“Voci in fuga” (“Afterlives”) del Premio Nobel per la Letteratura 2021 Abdulrazak Gurnah (La nave di Teseo) è un romanzo il cui stile risente delle sue
origini tanzaniane.
Il
colonialismo tedesco e poi inglese dell’Ostafrika (Tanzania, Ruanda, Burundi),
dopo la sconfitta subita dalla Germania al termine della Prima Guerra mondiale,
costituisce il filo del ricamo della trama, attenta in maniera talvolta
ossessiva ai particolari per poi tralasciare i grandi temi.
La
Storia, le guerre, i conflitti, le evoluzioni e involuzioni sociali, la ferocia
degli askari, non sono altro che il
fruscio di sottofondo, perché per l’Autore contano solo le vicende esistenziali
dei personaggi che si affastellano lungo il tracciato narrativo, punteggiato da
tanti racconti che si inseguono senza mai trovare una conclusione, una
definizione, una spiegazione, rimanendo in sospeso a galleggiare nell’aria
afosa estiva africana, come se il finale non interessasse, essendo null’altro
che l’orizzonte del deserto in cui si confondo sabbia e cielo.
Non
contano cosa fanno o dicono i protagonisti e le comparse del romanzo, ma solo i
momenti delle giornate vissute dai protagonisti e dalle comparse.
È certamente
una letteratura diversa da quella europea o nordamericana, lenta come il
cammino di una carovana di dromedari, lenta come il passare delle ore di un
anziano che fuma la sua pipa Calabash
in attesa che accada qualche cosa, lenta come il fluire dell’acqua in una oasi
bruciata dal sole del Sahara.
L’Islam
e le sue regole asfissianti le esistenze delle donne innervano le parole, i
periodi e le pagine:”Sentiva che qualcosa
in lei si rattrappiva e diventava teso come se si aspettasse sempre un
rimprovero. C’erano tante cose che le erano vietate in quanto inappropriate.”.
Fabrizio Giulimondi
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