Siamo giunti al terzo tempo, quello conclusivo, della Trilogia della Pianura di Kent Haruf (NN Editore). Fabio Cremonesi, traduttore dell’opera, dipinge “Crepuscolo” come un lavoro scritto con la tonalità musicale del fa maggiore, “quello della pienezza della vita e degli affetti, della ‘Pastorale’ di Beethoven, ma anche di tante canzoni d’amore”. Concordo. In “Crepuscolo” tutti i rivoli affettivi e interiori che vedono la loro sorgente in Benedizione (http://giulimondi.blogspot.it/2016/07/benedizione-di-kent-haruf-volume-primo.html) e in Canto della Pianura (http://giulimondi.blogspot.it/2016/07/canto-della-pianura-di-kent-haruf.html) giungono a conclusione, confluiscono nel lago tranquillo dei sentimenti, che sanno di vero, autentico, imperituro, saldo. Anche le scene di sesso sono sommessamente accennate, perché ciò che prevale subito dopo è una immagine di vita familiare, di reciproche tenerezze. “Crepuscolo”, come i due romanzi che lo precedono, è la melodia della quotidianità, dove talora sembra di stare in procinto di una tragedia imminente che però non accade, perché anche il dramma è lenito dalla nobiltà d’animo dei personaggi, nobiltà che tutto lenisce e tutto comprende, tutto ridimensiona e riduce ad uno sguardo, una carezza, un silenzio accogliente e di perdono. Il malvagio esiste ma è accantonato, perché nel mondo di Haruf è perdente sin dall’inizio. Non vi sono eroi ma gente semplice, comune, che vive nei campi e alleva bestiame, studia o è in cerca del grande amore, da cui rimane ingannato e che cercherà ancora in altri luoghi.
Attori
e comparse sono tratteggiati sin nelle minuzie, non in un colpo solo ma lungo
la narrazione dei tre libri, eroici nella loro normalità, nel loro saper
affrontare e superare ciò che la vita riserba ad ogni essere umano.
“Crepuscolo” è un canto di serenità, è alba
e tramonto, attesa, uno sguardo che mentre si allunga verso il futuro, si attarda in un malinconico passato.
Fabrizio Giulimondi
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