ai soggetti interessati una proposta in tal senso v. parere, Roma Capitale, prot. 59361 del 16/10/2009.
[41]G.di Plinio, op.cit.,17.
[42] Di questo teorema non è permeato il “diritto delle aree naturali protette”, così come approfonditamente argomentato in  G.di Plinio, Aree protette.Diritto ed economia, Milano, Giuffrè,2008.


Nessun commento:

Posta un commento