“Living” del regista sudafricano Oliver Hermanus, sceneggiato dal Premio
Nobel Kazuo Ishiguro, è un remake del film del 1952 di Akira Kurosawa “Vivere”, a sua volta
ispirato alla novella di Lev Tolstoj “La
morte di Ivan Il'ič”.
Film
bellissimo che certamente vincerà Premi cinematografici internazionali al pari
dei Golden Globe e degli Oscar, “Living”
è una lunga carrellata di immagini, fotografie (Jamie Ramsay), ambientazioni, atmosfere. Gli arredamenti vittoriani
degli scompartimenti del treno e dei salotti dove i personaggi narrano le
proprie storie sono essi stessi emozioni, emozioni che mutano in scene. Le
musiche (Emilie Levienaise-Farrouch)
ritmano i dialoghi e le sequenze. La recitazione ha la veridicità e l’incisività
del teatro.
Al
centro del racconto si posiziona Williams (un formidabile Bill Nighy) che incarna il dilemma in cui si possono imbattere gli
uomini: come si cambia quando prendi contezza che hai pochi mesi di vita? Puoi
peggiorare, abbandonarti all’offuscamento di te stesso, oppure puoi passare da
essere un funzionario “accatastatore di pratiche inevase” per disinteresse ed
indolenza, a divenire responsabile del proprio lavoro e realizzare, così, una piccola
opera, un parco giochi, al posto di una putrida discarica.
La morte
si apre ad altri significati, conduce ad altre albe, e può far morire con il
sorriso sulle labbra mentre ci si dondola su una altalena al freddo, un freddo,
però, che non si avverte, perché dinanzi agli occhi si vede realizzata, per la
prima volta nella propria vita, una iniziativa per il bene della comunità.
Fabrizio Giulimondi
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