Stiamo
entrando nell’era del Non-Essere, nel quale soggetti liquidi galleggiano in un
eterno presente, immersi dentro una cultura mortifera in continua
autodeterminazione di se stessi, senza vincoli, limiti e freni, in seno ad una
a-civiltà priva di orizzonti, patrie o religioni, perché ogni limite, vincolo,
freno o orizzonte è un grave affronto all’uomo sradicato da se stesso, senza
eredità biologica, controllato nell’uso della parola e calato in un ambiente
ecologico privo di Natura. La Natura autentica è bandita, solo l’artificiale
espansione dei propri desideri contano per l’uomo senza passato né futuro.
Simone
Weil affermava che “pensare è un atto eroico”. Probabilmente l’ultima
fatica letteraria di Marcello Veneziani, “L’amore necessario. La
forza che muove il mondo” (Marsilio nodi), si pone entro questa
energia intellettiva: Veneziani - prima con “Dispera bene”, “La cappa” e
“Scontenti”, poi con “L’amore necessario” - compie lungo il tracciato
del suo almanaccare ed argomentare una serie cospicua di atti eroici, forse
epici.
Da
quando l’essere umano è comparso sulla Terra e da quando ha vergato i primi
segni sulle pareti delle caverne si è posto dinanzi al sentimento più
misterioso, potente e non descrivibile: l’amore. L’amore è stato atto creativo
e sarà l’ultimo segno alla fine dei giorni.
La
storia dell’uomo è storia di amore, della sua degenerazione, l’odio, e del suo
opposto, l’apatia e l’accidia.
L’Autore
si intrattiene sull’amore nell’epoca del disamore globale: “L’epoca del
disamore è l’epoca del disdio, il Dio disdetto, ancor prima che negato e
confutato”.
L’amore
è un dialogo con se stessi, con l’altro, con il mondo, con la Divinità, con la
verità, l’amore è amor fati, abbandono ad un destino, necessità del
passato e proiezione nel futuro: “Quel che precede la nostra libertà e la
nostra volontà si chiama natura, identità, origine, destino”.
Una
corrente metafisica scorre lungo la schiena del lettore per scuoterne l’anima,
l’intelletto e il cuore mentre legge pagine memorabili sulla Patria, l’affetto
materno, paterno e filiale e sulla vecchiaia: “Quanti vecchi come lui
sognano di tornare a casa, di fuggire dagli ospizi variamente denominati….per
riprendere il flusso amorevole della vita, e magari concludere la loro
esistenza non in un posto separato,
asettico, privo di ricordi e di odori
nostrani, ma là dove hanno vissuto, patito, gioito, faticato, amato”.
Il
pensiero non è sospinto solo da una brezza invisibile ma può possedere anche
una sua corporeità, una sua fisicità, quando è talmente denso, profondo, colto
ed erudito da essere percepito dai sensi, quasi che le dita possano sfiorarlo,
le narici sentirne l’odore e gli occhi vederne le fattezze reali.
L’uomo,
specie quello occidentale, sta percorrendo il moto ondoso all’incontrario,
nella direzione inversa al suo naturale propagarsi, procedendo nella direttrice
opposta alla “amorizzazione” originata da Dio.
Tutto
ciò che è reale non esiste, divenendo esistente ciò che non esiste solo perché
percepito come esistente: “Viviamo una guerra di liberazione permanente e
globale dalla natura, dalla storia, dai limiti, dal corpo e da tutto ciò che ci
fu assegnato dalla sorte, e dunque non deciso, non voluto da noi”.
Non
esiste la “cosalità” ma solo la percezione dell’”Oltre il limite”, che diviene
l’unica realtà ammissibile.
Chi
oppone ed eccepisce ancore naturali assume la natura dell’homo
neanderthalensis. La vera civiltà è nella sua negazione, il Non-Essere
appunto, negazione dell’Essere.
L’amore
come archetipo primigenio e come scopo finale è negato. Non v’è amor fati,
né amor Dei, né null’altro, solo l’eterno e solipsico reinventarsi senza
costrutto. Conta solo ciò che desidero e la sola legge è il mio desiderio e se
la scienza lo rende tecnicamente realizzabile questo muta in diritto imperativo
e categorico. Desidero, quindi sono: è il tempo di Cartesio rivisitato e
corretto.
Il
pensiero si fa parola, poesia, letteratura e neologismo, poi sentimento ed
emozione ancestrale ed alchemica: “La patria, la religione e la famiglia
sono confini che non solo delimitano la nostra vita rispetto al mondo esterno,
ma sono argini al nostro egoismo che limitano il nostro individualismo, la
nostra volontà particolare”.
Fabrizio Giulimondi
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