“Clementina”
di Giuliana Salvi (Einaudi) è un mare placido, tranquillo,
senza onde, che dalla metà in poi comincia ad incresparsi, ad assumere un moto
ondoso spinto da venti sempre più turbolenti, sino ad esplodere sul finale in
una tempesta dove acqua e bora si confondono in un amplesso rugginoso e
violento.
Una famiglia. I Martello. Tre sorelle:
Clementina, Maria e Anna. Tre fratelli: Francesco, Filippo e Emira. E poi
Giuliana, Cesare, Emilia, Chiara, Margherita e Marga, anzi Margherita che è Marga.
E Germain e Gianni. Storie che si rincorrono, si intrecciano, si sovrappongono,
si inseguono.
La vita è dramma. Il dramma è vita.
La morte segue alla vita che segue
alla morte in un eterno avvicendarsi senza tregua né respiro.
La vita ha senso perché la morte ne
concluderà il cammino. La morte ha senso perché la vita ne ha conferito il suo
misterioso significato.
La narrazione sa di cannella e miele.
La narrazione odora di gelsomino.
“Clementina
avvertì l’odore di cannella che le si fissò nelle radici. Inspirò forte ed
espirò, e così ancora e ancora. Provò a piangere. Voleva piangere per sua
sorella. Per Anna, che aveva avuto il privilegio di conoscere, di vedere
bambina e donna. E per Emilia, che era rimasta bambina per sempre. Ma le
lacrime non uscirono e i respiri non divennero singhiozzi.”.
Fabrizio Giulimondi
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