"L'ufficiale e la spia" del regista
(di cui non bisogna dimenticare le condanne ed i procedimenti penali per
stupro, anche di minorenni) Roman
Polanski ripercorre dal 1894 in poi il prima, il durante e il dopo dell'"Affaire Dreyfus", l'alto in grado francese
ebreo ingiustamente coinvolto, arrestato, condannato e condotto nell'Isola del
Diavolo per intelligenza con i tedeschi: la sua reale colpa per i suoi carogneschi
accusatori, invece, è solo l'appartenenza alla stirpe di Davide.
Il
film è elegante, sobrio, sincero, schivo, paludato e immerso nei raffinati
arredamenti di fine ottocento, in cui il patriottismo è macchiato dall'onta
dell'odio antisemita che, come tutti gli odi, non guarda l'evidenza delle prove
dell'innocenza di Dreyfus.
Intriga
il lato introspettivo e dicotomico dell'essere umano che può diffidare di un
altro essere umano per il suo legame ad una fede diversa e combattere nello
stesso tempo, a rischio della propria vita, affinché l'innocenza di questi venga
proclamata. L'uomo è un unicum composto da tanti se stessi solo apparentemente
in contrasto fra di loro e che si ricompongono armonicamente per la forza dell'intelletto
e le incessanti pulsioni cardiache.
"L'ufficiale e la spia" è lotta impari
d'armi senza armi, combattimento fra onore vero e viltà vestita di onore,
potenza della letteratura che possiede il coraggio di proclamare il vero a
masse acefale dotate di occhi vitrei, insufflate a dovere perché l'ovvio non
sia scorto. Il J'Accuse del 13
gennaio 1898 di Émile Zola è
un "Urlo di Munch" in forma letteraria avverso chi ben sa che Dreyfus
è un autentico patriota, che poi e poi mai tradirebbe la propria Patria,
ingannata e vilipesa, invero, proprio dai suoi infami e ben consci accusatori.
I toni garbati del film e i dialoghi soffici
nulla tolgono alla durezza del tema e il dipanarsi della trama è come un
laghetto apparentemente placido la cui superficie nasconde profonde correnti
vorticose e gelide.
Fabrizio
Giulimondi
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