“Una figlia” di Ivan De Matteo è un film ad altissima e permanente carica drammatica
e di una bellezza seducente come non si vedeva da molo tempo nel cinema italiano.
Stefano Accorsi interpreta magistralmente
il padre e credo vada incontro al Premio David di Donatello come Miglior Attore
Protagonista. Coinvolgente è l’arpeggio recitativo della figlia, la
giovanissima Ginevra Francesconi,
dotata di una notevole mimica e una peculiare espressione degli occhi che modula
a seconda delle diverse ambientazioni narrative.
La trama
è piastrellata da una attenta osservazione dello sviluppo e della maturazione
psicologica ed interiore di ogni singolo personaggio che vive, ognuno da un
angolo prospettico diverso, immani tragedie personali. Si è sempre soli nella
sofferenza e più la sofferenza è grande e più si è soli. La ricerca
introspettiva è circostanziata e densa e porta a scavare dentro all’intimità
più profonda e nascosta dell’animo umano.
Quattro
blocchi scenici come in un complesso statuario: uno è il padre, vittima di un
crimine terribile; l’altro è la figlia, autrice del crimine; l’altro è, di
sottofondo, la famiglia dell’assassinata; ultimo è la dimensione penitenziaria
minorile, dal centro di prima accoglienza, all’istituto carcerario sino al
collocamento in comunità, con la loro umanità e rassegnazione.
È la
vita, in realtà, che riscatta le esistenze interrotte e rotte. È una nuova vita
che fa rinascere la propria vita. Una nuova vita può essere il sentiero del riscatto,
la vera nostalgia del futuro.
Un
film privo di pregiudizi ma pregno di giudizi. Un film maieutico. Un film vero.
Fabrizio Giulimondi