“Il giudice Bonham non ne poteva più di
quella storia, che fra adozioni, affidamenti, cavilli araldici, episodi di
sangue, diffide, persone scomparse e pretese ereditarie si era avvolta su se
stessa fino a formare un groviglio inestricabile. Due cose in particolare lo
irritavano: uno era l’incrocio del diritto civile (cioè del suo mondo) con il
diritto penale, il diritto canonico e il diritto araldico; l’altra era il
sospetto che tutti gli attori del caso,
dal primo all’ultimo, lo avessero preso in giro fin dall’inizio. E non
potendone più, decise di chiudere la vicenda nel modo più economico possibile.”.
Questo
passaggio dello splendido romanzo “Roderick
Duddle” di Michele Mari (Einaudi), ottimamente fa intendere la
coinvolgente, incisiva e complessa trama di una storia avvincente, composta da
un reticolato di fatti, personaggi e coupe
de theatre, che si intersecano geometricamente fra di loro sino a
somigliare ad una fine ragnatela tessuta da un astuto e crudele ragno.
Michele Mari
infonde nella storia, nella struttura del linguaggio e nello stile linguistico il proprio amore per
la narrativa ottocentesca britannica, di cui Dickens, Stevenson e Twain sono gli impareggiabili protagonisti.
Mari, studioso attento
delle parole e della etimologia di vocaboli italici in disuso o, addirittura, prelevati
da dizionari settecenteschi ed ottocenteschi, impreziosisce il tessuto lessicale
di espressioni ricche di significato, di cultura e di storia, unitamente ad affascinanti francesismi.
La
presenza costante del “narratore” - che
similmente ai coreuti della commedia greca, interloquisce con il lettore,
vezzeggiandolo, insultandolo, blandendolo, deridendolo e disprezzandolo a secondo delle circostanze - rappresenta una divertente fictio,
plasmata dalle sapienti mani di Mari
anche per fornire al pubblico una migliore comprensione della narrazione, punteggiando
a macchia di leopardo il testo con alcune
sintesi “delle puntate precedenti”.
Tutto
gira intorno ad una eredità, ad un ragazzo portatore di un medaglione, ad un
convento, un postribolo e un ermafrodito,
ed è bravissimo l’Autore nel toccare temi pruriginosi senza scadere mai nell’osceno,
nel volgare o, come taluni avrebbero fatto, nell’erotico e nel pornografico.
“Roderick Duddle” merita(va) senza alcuna ombra di dubbio l’assegnazione del Premio Campiello il prossimo 13
settembre a Venezia.
Fabrizio Giulimondi
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