“Sound
of freedom - Il canto della libertà” del messicano Alejandro Monteverde, entra nell’antro oscuro del commercio di
bambini per scopi sessuali. Il film è del 2018 ma stranamente è uscito nelle
sale italiane solo da poche settimane. Son certo che se la trattazione del tema
mostruoso della pedofila fosse stata legata alla Chiesa cattolica il lancio
pubblicitario sarebbe stato fatto in pompa magna e su larga scala, coinvolgendo
per settimane centinaia di sale cinematografiche e non poche unità, per
pochissimo tempo e in poche grandi città. Lo sviluppo narrativo è basato su una
storia vera, con richiami documentaristici alle immagini di quanto realmente
accaduto, mettendo in risalto i legami dello sfruttamento sessale dei fanciulli
- anche di soli 6 anni- con gli ambienti
dominati da ricchi magnati americani (evocando l’affaire Assange, Hillary Clinton e Weinstein).
La pellicola è dura ma non esagera
nella brutalità delle scene che rimangono, pur particolarmente intense, sempre
sulla soglia. L’interpretazione dei due fratellini honduregni Rocio e Miguel, brutalizzati
dalla malvagità di individui senza alcun limite umano, è fuori dal comune. Lo
sguardo della bambina nel rivedere il padre in ospedale, mentre gli accarezza
il volto ancora incredula di poterlo rivedere insieme a Miguel (anch’egli
finito nello stesso girone dantesco), penetra nell’anima dello spettatore per
rimanervi a lungo.
È un lavoro sulla nobiltà d’animo ed
il coraggio (inverati dall’agente dell’FBI Tim Ballard) e sulla quinta essenza
del Male, quello con la M maiuscola, che da anni si vuole attribuire soltanto
al mondo ecclesiastico, per nascondere le sue vere radici ove vive, prolifera
ed imperversa: l’alta finanza e quegli stessi ambienti politici a stelle
strisce che hanno come impegno primario, secondario e terziario la illimitata liberalizzazione
di qualsiasi costume sessuale, comportamentale ed esistenziale, incluso l’amore
transgenerazionale: indovinate che cos’è?
Fabrizio Giulimondi
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