Ci sono alcuni film che sono imperdibili, che è obbligatorio gustarli.
Uno
di questi è “La Teoria del Tutto” (“The Theory of Everything”) di James Marsh sulla vita
del geniale fisico, astrofisico e cosmologo britannico Stephen Hawking
(interpretato da un i-n-f-i-n-i-t-a-m-e-n-t-e bravo Eddie Redmayne (Premio Oscar 2015
come migliore attore protagonista e già vincitore del Golden Globe 2015) e di
quel gigante di donna che era sua moglie, Jane Wilde-Hawking (le cui vesti cinematografiche
sono ricoperte da una commoventemente sublime Felicity
Jones), autrice
della biografia da cui è tratta la pellicola: “Travelling to Infinity: my life
with Stephen” (“Verso l’infinito”), edita da Alma Books.
Questa
opera parla dell’Amore, quello con la A maiuscola, della forza della Vita, del
Coraggio, e dell’Amore e del Coraggio che insieme abbattono ogni ostacolo e non
consentono in alcun modo alla Vita di soccombere.
Stephen
Hawking è una mente eletta e il suo intelletto è imprigionato in un corpo devastato
da una patologia inarrestabile. A Hawking hanno dato spietatamente solo due
anni di vita da vegetale nel lontano 1963 in quel di Cambridge. Stephen Hawking
ha oggi 72 anni ed è ancora in vita, arricchendo l’Umanità con le sue teorie sul
tempo, sul suo inizio e la sua fine, donando ad essa un traguardo: scoprire una
“sola, semplice, elegante formula che
raccolga il tutto e tutto spieghi”.
Stephen
è un uomo che in nome del neo umanitarismo avrebbe dovuto cessare la sua incredibile
esistenza in modo medicalmente assistito, se non si fosse interposta la volontà indomita nella fede della moglie, perché
questo è un capolavoro sulla Scienza e sulla Fede, su Dio e la sua negazione.
Denso,
intenso, drammatico, “La teoria del
tutto” è avvolto nel fascino dell’Universo, nel mistero della sua nascita e della sua fine, della sua capacità
di espandersi e di ridursi, sino all’ultima particella, fino al buco nero che lo ha partorito.
Fabrizio Giulimondi
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