Quanto
le immagini, le scene e la fotografia in “Codice
criminale” (di Adam Smith, con Michael Fassbender) sono intriganti,
quanto il contenuto narrativo è deludente.
In un
incedere lombrosiano e decadente, personaggi con linguaggio volgare e
licenzioso vagabondano fra roulotte “zingaresche”, tentativi di taluni di avviluppare
gli altri sempre di più nella morsa delle spire stritolanti e soffocanti della
banda e, di talaltri di uscirne, provandoci non convintamente e di malavoglia, senza,
ovviamente, riuscirvi.
Al
centro del sipario cineastico si colloca un padre - padrone - capoclan e un
figlio deprivato della propria personalità, in movenze recitative vagamente evocanti
l’antichità classica del teatro greco, nel tormentato scontro fra il genitore
autoritario ed il figlio succube ed incapace di liberarsi dalle angherie del
primo.
Fabrizio Giulimondi
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