Forse
la traduzione del titolo del film di Jonathan Glazer non è corretta: “La
zona d’interesse” è lo “spazio vitale” di cui, secondo la demoniaca mente
di Hitler, necessitavano le popolazioni germaniche nei territori dell’Est
europeo.
L’opera
ha una sceneggiatura (Jonathan Glazer e Martin Amis) ed una
fotografia (Lukasz Zal) fuori dal comune, mentre la trama racconta quanto
sia banale il Male, volendolo dire con la Arendt.
Rudolf
Höß (Christian Friedel) è un padre premuroso e un marito attento e
gentile, cortese con i propri collaboratori e sottoposti. Rudolf Höß è stato il
comandante del più terrificante campo di sterminio nazista: Auschwitz.
Un
lavoro cinematografico veramente particolare, nel quale il set
principale è la villa con giardino dove vivono Höß e la sua famiglia, a pochi
metri dal muro di cinta del campo.
L’orrore
è indiretto, di rimando, visibile e invisibile, avvertito in chiave quasi subliminale
dalla costante colonna sonora cadenzata dagli spari delle esecuzioni e dalle
urla soffocate dei martirizzati, oltre dalla onnipresente cenere che regna ovunque
I
primi piani delle splendide corolle dei fiori contrastano con le chiazze rosse
accese dilaganti come simboliche macchie vermiglie di sangue, che si estendono
con il dilagare del genocidio.
L’annientamento
è sotto gli occhi di tutti, non solo di una sparuta truppa di SS, ma di
centinaia di migliaia di soldati, civili e lavoratori con ruoli amministrativi.
La
serena quotidianità e l’Inferno oltre il muro, ossia l’allegoria del presente.
Bellezza
e orrore: la capacità del Regista di far percepire e far vivere quest’ultimo
senza alcun segno di violenza.
Il
finale è geniale e rimetto valutazioni ed interpretazioni agli spettatori, nell’auspicio
che almeno una nomination all’Oscar vada in porto.
Fabrizio
Giulimondi
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