Al suo
secondo film come regista (il primo è stato l’altrettanto bello “Miele”,
successivo ad una esperienza con il corto “Armandino e il Madre”) la brava e di
lunga esperienza attrice Valeria Golino,
dopo l’eutanasia si cimenta in “Euforia”
con i rapporti intimi e tormentati fra familiari e, in particolare, fra
fratelli. Indubbiamente è un tema già molto sviscerato dal cinema italiano, ma
in quest’opera (che presumibilmente riceverà qualche premio) se ne avverte il
tocco femminile.
“Euforia” emotivamente complesso,
molto fisico, immerso nella cornice fascinosa del centro di Roma, segue una
tecnica cineastica perfetta e la fotografia, con la sua carrellata di immagini del
cielo romano percorso da gabbiani e fitti stormi di uccelli, i suoi tetti e le
sue terrazze, è estremamente suggestiva. Il sofisticato tratteggio descrittivo
degli ambienti interni e tutta la narrazione estetica evoca gli ultimi lavori e
capolavori di Paolo Sorrentino.
L’analisi
psicologica e caratteriale dei personaggi è oculata e emergono dal coro
attoriale (Isabella Ferrari, Jasmine
Trinca, Marzia Ubaldi, Valentina Cervi) due oramai impareggiabili interpreti,
Riccardo Scamarcio e Valerio Mastrandrea, che ricoprono il
ruolo di due fratelli (Matteo e Ettore) nel loro rincorrersi attraendosi e
respingendosi, respingendosi e attraendosi.
L’uso
dell’alcol, del sesso promiscuo omosessuale, del tabacco, della cocaina e la costante
fuga da sentimenti sinceri, solidi e stabili da parte di Matteo, non risolvono
ma aggravano il dolore per il dramma presente e il “non detto” e l’imponderabile
passato. A fronte del dinamismo di Matteo v’è la scultorea, tragica solitudine
di Ettore, afflitto da molti sentimenti contrastanti fra di loro, incapace di
esternarli alla moglie, al figlio e alle antiche ed attuali “fiamme”. Inutile, sfuggente
quanto superficiale la ricerca del miracolo attraverso una improvvisata ricerca
di spiritualità e del sacro durante un subitaneo e improvvido viaggio a Medjiugorje.
Le evocazioni di affetti più profondi appaiono come tenui braci sotto una densa
coltre di cenere, tranne quella dei fratelli, che cresce sempre più
prepotentemente lungo tutto lo sviluppo della storia per sciogliersi in un
abbraccio finale.
Fabrizio Giulimondi
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