domenica 8 luglio 2018

"ORIENT" DI CHRISTOPHER BOLLEN


L’arte non doveva dare delle risposte. Doveva solo fare domande. La massa dentro di lei le stava facendo una domanda e lei stava rispondendo di sì
La letteratura nordamericana vede fra i suoi Autori un florilegio di intelligenze, menti, scrittori e artisti, che hanno avuto il genio di selezionare e sezionare le dimensioni dell’Uomo e dell’Umanità nelle loro sfaccettature più recondite e nei loro antri e pertugi più dimenticati. Sussumere “Orient” di Christopher Bollen (Bollati Boringhieri) nel genere thriller può risultare riduttivo, se non fuorviante.
Christopher Bollen compie un’operazione letteraria avvolgente come un boa constrictor, ove le metafore ricorrenti (“Il mondo intero entrò in una turbolenza, la sua gola una cabina di piloti che cercavano di comunicare l’emergenza, la sua vita due ali di aereo spezzate che cadevano nell’oceano”) e lo stile fluido come olio di ricino, potrebbero catapultare il lettore verso destinazioni ignote e inaspettate, se non vi fossero alcune défaillance a monte che si qui a poco marcheremo.
La paura è il motore della trama: ne è il baricentro, il fulcro, il punto di fuga, il piano prospettico, l’origine e l’orizzonte; la paura costituisce l’intersezione delle linee lungo le quali si scuotono come pesci appena pescati le storie dei personaggi.
La narrazione è tentacolare e costellata di attente quanto suggestive punteggiature descrittive fisio-psicologiche dei protagonisti: “La sua faccia a forma di lanterna con rotondità burrose, come se le guance morbide, imbottite, fossero una protezione per gli occhi penetranti.”
In “Orient” non esistono comparse o attori non protagonisti perché ogni “carattere” è un coprotagonista.
Il racconto, sfortunatamente, risente del sistema ideologico del “politicamente corretto” – a cui, evidentemente, l’Autore aderisce – e ne viene indebolito. La comunità umana chiusa in seno ai confini di una località vicino New York composta di famiglie benestanti non può che essere ottusa e retrograda e, di conseguenza, fatalmente colpevole.  Colpisce l’atteggiamento autoriale rancoroso e puntuto nei confronti delle madri. Pam Muldoon, mamma di tre figli, è puntigliosamente svillaneggiata, facendola rientrare nell’inevitabile schema della genitrice oppressiva ed omofoba. Mills interpreta lo straniero, l’“alieno”, colui che irrompe nelle altrui esistenze chiuse, stantie, ammuffite, cementificate, conchiuse entro confini geografici e dell’anima, il diverso dall’ “altro” numericamente soverchiante: l’omosessuale, l’immigrato, che, in quanto tali, per l’Autore, sono presuntivamente discriminati e ontologicamente nel giusto. Il manicheismo poco larvato di Bollen divide come il mar Rosso il mondo descritto nel romanzo in buoni (elettori di Obama e minoranze in tutte le più variopinte colorazioni) e cattivi (ovviamente Repubblicani, realtà sociali che tengono alla propria conservazione, wasp, famiglie naturali).
I paradigmi ideologici seguiti come stelle polari dallo Scrittore statunitense ridimensionano l’efficacia narrativa e l’incisività della suspense e dei coup de théâtre, rendendo alcuni passaggi del libro già attesi per tempo dal lettore.
Il ghiaccio e l’acqua figurativamente possono essere modalità di fuga dell’innocente ma anche, specularmente, mezzo per bloccare, tenere astretto il colpevole al luogo che si vuole furtivamente abbandonare. Al lettore, nel finale, l’ardua sentenza.
Aveva la netta sensazione di star scoprendo la routine segreta della vita adulta, un infilarsi tra le pieghe del tempo e dello spazio opponendo la minima resistenza possibile.”.
Fabrizio Giulimondi

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