“Il Bambino
invisibile” di Marcello Foa
(Piemme voci) è l’incredibile, drammatico e vero racconto di un bambino cileno
di sei anni che fra le mattutine frustate con le quali il nonno (assassino
della madre) lo sveglia, le pedate, gli schiaffi e i pugni, gli insulti, la
denutrizione, le umiliazioni, gli abusi sessuali e tentativi di stupro, il quotidiano
abbandono da parte di una famiglia, o meglio “non famiglia”, priva di qualsiasi
forma di affetto o sentimento, di umanità o di coscienza, giunge ad essere
adottato da una coppia di amorevoli e cristiani sposi milanesi.
Marcello Foa tramite un amico conoscerà il bambino
diventato ragazzo, Manuel Antonio Bragonzi: il giornalista-scrittore, attraverso una lunga e lenta opera maieutica,
riuscirà a far uscire dal cuore e dall’anima
di Manuel la tragica sua esperienza.
La storia che fatalmente turberà il lettore, si alterna
fra lo squallido villaggio di Sant’Elena - vicino Santiago del Cile - e il bosco circostante, ove Manuel vivrà da
solo come un animale per mesi, dovendosi ingegnare per la ricerca del cibo e di
un giaciglio. Manuel, come Robinson Crusoe o Mowgli, passa parte della sua giovanissima esistenza
come un selvaggio, senza che nessuno dei suoi “familiari” o “amici” si domandi
dove sia. Era invisibile quando dimorava in Sant’Elena, lo è nel bosco – foresta - giungla.
Il simbolo della ribellione della vittima contro l’autore di soprusi
inauditi e incomprensibili è un cavallo che si rivolta gagliardamente contro il
proprio fantino-aguzzino - che lo maltrattava continuamente, pretendendo da lui sempre più potenza e
velocità - scalciandolo per terra e
spaccandogli il cranio e il viso con gli zoccoli.
Ecco lo stato fisico di Manuel al momento in cui fu prelevato dai carabinieros e visitato dal medico: ”Il
corpo era segnato da decine di protuberanze rosse, alcune piccole e purulente,
altre grandi e squamose; mani e piedi erano tempestate di verruche, i capelli
di pulci e pidocchi; l’intestino risultò infestato da vermi. Aveva la scabbia e
la tigna capitis e così tante malattie infettive che il medico, visitandolo, si
spaventò”
Un pensiero va ad una coppia di miei antichi amici che hanno adottato un
bambino sudamericano dopo quasi cinque anni di “martirio”. La procedura imposta
dalla legge determina una feroce, lenta e ridicola burocrazia alle coppie,
tante, che desiderano effettuare una adozione internazionale, volendo dare
amore a fanciulli che versano in queste condizioni.
Invito gli
scienziati che hanno redatto la
normativa in questione a leggere questo
libro.
Fabrizio Giulimondi
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