“Le assaggiatrici” di Silvio Soldini è tratto dall’omonimo
romanzo di Rosella Postorino,
vincitore del Premio Campiello 2018.
Il film
mantiene una costante tensione, una permanente carica emotiva e drammatica che
non abbandonano mai lo spettatore. Le tinte chiaro scure, ocra, soffuse e
grigie, ci immergono in una trama che evoca le storie vere di donne che assaggiavano,
con brutale imposizione, cibi per verificare che non fossero avvelenati e non
attentassero alla vita di Hitler.
Si
percepisce la presenza demoniaca del despota tedesco per tutta la durata della
proiezione della pellicola pur non vedendolo mai.
Il
Male lo si respira per tutto il tempo, perché è dentro l’ottusa e criminale
obbedienza di uomini in divisa che hanno dismesso ogni minimale forma di
umanità, trincerandosi proprio dietro a quella orripilante obbedienza. L’obbedienza
atona, anonima, acritica e vitrea conduce quel mondo che gravitava intorno alla
Croce Uncinata ad accettare e compiere ogni blasfemia.
Attraverso
la fisicità delle sette assaggiatrici, attraverso la loro mimica straordinariamente
empatica, coinvolgente e comunicativa, attraverso episodi che possono apparire
di portata di gran lunga inferiore al genocidio e agli orrori bellici, ognuno
interiorizza a quale abisso imperscrutabile e senza confine può giungere l’Umanità.
Sette
cavie, sette vite schiacciate, sette corpi, una unica volontà di potenza.
Il
cibo, così, da elemento gustoso di sostentamento vitale muta in mezzo di
angosciante tirannide.
Fabrizio Giulimondi
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