Oramai quella che si stagliando nei cieli letterari italiani (e non solo) è una vera e propria saga della New York lungo il tempo, dal 1910 al 1980. Il settimo lavoro di Antonio Monda, “Io sono il fuoco” (Mondadori), è autenticamente intrigante nel suo perlustrare con veritiera efficacia e delicatezza le debolezze umane. “Io sono il fuoco” (esplicito richiamo alla poesia “Il tempo” di Jorge Luis Borges) è il romanzo dei limiti umani,della fragilità con cui ogni uomo ed ogni donna convive, delle contraddizioni da cui nessuno scappa, delle promesse mancate unica certezza dell’esistenza su questa Terra. Un uomo e una donna, due storie che divengono una pur rimanendo separate perché il passato non può essere realmente condiviso: il passato è solo di chi lo ha vissuto. Gli abusi subiti da lei; l’inazione che è di per sé azione condita da viltà quando si è rimasti silenti dinanzi il sopraggiungere del nazionalsocialismo: non si è meno criminali solo perché non si è ucciso ma, pur sapendo, nulla si è fatto.
Tre
protagonisti: New York, lui e lei.
La
Grande Mela descritta come non mai, la cui anima è estratta come un cuore da un
corpo durante un’ operazione chirurgica, il cui foliage autunnale mozzafiato il lettore ammira e ne sente l’interminabile
e indistinguibile rumore di sottofondo: “La
stagione più bella a New York è l’autunno, chi dice il contrario non conosce la
città. Non è soltanto una questione di colori: è l’unico posto al mondo nel
quale la fine dell’estate non comunica un senso di morte, ma di rinascita. E
nulla trasmette questa sensazione di vittoria come l’infilata trionfale di
palazzi che costeggiano il parco a sud, e poi si arrampicano, abbassandosi
appena, nel lato est.”.
E’
un libro sulla incessante ricerca della felicità, entusiasmante inganno, primo
degli inganni, dell’Umanità. E’ un romanzo il cui respiro è Dio, anelito
primordiale e finale dei due protagonisti.
La
coscienza della propria finitezza, l’indagine
ossessiva della propria nullità perché niente si è riuscito a dare e fare proprio
quando si doveva dare e fare, contrastano e impattano brutalmente con la gioia di
vivere ad ogni costo, in quanto è la
stessa vita ad essere occasione irrinunciabile per provare felicità: “Sono un mediocre perché sono un uomo, questa
è la realtà. E niente mi spaventa più di me stesso, ma anche da questo ho
imparato a fuggire” … “ ‘Dare alla luce un figlio è l’unica cosa che ci fa
intuire, almeno per un attimo, cosa deve aver provato Dio quando ci ha creato.’
Lo disse con naturalezza, per lei la fede era la vita stessa.”.
Ed
ecco Marlene Dietrich che inizia a
cantare…
Fabrizio Giulimondi
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