sabato 30 novembre 2019

"KAPUTT MUNDI" di BEN PASTOR


Kaputt mundi
Il Titolo non è un orpello ma il presagio di una storia, la luce albeggiante di un racconto, l’indicazione di un percorso di idee ed emozioni.  Mai un titolo tratteggia così efficacemente l’intelaiatura di un romanzo come “Kaputt Mundi” (Sellerio editore).
Lucano chiamò Roma Caput Mundi. Ben Pastor giocherella con le parole e le sonorità e impiastricciando sulla tela idiomi germanici, etimi francesi e accostamenti latini, cambiando la semantica, cancella il sintagma Caput Mundi, Roma come centro gravitazionale culturale, sociale e civile del globo, per partorire Kaputt Mundi, nel significato metaforico e realistico di disfatta del pianeta, sconfitta brutale e irrimediabile del suo magnificente baricentro, Roma, alchemica al pari della locuzione latina caput mortuum.
Il vorticoso turbine narrativo ha il suo epicentro nei giorni di via Rasella e della strage delle Fosse ardeatine, fra il 23 e il 24 marzo 1944, in una Città aperta ma nello stesso tempo catacombale, crepuscolare, asfittica, claustrofobica. L’occupazione nazista è al suo termine e la repressione si fa sempre più brutale. Un delitto “comune” impilato su altri delitti bellici. Che senso ha trovare l’assassino?
Il racconto percorre un binario senza contorni marcati, altalenante fra storia, fantapolitica e giallo, nel cui divenire i personaggi sembrano provenire dall’epica omerica e confondersi nella possente scenografia romana: “Dum stat Colosseum, stat Roma. Dum stat Roma, stat mundus”.
Roma è i suoi attori protagonisti e non protagonisti. Roma è le sue comparse, che invero lo sono soltanto per gli stolti.
Roma teatro e anfiteatro, proscenio e dietro le quinte.
La Roma fascista, nazista e della resistenza. Roma puttana prima innamorata del fascismo, poi genuflessa alla Croce Uncinata e, infine, vindice e finalmente libera, fra veri e falsi partigiani, tutti fascisti, tutti antifascisti.
Roma trama, scenografia, sceneggiatura, soggetto e oggetto: “Questo pensare a Roma come la Gerusalemme terrena, come Eden del mondo, portale di grandezza e infamia, sede dell’anticristo neroniano nell’Apocalisse di San Giovanni come pure centro del cattolicesimo, ne rende gli eventi emblematici, ammonitori paradigmatici, universali”.
L’esercito romano conquistò la Grecia facendosi conquistare ineluttabilmente dalla sua cultura.
Pastor si interroga non sul popolo invaso e martoriato ma su chi lo trafigge. Cosa sente il milite romano fuori dall’Urbs che, nell’imporre con la violenza la sua presenza, viene soggiogato dal popolo che vuole soggiogare? I personaggi di Kaputt Mundi non sono a tutto tondo, ma smussati, incerti, ondivaghi, come l’essere umano nella sua autenticità: non prevale né il nero o bianco ma il grigio. Le tinte dei partigiani sono in chiaro scuro come alcune sculture marmoree non completate o appena iniziate, prestando attenzione l’Autore a coloro fra di loro che vendeva gli ebrei alle belve in camicia bruna.  La prostituta nella sua istrionica romanità si manifesta ai lettori meno ipocrita e supponente di certi novelli eroi dell’ultima ora. Tra i fascisti vi sono traditori e criminali ma anche quelli che incedono in maniera risoluta incontro al linciaggio perché nulla pensano di dover temere.
Nella coralità prevale l’individualità, priva di manichea demarcazione fra Bene e Male: solo esseri umani - salvo dove l’Umanità non v’è - tutti accomunati dalle proprie miserie e dalla disperata voglia di vivere, circondati e succubi della distruzione materiale e morale. A giganteggiare sono due figure: l’ufficiale della Wehrmacht Bora e l’ispettore della polizia italiana Guidi. Il tedesco è un uomo tutto d’un pezzo, un soldato, non un boia, non uno psicopatico aguzzino come quelli della Gestapo o delle SS. Guidi è un poliziotto oculato e opaco che indaga senza compromessi e senza accettare condizionamenti, sprezzante anche nei confronti del laido questore colluso Caruso. Guidi è un programma in bianco e nero, fermo in mezzo, incerto se guadare e in che direzione farlo. Guidi è speculare e inverso a Bora e, forse, per questo non sa se odiarlo o adularlo: chissà se Guidi avrebbe fatto a Bora ciò che Bora fa a lui.  Bora ha una fede, religiosa, politica. Bora è sofferenza, autocontrollo e incrollabile senso del dovere. Bora è bisogno di amore imperituro e figli, perché l’uomo senza radici galleggia nel vuoto. La weltanschauung dell’ufficiale dell’annientato Reich è granitica anche nell’apice della tragicità, mai cede all’incertezza. Guidi è un poliziotto di un regime che sta crollando e che si sta dispiegando verso l’ignoto. Il dubbio è shakespeariano: essere o non essere un partigiano e, se sì, essere come quelli che gli spianano la pistola al pari dei nazisti mentre è in attesa di calarsi nell’oscurità delle cave sulla via Ardeatina?  In realtà, tranne Bora e i criminali nazisti che gli gironzolano affianco, i profili caratteriali ed intimistici sono sfocati come se Ben Pastor li costruisse con stille impressionista, con decisi colpetti di pennello, fraseggi psicologici e introspettivi come chiazze di colore vivido che compongono personalità visibili solo da lontano.
Bora è la cultura e la civiltà europea, la filosofia e il Pensiero che non riesce a piegarsi alla pratica quotidiana dell’Orrore. Una storia bimillenaria che si invera nel cardinal Hohmann che vede nei 335 massacrati il vero volto del nazionalsocialismo e non quello che pensava fosse ai suoi albori.
L’umanesimo e il classicismo non muoiono con Hohmann ma figliano nell’animo e nell’intelletto di Bora alla cui ombra vive Guidi: “Era appropriato, pensò Guidi, che quell’ufficiale della Wehrmacht avesse delle cicatrici sul corpo, perché non era da meno nel suo intimo”.
Fabrizio Giulimondi

2 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  2. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina