venerdì 27 dicembre 2024

"DIAMANTI" di FERZAN OZPETEK



Diamanti” di Ferzan Ozpetek è scuola di recitazione allo stato puro, espressione corale attoriale quasi tutta al femminile, dove attorno al baricentro (ma anche coro)  delle sorelle costumiste cinematografiche Canova Luisa Ranieri e Jasmine Trinca, girano vorticosamente interpreti tutte egualmente brave (Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Giselda Volodi, Milena Vukotic), affiancate da altrettanti bravi attori italiani (Stefano Accorsi, Luca Barbarossa da cantante ad intrattenitore televisivo ad attore), Vinicio Marchioni, Edoardo Purgatori, Carmine Recano).

La tensione recitativa percorre tutta la proiezione della pellicola, sino a toccare il culmine nel dialogo drammatico, realmente tragico, fra le sorelle Canova: Luisa Ranieri e Jasmine Trinca toccano superbi ed intensi apici espressivi vocali e mimici.

Gli escamotage artistici e scenici impreziosisco grandemente l’opera, a partire dal pranzo iniziale voluto da Ozpetek per spiegare le ragioni e le origini del film, durante il quale non si capisce se le attrici invitate ricoprano già la propria parte o siano semplicemente se stesse senza un vero copione ma solo un canovaccio da seguire, ognuna con un libero comportamento e un libero recitativo.

Il ruolo-non ruolo di Elena Sofia Ricci desta non pochi interrogativi nel pubblico.

Il rosso pompeiano che tinge i numerosi e ricchi costumi settecenteschi rende purpureo questo, come i precedenti lavori di Ozpetek, che accompagna la storia con la propria presenza,

Fabrizio Giulimondi


                        



sabato 21 dicembre 2024

"L’ORA BLU. NON È IL MOMENTO DI STARE DA SOLI” (PIEMME) di PAULA HAWKINS

 


Grace è come una maga. Evoca dal nulla lettere e schizzi e frammenti di osso. O una gatta, forse, che viene a deporre tesori ai suoi piedi. Soltanto che non sono i suoi tesori. E in ogni caso non portano tesori, portano prede morte.”.

L’Autrice de “La ragazza del treno”, Paula Hawkins, è tornata nelle librerie con “L’ora blu. Non è il momento di stare da soli” (Piemme).

Come energia cinetica che si disperde lungo il percorso spazio-temporale, anche alcune tracce del pathos del primo thriller si sono perse nella strutturazione architettonica di questo secondo romanzo, pur rimanendovi cospicue e corpose molecole che vengono avvertite vibrare nello sviluppo dell’azione scenica.

Le acque rimangono chete lungo il tracciato narrativo finché marosi tumultuosi irrompono nella visione del lettore.

Vi sono tre co-protagonisti e un attore né protagonista né non- protagonista che occupano il proscenio: Vanessa Chapman, Grace Haswell e Becker, simili ad un gruppo pittorico, da una parte, mentre Julian si va a rannicchiare dall’altro lato della tela. Nick e il resto pulviscolare delle comparse compongono la propulsione preparatoria al lancio della trama. L’isola Eris, che più volte al giorno si isola dalla terraferma a causa delle quotidiane maree, più che un set costituisce l’atmosfera della storia. Le maree non sono soltanto fenomeni lunari e marittimi ma veri e propri espedienti artistici e retorici volti a cadenzare il flusso emotivo, strumenti che alzano o abbassano la tensione del racconto.

Lo stile morbido, mai aspro e pungente, consente una lettura oliata che conduce ad una conclusione dalle multiformi interpretazioni.

Certamente in “L’ora blu” i confini fra letteratura, scultura, pittura e ceramica si confondono sino a divenire indistinti.

Fabrizio Giulimondi

martedì 10 dicembre 2024

“I RAGAZZI DELLA NICKEL” di COLSON WHITEHEAD (OSCAR MONDADORI, 2019): VINCITORE PREMIO PULITZER 2020



I ragazzi della Nickel” di Colson Whitehead (Oscar Mondadori, 2019), vincitore del Premio Pulitzer 2020, è una “lettura necessaria” per dirla con il Presidente Obama.

Crudo, impietoso, senzapelle, mostra l’abominio del razzismo dell’America del Sud degli anni ’60 tramite le vicende di Elwood e di altri ragazzi, poveri e neri, la cui unica colpa è proprio di essere poveri e, soprattutto, black.

Il libro si legge di volata ed è difficile non emozionarsi dinanzi a tanta brutalità, a tanta plateale ingiustizia e a tanta voglia di resistere, vivere e avere un futuro.

Il bieco razzismo è componente principale dell’atmosfera, anzi direi l’unico componente e l’ambientazione, il set, è reale, perché quella “scuola” dove venivano “rieducati” ragazzi minorenni è esistita veramente con tutto il suo carico di sofferenze e atrocità.

È un romanzo “cinematografico” perché nel leggerlo sembra di vedere scorrere le immagini di un film.

Questo romanzo “cinematografico” evoca potentemente alla mente due pellicole di grande pregio: “Sleepers” di Barry Levinson (1996) e “Le ali della libertà” di Frank Darabont (1994).

Jaimie, Turner, Desmond ed Elwood: dirty niggers per “educatori” spietati che godono nell’affliggere punizioni anche di malsana ferocia e crudeltà, non sono altro che bambini terrorizzati colpevoli solo del colore della propria pelle e di essere senza famiglia e senza soldi.

La colonna sonora della narrazione è costituita dalle parole pronunziate da Martin Luther King durante i suoi discorsi di rivolta e ribellione, parole di non-violenza e di accoglienza amorevole anche del nemico più spietato. Nel buio totale (“Il buio oltre la siepe”) di una microscopica cella dove Elwood è gettato per settimane, pestato e frustato, sorgono riflessioni che tolgono il fiato su come si possano realizzare simili parole e simili pensieri dinanzi a tanta cieca violenza e cattiveria; sembra di rivivere il “martirio d’amore” – come lo definì Papa Paolo VI - di san padre Massimiliano Kolbe ad Auschwitz.

Autentica e grande letteratura americana!

Fabrizio Giulimondi

venerdì 6 dicembre 2024

"NAPOLI - NEW YORK" di GABRIELE SALVATORES

 


Napoli – New York” di Gabriele Salvatores è uno “Sciuscià” rivisitato e visto con gli occhi di un regista degli anni 2000.

L’interpretazione è magistrale. Le espressioni mimiche dei giovanissimi protagonisti lasciano il segno e coinvolgono empaticamente ed emozionalmente il pubblico dalla prima all’ultima scena.

Dea Lanzaro nel ruolo di Celestina (dieci anni) e Antonio Guerra in quello di Carmine (quindici anni) sono due autentici prodigi, due veri portenti. Il viso di Celestina, da quando esce viva dalla esplosione della bomba della Seconda guerra mondiale (siamo nel 1949 a Napoli) sino all’ultima immagine che la ritrae a New York durante la “sfida esistenziale” giocata barando a carte, è pura narrazione corporea, fisica, mimica, vera, autentica e verace, di sguardi smorti e visi apatici, di volti rassegnati o pronti a tutto perché tutto hanno già conosciuto. Uno sguardo intenso e semplice, un viso come pochi, proteso verso il futuro, pronto a conoscere tragedie già vissute o magari un’altra vita, il cui solo pensiero dipinge un sorriso dolce e sognante.  

Pierfrancesco Favino oramai ci ha abituato a performance di alto livello. La sua statura di attore si conferma anche in questa prova.

Dagli Appennini alle Ande, da Napoli a New York, insieme alle storie, drammatiche o gioiose, di centinaia di migliaia di italiani che hanno lasciato tutto - o niente – per andare verso un nuovo orizzonte con lo  skyline della Grande Mela.

Credo che alcuni David di Donatello saranno assegnati a questa pellicola e, presumibilmente, ai due suoi incredibili, straordinari, unici  attori-ragazzini.

Fabrizio Giulimondi