sabato 5 ottobre 2024

"IL TEMPO CHE CI VUOLE" di FRANCESCA COMENCINI

 


Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini è un’opera di non comune intensità sul rapporto speciale che legava Francesca con il padre, l’intramontabile regista Luigi Comencini.

È un racconto fiabesco, onirico, emozionante, tenero, dove la magistrale interpretazione di Fabrizio Gifuni (Luigi Comencini) e Romana Maggiora Vergano (Francesca Comencini) sottrae lo spettatore alla realtà per introitarlo nel mondo immaginifico del cinema, facendolo allo stesso tempo rimane con i piedi ben piantati a terra.

La macchina da presa entra nella intimità della dinamica relazionale di un padre con la figlia, fissando sullo sfondo la tragedia del terrorismo e ponendo in primo piano lo stato di tossicodipendenza di Francesca. Dramma e tenerezza si potenziano reciprocamente, si abbracciano e si intrecciano. Le immagini sognanti del grandioso Pinocchio -  trasmesso dalla Rai nel 1972 - si decompongono per fare spazio ai crimini stragisti di Piazza Fontana e al rapimento e uccisione di Aldo Moro.

Non c’è moglie né madre, non vi sono figlie né fratelli, ma solo un lungo fermo-immagine sul padre insieme alla figlia, la figlia insieme al padre, entrambi avviluppati nella fantasiosa creazione prodotta dalla cinepresa.

Il rapporto fra padre e figlia è simbiotico e salvifico e gli sguardi, le espressioni mimiche e l’atteggiamento corporeo parlano un linguaggio metafisico fatto di parole espresse e non espresse, ma sempre morbide, delicate e carezzevoli anche quando sono dettate dalla disperazione.

Le inquadrature - che si realizzino in campi lunghissimi, dall’alto verso il basso o sfumando i contorni similmente ad immagini ipnagogiche nel cedere al sonno -  danno sempre forma ad un’arte incontrovertibile.

La recitazione ossiede la capacità di rapire chiunque, una recitazione corporea e incorporea, visibile e invisibile, tangibile e intangibile, composta da dialoghi, soliloqui interiori, sguardi amorevoli e tragici, lacrime e sorrisi.

Le ultime sequenze sono tranci di poesia che mutano in figure nuotanti in mezzo all’aria per congedarsi nella somma emozione: la morte del padre accompagnata dalla musica indimenticabile del Pinocchio di Fiorenzo Carpi.

Fabrizio Giulimondi






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