domenica 12 luglio 2020

"OHIO" di STEPHEN MARKLEY



La gente trascorre la propria vita quasi in coma, ignara del substrato fisico che la circonda.”.
Oramai i grandi romanzi sono targati a stelle e strisce come è ampiamente confermato dall’opera prima di Stephen Markley (Einaudi) “Ohio”, romanzo che sviluppa un reticolato di storie al cui interno si affollano volti poliedrici come voci di un coro, dissonanti sì fra di loro, ma diretti verso un’unica direzione.
Seppur nel limite della ideologia liberal e degli stereotipi del politicamente corretto che costringono conservatori e tradizionali ad essere necessariamente brutti e cattivi, contrapposti a luminescenti omosessuali portatori salvifici di un nuovo credo, il lettore è catturato dalle descrizioni di ambientazioni mai eguali e dalla penetrazione negli anfratti delle personalità dei personaggi.
Questo lavoro – seguendo modelli consolidati della cinematografia e letteratura americana - non cessa di imbastire i pezzi di stoffa di cui è fatta la società giovanile oltreoceano: droga, alcol e sesso orgiastico e disperato come spartiti di una ruvida colonna sonora che si sovrappone ad esistenze demolite, demolitrici e autodistruttrici. Dio è morto e la sua ricerca dileggiata perché qui regna la dissoluzione dell’individuo ove tutto è consentito, tranne l’immersione nella propria anima. La famiglia è assente e, se legata a valori religiosi, aspramente dileggiata. Le molteplici metafore sono poetiche che, inanellandosi fra di loro, compongono un mosaico stilistico fatto di reiterati richiami che riempiono in maniera immaginifica e simbolica la polpa delle parole. V’è la potenza artistica della truculenza, di corpi sfracellati nella sabbia afgana e irachena. Il lettore cammina su un campo innaffiato con l’irrisione, l’irriverenza, il disprezzo, i disturbi alimentari, l’autolesionismo, la sindrome da stress post-traumatico, la neo-religione ecologista, gli stupri, gli sballi annichilenti e la perdita di coscienza e di conoscenza di se stessi. “Ohio” dipinge antropologicamente una massa anodina di giovani che nel proprio annullamento si cercano: Stacey non smette mai di farlo;  Dan non cessa in alcun momento di essere un bravo ragazzo e le membra dei commilitoni gettate in aria lo incupiscono ma non mutano la sua nobiltà d’animo; Lisa recita l’ego anarchico che accomuna quasi tutti, ma che in lei, pura energia nichilista, raggiunge l’apice orgasmatico: “E’ molto probabile che noi siamo tra i miliardi di simulazioni simulate da altri simulatori, semplici creazioni di altre simulazioni al computer.”.
Ohio” colpisce e in modo disturbante, nella sua “assenza”, nel suo rigirare il coltello nell’antro nascosto che v’è in ognuno di noi, che forse si ritroverà in tutti o in nessun personaggio. “Ohio” racconta della materia che viene privata dello spirito e si polverizza in un percorso labirintico, mai luminoso, spesso scuro e cupo, nel quale strade, stradine e vicoletti incastrati fra catapecchie si perdono per non incontrarsi più.
Certi momenti possono sembrare interminabili. Come se li avessi vissuti miliardi di anni prima, quando sono nati gli oceani e si sono scatenati i fulmini e il corso di ogni esistenza veniva tracciato nelle tenebre.”.
Fabrizio Giulimondi



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