“La gente trascorre la propria vita quasi in
coma, ignara del substrato fisico che la circonda.”.
Oramai
i grandi romanzi sono targati a stelle e strisce come è ampiamente confermato
dall’opera prima di Stephen Markley
(Einaudi) “Ohio”, romanzo che sviluppa un reticolato di storie al cui interno
si affollano volti poliedrici come voci di un coro, dissonanti sì fra di loro, ma
diretti verso un’unica direzione.
Seppur
nel limite della ideologia liberal e
degli stereotipi del politicamente corretto che costringono conservatori e
tradizionali ad essere necessariamente brutti e cattivi, contrapposti a
luminescenti omosessuali portatori salvifici di un nuovo credo, il lettore è
catturato dalle descrizioni di ambientazioni mai eguali e dalla penetrazione
negli anfratti delle personalità dei personaggi.
Questo
lavoro – seguendo modelli consolidati della cinematografia e letteratura
americana - non cessa di imbastire i pezzi di stoffa di cui è fatta la società
giovanile oltreoceano: droga, alcol e sesso orgiastico e disperato come spartiti
di una ruvida colonna sonora che si sovrappone ad esistenze demolite,
demolitrici e autodistruttrici. Dio è morto e la sua ricerca dileggiata perché
qui regna la dissoluzione dell’individuo ove tutto è consentito, tranne l’immersione
nella propria anima. La famiglia è assente e, se legata a valori religiosi,
aspramente dileggiata. Le molteplici metafore sono poetiche che, inanellandosi fra
di loro, compongono un mosaico stilistico fatto di reiterati richiami che riempiono
in maniera immaginifica e simbolica la polpa delle parole. V’è la potenza
artistica della truculenza, di corpi sfracellati nella sabbia afgana e irachena.
Il lettore cammina su un campo innaffiato con l’irrisione, l’irriverenza, il
disprezzo, i disturbi alimentari, l’autolesionismo, la sindrome da stress
post-traumatico, la neo-religione ecologista, gli stupri, gli sballi
annichilenti e la perdita di coscienza e di conoscenza di se stessi. “Ohio” dipinge antropologicamente una
massa anodina di giovani che nel proprio annullamento si cercano: Stacey non
smette mai di farlo; Dan non cessa in
alcun momento di essere un bravo ragazzo e le membra dei commilitoni gettate in
aria lo incupiscono ma non mutano la sua nobiltà d’animo; Lisa recita l’ego
anarchico che accomuna quasi tutti, ma che in lei, pura energia nichilista, raggiunge
l’apice orgasmatico: “E’ molto probabile
che noi siamo tra i miliardi di simulazioni simulate da altri simulatori,
semplici creazioni di altre simulazioni al computer.”.
“Ohio” colpisce e in modo disturbante, nella
sua “assenza”, nel suo rigirare il coltello nell’antro nascosto che v’è in
ognuno di noi, che forse si ritroverà in tutti o in nessun personaggio. “Ohio” racconta della materia che viene
privata dello spirito e si polverizza in un percorso labirintico, mai luminoso,
spesso scuro e cupo, nel quale strade, stradine e vicoletti incastrati fra
catapecchie si perdono per non incontrarsi più.
“Certi momenti possono sembrare
interminabili. Come se li avessi vissuti miliardi di anni prima, quando sono
nati gli oceani e si sono scatenati i fulmini e il corso di ogni esistenza
veniva tracciato nelle tenebre.”.
Fabrizio Giulimondi
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