La
graduale introduzione del sistema di “vigilanza dinamica”, di fatto, prevede
che i detenuti siano aperti almeno 8 ore al giorno, si autogestiscano e siano
impegnati in attività lavorative e trattamentali.
Nel
corso del tempo si è avuto modo di riscontrare che tale sistema, però, non
abbia sortito i risultati auspicati.
In circa il 95% degli Istituti
penitenziari italiani è stato applicato tale sistema di vigilanza, o meglio, è
stato garantita l’apertura delle celle per almeno 8 ore al giorno.
Tale
ultima precisazione è necessaria in quanto nella stragrande maggioranza degli
Istituti che gestiscono i detenuti a regime penitenziario aperto, gli stessi,
non sono impegnati in alcuna attività lavorativa ma stazionano nei corridoi
delle Sezioni detentive a far nulla.
Si è
avuto modo di constatare, altresì, una graduale diminuzione del livello di
vigilanza da parte del Personale di Polizia penitenziaria che, anche in
considerazione della vetustà delle strutture penitenziarie e la difficoltà
nell’investire per l’adeguamento sia strutturale che tecnologico delle
strutture penitenziarie, ha inevitabilmente causato un incremento delle evasioni e un’esponenziale
aumento delle aggressioni da parte di detenuti nei confronti del personale di
Polizia Penitenziaria che dal 2015 ad oggi sono aumentate di circa il 15%
all’anno.
Sempre
per ciò che concerne la gestione del detenuto nell’ambito delle sezioni, un incremento pari al 15/16%
si è avuto anche per ciò che concerne gli atti di autolesionismo, tentati
suicidi, colluttazioni e ferimenti con, in alcuni casi, la costituzione di vere e proprie bande di
ristretti organizzate per assumere mediante atteggiamenti violenti la
supremazia ed il controllo sulla restante popolazione detenuta.
Ciò
posto si ritiene di dover osservare che il nostro sistema penitenziario non
sembra essere pronto al sistema di vigilanza in questione.
Ben
vengano le innovazioni ma, le stesse, devono necessariamente garantire sia la
sicurezza sociale che le aspettative delle persone detenute.
Quanto
sopra denota che vi è un limite nella individuazione dei soggetti che possono
essere gestiti con modalità aperte sia in ragione del titolo di reato ascritto
sia, e principalmente, per il comportamento serbato in ambiente penitenziario
che qualora ritenuto “non corretto”, non possono non essere oggetto di modalità
custodiali più rigorose e di una assidua sorveglianza.
CONCLUSIONI
Obiettivo primario dell’Amministrazione
Penitenziaria, dovrebbe essere che ogni istituto penitenziario possa avere la
possibilità di gestire la popolazione detenuta, a custodia aperta e a custodia
chiusa, ferma restando la possibilità, per coloro i quali sono gestiti a
“custodia chiusa”, di revisionare nel tempo il giudizio di pericolosità e il
conseguente transito dalla custodia chiusa alla “custodia aperta” a mo’ di
concessione premiale e viceversa.
Fabrizio Giulimondi
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