Meravigliarsi dinanzi al
visibile e all’invisibile. Sergio Cotta, il grande filosofo del diritto diceva
che tutto nasce da un primigenio atto di meraviglia, dallo stupore dinanzi alla
bellezza ed al mistero nascosto nel primo soffio di vita. Ma prima di tutto si
disvela il Mito, momento sorgivo e finale, di significazione e supporto alla
transizione umana. Marcello Veneziani
ci ha reso partecipi di potenti scritti in questi anni. Il pensiero corre a
“Vivere non basta. Lettere a Seneca sulla felicità”, a “Dio, Patria e Famiglia.
Dopo il declino” e a “Lettera agli italiani. Per quelli che vogliono farla
finita con questo paese”. Il giornalista filosofo non ha finito di
giganteggiare e si e ci proietta verso altre dimensioni, verso il sublime, verso
“Alla luce del mito. Guardare il mondo con altri occhi” (Marsilio Nodi).
Ho difficoltà, vera, sincera,
autentica difficoltà a rinchiudere in poche parole, in una manciata di locuzioni,
in tranci di frasi ciò che esprime questa novella opera di Veneziani in termini emozionali, interiori ed intellettivi. Veneziani esplode in mille immagini e
ci narra del Mito. Il Mito che si affaccia sull’esistenza umana per lasciare
tracce di sé nella letteratura, nella poesia, nella politica, nella religione.
Il Mito che invoca l’Umanità di porsi un limite per non “trasumanare” nella “post-umanità”,
dove v’è l’oblio del tecno-ego- annientamento.
Ogni parola nel saggio è
polifonica ed è nello stesso tempo poesia e letteratura e filosofia, perché
ogni espressione trae vitalità e significato dall’una e dall’altra arte. Tutto
il lavoro è pervaso da una energia creatrice gemmata da una scintilla geniale
che forgia le cadenze della scrittura e delle sue pause. V’è un prius, la nostalgia, forza iniziatica di
ogni atto intellettivo che nella bellezza ripone le proprie speranze e le
proprie attese. V’è un posterius, la poesia,
che congela quell’attimo di irripetibile “bello” proprio nel momento in cui sta
svanendo, per impedirne la putrefazione e farlo germogliare in ogni animo umano
nel perenne divenire del mondo.
Il Mito roccaforte inespugnabile
di un sempre più diffuso e sopravanzante nichilismo, fatto di laicismo che
trasforma Dio in Io e di fanatismo religioso che tutto muta in membra mutilate:
una metamorfosi in monstrum corporeo
e spirituale. L’uomo senza Mito, senza il
luccichio divino, privo di limiti frenanti, può eliminare se stesso involvendo
in un “post-umano”.
Le parole di Marcello irradiano l’uomo, innalzano ad sidera coeli i pensieri, rendono la
persona non una impaurita monade leibniziana in disperata cerca del “Nulla” per
riempire il proprio “Nulla”, ma un continuum
immortale fra passato e futuro lungo un intramontabile inno alla parte più
intimamente grandiosa di cui l’Umanità è composta e di cui si nutre.
Fabrizio Giulimondi
Grazie per la sua raffinata recensione.
RispondiEliminaHo apprezzato moltissimo.
Complimenti!