Anche
chi non vi crede ne prova terrore, un terrore ancestrale che compare quando i
discorsi razionali si dissipano con il calare del buio e l'illuminismo viene
sostituito da una voce cavernosa che proviene dagli inferi.
Nel
1971 cambiò radicalmente il genere horror nella sua gamba letteraria: irruppe
nelle librerie "The exorcist" di William Peter Blatty.
Ogni
spazio cartaceo è terrifico. Una paura intima ed interiore si mischia ad
atmosfere che il tempo non cancella. Definire quest'opera semplice horror,
però, è sicuramente riduttivo: è ricerca teologica, spirituale, metafisica, psichica,
escatologica; è immersione negli abissi dell'animo umano e introiezione in
dimensioni che esistono ma il raziocinio ne rifiuta la presenza.
L'altra
gamba del genere horror, il cinema, mutò con l'arrivo sul Grande Schermo della
versione cinematografica, realizzazione fedele del libro ad opera di William
Friedkin. La demonologia scosse la cinematografia e "L'esorcista"
divenne il sommo cantore del filone demoniaco.
La
pellicola di Friedkin non fa paura: la invera, la incarna, la rende autentica.
Il
film "L'esorcista" è il cult dei cult e la recitazione, il recitativo
e l'ambientazione hanno devastato intere generazioni.
L'adattamento
teatrale compiuto nel febbraio del 2008 da John
Pielmeier è ben orchestrato ed intrigante ma non può certo reggere al confronto.
Il
tentativo del regista Alberto Ferrari
è coraggioso ed interessante e, nel riprendere la piece teatrale costruita da Pielmeier,
espunge fatalmente ampie porzioni della storia raccontata nel film e, di
conseguenza, nel romanzo; alcune figure non secondarie come il detective e la
baby sitter vengono stralciate; dialoghi sono aggiunti unitamente a nuovi contenuti
che, integrando la trama, per certi aspetti la rafforzano rimpolpandone la
narrazione.
Il
buio, gli effetti scenici, le luci laser e strobo, il trucco che rende
orripilante il viso della posseduta, il letto che si muove e la lievitazione
della bambina, possono raggiungere l'effetto voluto. Lo spettatore non si
spiega come l'interprete di Regan (la bambina indemoniata), la brava Claudia Campolongo, possa far
fuoriuscire dalla sua gola una voce tanto inumana, ultraterrena, roca, terrificante.
Viola Graziosi, nei
panni della madre di Regan, non può reggere il confronto con l'attrice Ellen
Burstyn - nel film del 1973 nelle vesti di Chris Macneil -, che rese possente
il travaglio e l'angoscia di una madre miscredente e con i piedi ben piantati
nella vita reale che vede la figlia trasformarsi in altro.
La
perdita della fede di padre Karras (Andrea
Carli, uno degli attori migliori dello spettacolo) e il suo riavvicinamento
ad essa compulsato dal Male che gli appare in tutta la sua autenticità e
purezza dinanzi agli occhi, è ben espresso durante un "confronto" fra
il sacerdote e il demonio.
Gli
stacchi pianistici (di Ben Sprecher Stuart Snyder) fra
una scena e l'altra alleggeriscono erroneamente la tensione che, invero,
dovrebbe rimanere alta, densa, fitta e cupa come nella versione cinematografica
e, prima ancora, nel romanzo. Il famosissimo brano di Mike Oldfield tratto
dall'album "Tabular bells", inquietante, strisciante, saluta il
pubblico e gli ricorda che quella notte non dormirà serenamente.
Teologicamente
molto suggestiva la spiegazione della possessione di una persona da parte
dell'esorcista padre Merrin (Gianni Garko):
è un inganno del diavolo per far credere agli uomini che egli si manifesta
soltanto nel corpo di una non ancora adolescente dal viso mostruoso e un corpo
devastato immerso in diarrea e vomito; il demonio si vuole palesare solo come
un essere mostruoso, abominevole, osceno, non come chi sta a fianco di volti
gradevoli e dietro parole che affabulano l'uomo su una vita di pura materia. Il
diavolo non è solo occhi malefici ma potrebbe celarsi dietro ad idee neo e
falso umanistiche.
E ora
che l'esorcismo abbia inizio.
Fabrizio Giulimondi
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