lunedì 14 luglio 2025

"IO CHE TI HO VOLUTO COSÌ BENE” di ROBERTA RECCHIA (RIZZOLI)



Era come aver nuotato fino allo stremo, controcorrente, per salvarsi. Però adesso non ne comprendeva il senso. Per la prima volta pensò con distacco a ciò che era stato della sua vita dal pomeriggio delle arancine, scoprendosi improvvisamente estraneo a se stesso. Si frugava nei ricordi e nulla gli apparteneva più: la spensieratezza dell’infanzia, l’amore dei genitori, la complicità di Mizio, la bellezza di Betta, i turbamenti del corpo e la dolcezza di Flavia. Anche il dolore, forse, aveva smesso di appartenergli. Poteva lasciare andare tutto, perché quello era il mondo di Luca Nardulli. E Luca Nardulli neanche esisteva più. Trattenne il fiato, abbandonandosi a quella corrente che lo trascinava a fondo. In un’altra vita.”.

Dopo aver finito di leggere i romanzi di Roberta Recchia le emozioni – emozioni molto forti – permangono a lungo nel cuore del lettore.

Dopo l’opera prima “Tutta la vita che resta”, in “Io che ti ho voluto così bene” (Rizzoli) Roberta Recchia snocciola l’umanità in tutte le sue forme più minuziose.

Non bisogna farsi ingannare dal titolo che potrebbe far incasellare il lavoro nel genere “rosa-smielato”: al pari della sua prima fatica, il secondo scritto dell’Autrice analizza il misterioso dipanarsi dell’animo umano, la cui longitudine va dal ficiniano buio terrifico al biancore angelico.

Il dolore è l’inchiostro del libro che tratteggia il dramma delle vittime collaterali dei crimini, quelle che nessuno prende in considerazione, quelle che tutti disprezzano: i familiari degli autori dei reati, dei carnefici, dei criminali.

Uno stupro e un omicidio strappano le carni, cancellano le esistenze, annullano le anime delle vittime e dei loro parenti. I crimini annientano anche il mondo che gravita intorno al reo.

Io che ti ho voluto così bene” in modo spietatamente chirurgico entra nei meandri della sofferenza del fratello, del padre e della madre di uno stupratore-assassino.

Pagine e pagine di tragica e intensa bellezza dimorano in dialoghi che senza pietà colmano di commozione il lettore, costretto a riflettere su aspetti raramente considerati. I cambiamenti sorgono dai dialoghi. Sono le parole che mutano le decisioni dei protagonisti. Le stesse vite non sono più le stesse dopo scambi di battute autentiche, dure, impietose, tenere, velate dal ricordo, dalla nostalgia, oppure brutali, violente, cariche di odo represso, rabbia incontenibile che ha atteso venti anni ad esplodere.

L’incontro che toglie il fiato fra Luca e Maurizio è l’alba di due nuove esistenze.

La profondità è la cifra di questo libro.

Luca è un moderno eroe ellenico che tutto subisce perché in lui odio e amore albergano indistinti. Luca oppone il proprio petto alle valanghe deflagranti ed ai marosi impetuosi che lo sbattono qua e là come una piantina strappata alle sue radici.

Luca è l’umanità ad un bivio.

I personaggi inverano le mille sfaccettature della coscienza umana: zio Umberto la razionalità e la giustizia; Lilia la disperazione che divelle corpo e spirito; Mara la paura che cancella il raziocinio e porta a compiere feroci ingiustizie: ma Luca accetta il Fato, il Destino.

Un lucore religioso permea la narrazione, un senso di trascendenza e di Provvidenza quasi manzoniana. La famiglia è il luogo dove si custodiscono i patimenti delle persone, si lenisce l’orrore, si ricompongono percorsi travolti dall’imprevedibile. La vita anche dei delinquenti può essere ripresa centimetro per centimetro, sottratta al Male.

Questo è il romanzo sull’abbandono e la solitudine, sulla rassegnazione e la disperazione, sul riscatto e la rivincita.

Il perdono è la stella intorno alla quale roteano le vicissitudini raccontate dalla Recchia: il funerale di Lilia estetizza il perdono. Le ultime pagine galleggiano nell’aria per ore, giorni, e forse più.

La verità è che il perdono e la speranza sono fratelli gemelli.

 Fabrizio Giulimondi

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