Dopo il vincitore del Premio Goncourt Ci vediamo lassù lo scrittore parigino Pierre Lemaitre ha partorito un romanzo implacabile e scritto senza alcuna anestesia: “Tre giorni e una vita” (Mondadori).
Cosa
prova un bambino di dodici anni che ha ucciso a bastonate sulla nuca un
amichetto di sei? Ogni attimo può essere quello in cui lo vengono ad arrestare
e a distruggere la sua esistenza e quella della sua famiglia, come lui ha
annientato quella del bambino e dei suoi cari. Ogni momento immagina quello che
potrebbe avvenire poco dopo e che invece non si realizza.
E’
il contrappasso dantesco, la pena per un ragazzino omicida che somma altre
ignominie al proprio senso di colpa che diviene sempre più un macigno.
La
scrittura di Lemaitre è visibile, è
palpabile, la si tocca, fa divenire corporeo il dramma, il dolore, la
sofferenza, la disperazione, l’imponderabile e l’ineludibile. I due terzi del
libro trasudano pura tensione che attanaglia lo stomaco e non demorde mai. Ogni
figura narrata dall’Autore emana tragicità, è circondata da un’aura di funesta
attesa, è carica di un presagio di sventura.
Lo
leggerete tutto d’un fiato e arriverete al delitto se qualcuno oserà
interrompervi nell’incedere verso un finale faraonico.
Fabrizio Giulimondi
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