martedì 4 luglio 2017

VINCITORE DEL PREMIO STREGA 2017: "LE OTTO MONTAGNE" DI PAOLO COGNETTI (EINAUDI)

Le otto montagne (Supercoralli) di [Cognetti, Paolo]
La sua (quota) era senz’altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d’alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all’inizio dell’estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre”.
Le otto Montagne” di Paolo Cognetti (Einaudi) non è un romanzo ma un lungo, interminabile panorama di montagne, una descrizione di boschi, una narrazione di anime di donne e uomini che in quelle montagne e in quei boschi vagano. Sono vette valdostane, sono cime nepalesi: “In fondo alla valle, le vette dell’Himalaya. Allora vidi cos’erano state le montagne all’alba del mondo. Montagne acuminate, taglienti, come appena scolpite dalla creazione, ancora non levigate dal tempo”.
Le otto montagne è una camminata incantata e reale, è un andare ed un tornare fra lecci e genziane dove le menti si perdono per poi ritrovarsi, in un pacato e virgiliano viaggio immaterialmente corporeo e corporalmente spirituale: “Ogni volta che tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso”. Le pagine sono tratteggiate con odori, sapori e colori mescolati fra di loro da parole impegnate a trattenerli perché il lettore ne possa godere ad occhi chiusi.
L’opera di Cognetti è sentore di muschio bagnato, è fragranza di sottobosco e funghi, è suono di acqua di torrente che scorre, è profumo di acqua limpida e fresca di ghiaccio appena sciolto che penetra nel naso, è aroma di terra argillosa. Gli indumenti dei protagonisti esalano fumo di camino, reminiscenze di braci e cacciagione, fuliggine e punte di sudore. Il lettore avverte il suono degli scarponi che pestano fanghiglia di torrente, terriccio di fonte, tracce di resina a ridosso di un arbusto.
Il periodare morbido dell’Autore conduce altrove, oltre quelle alture che vedete confuse lungo l’orizzonte con il tramonto del Sole e la Luna che sta appena sorgendo.
Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico”.

Fabrizio Giulimondi

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