Molti lavori di scrittori principianti, alle prime armi, neofiti della letteratura, mi sono passati sotto mano in questi anni e buona parte di questi erano non più che mediocri, scritti male, sciatti, noiosi, per i quali non ho sprecato tempo per un commento o una recensione.
Seppur,
specie sul calare della narrazione, risulta macchiato da ingenuità e uso di
parole ricercate ma non consentanee al contesto in cui si inseriscono, il primo
romanzo – dopo alcuni racconti e poesie – di Fanny Duvall “Legami di sangue e vite spezzate” (Europa edizioni), possiede una non indifferente capacità di coinvolgimento.
Le
prime duecento pagine vengono lette in apnea e non si affrontano a cuor
leggero, perché al lettore vengono consegnati carne e sangue veri, sofferenza autentica, vene che pulsano nei polsi,
dramma da cui non si sfugge, una adolescente di undici anni strappata al suo
essere “bambina” che vive nella confusione emotiva di una famiglia
disarticolata, una e trina. Il racconto prende ad un certo punto allo stomaco, perché
è biografico ed autobiografico, impietosamente introspettivo, terribilmente
veritiero. Una storia lunga 370 pagine, diario di una vita spezzata che non si
è arresa. Mai la scrittura è stata mezzo terapeutico come in questo libro,
lungo il quale troverete scritti struggenti di una madre che rievocheranno Lettere ad un bambino mai nato della mai
abbastanza compianta Oriana Fallaci, vedrete e sentirete l’Urlo di Munch e vi sembrerà di intravedere qualche fotogramma dell’opera
di Luchino Visconti Gruppo di famiglia in
un interno.
Συμπάθεια
e cumpatio saranno fatalmente presenti
nei cuori di chi si avvicinerà a ”Legami di sangue e vite spezzate”, συμπαθεια
e cumpatio per Tiffany,
protagonista e voce narrante delle vicende, che si accomiata dai suoi uditori
consegnando loro un potere: “Il potere di
racchiudere in una mano un dono davvero prezioso e inestimabile che io, con
grande amore, conservo senza vergogna per loro: il perdono.”.
Fabrizio Giulimondi
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