“Sembrava che, nella semincoscienza di quei
giorni, la sofferenza le avesse lavorato dentro, instancabile, per scarnificare
ogni sentimento. L’aveva uccisa senza che se ne accorgesse. Che nessuno se ne
accorgesse. Era quieta, lontana dalle cose della vita.”.
Come si
fa a recensire una emozione?
Come?
Roberta Recchia ha
messo nero su bianco una lunga, interminabile emozione, che non smette di
vibrare nemmeno al termine della lettura di “Tutta la vita che resta” (Rizzoli).
La
tragedia di un dolore immenso che dilania le carni e devasta l’anima irradia
tutta la narrazione.
“Era come nuotare disperatamente verso la
terraferma per accorgersi che il fondale si faceva più profondo, mentre la
stanchezza annientava le braccia, tagliava le gambe, toglieva il fiato.”.
Uno
studio veramente superlativo dell’“interno” dell’essere umano, letteratura,
psicologia e psichiatria si intrecciano in maniera indistinta. Ogni personaggio
è analizzato in tutti i suoi rivolti intimi più nascosti. Non v’è nulla di
irreale, tutto è reale, per questo il lavoro della Recchia toglie il fiato: dietro aa ciascuna parola che descrive ogni
centimetro fisico e immateriale di Marisa, Stelvio, Ettore, Miriam, Elisabetta,
Emma, Leo, Corallina, Letizia, gli stupratori e i tanti altri “caratteri” del
romanzo, v’è un accurato studio delle conseguenze di un trauma. Il trauma e le
sue terrifiche conseguenze si fanno letteratura. Il dramma è accompagnato dalla
“Bellezza Collaterale”.
“Si sentì insignificante e inutile davanti
alla potenza di un male così, che marca il passaggio tra una vita e un’altra,
tra un prima e un dopo, e poi svanisce senza lasciare alcun danno apparente.”.
Una storia
complessa, articolata, profonda, densa, illuminata da una umanità che lascia il
lettore senza maschera né scudi, un baluginio che lentamente compare e non lascia
più sole le esistenze.
Le
ambientazioni, l’evocazione della Strage di Bologna e il richiamo nascosto al
Massacro del Circeo creano atmosfere subliminali propedeutiche allo tsunami.
Un
racconto senzapelle che denuda,
emoziona, commuove.
Che
cosa è la Bellezza? Che cosa è la Bellezza Collaterale? Che cosa è l’uomo senza
la speranza? Esiste la speranza senza essere abbracciata ad un amore che dà
tutto se stesso pur di vedere salvo l’altro?
È un
dialogo fra l’Autrice ed il suo pubblico su quel dolore e quella sofferenza che
ti strappano il ventre e il cuore, un dolore e una sofferenza tenuti nascosti
per anni nella solitudine più cupa, una solitudine chimica “consigliata” da uno
psichiatra privo di scrupoli. Nessuno deve sapere. Il buon nome della famiglia.
La nonna senza luce negli occhi e gracchiante. Certe cose non devono essere
sapute. Una famiglia all’oscuro di tutto ma non per questo meno colpevole. La notte
buia come la pece. La belluina ferocia di un branco. La morte fisica e dell’anima.
La rinascita
sulla “dimenticanza” perché la speranza e l’amore sono più forti di tutto, più
forti del buio come la pece. Eroi possenti e semplici, celati dietro le mura di
un negozio di alimentari.
La
vita, alla fine, vince sempre.
“Si sapevano consolare con la comprensione,
il dolore che li accumulava li aveva resi inadeguati a qualsiasi mondo che non
fosse il loro.”.
Fabrizio Giulimondi