“Questo mondo non esiste. E’ un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci”.
“Anna” di Niccolò Ammaniti (Einaudi) - che rompe con la produzione artistica precedente (primo fra tutti Come Dio comanda) - si comincia a leggere con nonchalant, per poi trovarsi avvinghiati, invischiati e avviluppati in un turbinio di emozioni, di angosce e dolori; in una intreccio indissolubile, armonioso come la tela di un ragno, di sentimenti, amicizia, amore e dolcezza, di tristezza, raccapriccio e disgusto; in una rete intricata e, talora, gelatinosa, di commozione da cui, come sabbie mobili, difficilmente si riesce ad emergere.
La narrazione di “Anna” è uno spazio metafisico dove vanno a confluire filoni letterari di vario genere, dalla fantascienza catastrofista, all’horror, all’avventuroso, all’adolescenzial-sentimentale.
Anna è una eroina di 13/14 anni - a cui non si può non volere bene – che, con il fratellino ed un cane maremmano, si dirige verso il Continente attraversando una Sicilia, potente nella sua bellezza, trasformata in un luogo spettrale, apocalittico, post atomico, nel quale un virus belga (che evoca quello dell’ebola nel film del 1995 di Wolfgang Petersen “Virus Letale” con Dustin Hoffman) ha eliminato ogni essere umano dalla età puberale in poi e, dal quale, solo i bambini sono immuni.
Ragazzini che, riuniti tribù, animalescamente brancolano spinti dalla pulsione vitale, luridi, con i denti marci, i volti deturpati e gli stomaci corrosi da cibo scaduto e putrefatto. I Grandi non esistono più e non v’è più elettricità, né elettronica e telematica: vivono in uno stato primordiale illuminato da una inarrestabile, primigenia ed impossibile a sopirsi necessità di amare se stessi e gli altri.
“Adesso capiva cosa era l’amore, quella cosa di cui si parlava tanto nei libri della mamma. L’amore sai cos’è solo quando te lo levano. L’amore è mancanza . “.
Fabrizio Giulimondi
Nessun commento:
Posta un commento