lunedì 11 marzo 2024

"CARACAS" di MARCO D'AMORE

 








Una Napoli alchemica, una Napoli sotterranea, una Napoli misterica, una Napoli tormentata, una Napoli fra fasti e degrado, fra nazi-fascismo e islamismo, una Napoli onirica: questa è l’opera di Marco D’Amore,Caracas”, con un sempiterno straordinario Toni Servillo e lo stesso regista che riveste anche i panni di attore co-protagonista, pur se non riesce ad abbandonare il ruolo di Ciro nella serie televisiva “Gomorra”.

Le tinte rosso plumbee accompagnano una fotografia incantevole (Stefano Meloni) lungo molteplici storie poggianti sulle immaginifiche creazioni intellettuali di un venerato scrittore partenopeo, Giordano Fonte (interpretato da Toni Servillo), che, fra realtà e proiezioni della mente, ritorna in una Napoli irriconoscibile, nella quale Caracas (Marco D’Amore) si sbatte nella ricerca disperata di una verità, di una certezza, che sia il Duce o Allah, l’amore o l’amicizia.

La pellicola traccia molte narrazioni, quante sono quelle vaneggiate da Fonte e quelle ricostruite dallo spettatore, che si imbatte nella densità dell’arpeggio recitativo di Servillo, nella pungente musicalità dialettale di D’Amore e nella tragica fisicità e mimica della sua donna tossica, Yasmina (Lina Camelia Lumbroso).

L’attenzione dello spettatore deve punteggiare ogni scena girata: la distrazione rimuove la poeticità artistica dell’ambientazione e delle sue multiformi atmosfere.

Fabrizio Giulimondi


martedì 5 marzo 2024

"LA ZONA D'INTERESSE" di JONATHAN GLAZER : PREMIO OSCAR 2024 COME "MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE"

 


Forse la traduzione del titolo del film di Jonathan Glazer non è corretta: “La zona d’interesse” è lo “spazio vitale” di cui, secondo la demoniaca mente di Hitler, necessitavano le popolazioni germaniche nei territori dell’Est europeo.

L’opera ha una sceneggiatura (Jonathan Glazer e Martin Amis) ed una fotografia (Lukasz Zal) fuori dal comune, mentre la trama racconta quanto sia banale il Male, volendolo dire con la Arendt.

Rudolf Höß (Christian Friedel) è un padre premuroso e un marito attento e gentile, cortese con i propri collaboratori e sottoposti. Rudolf Höß è stato il comandante del più terrificante campo di sterminio nazista: Auschwitz.

Un lavoro cinematografico veramente particolare, nel quale il set principale è la villa con giardino dove vivono Höß e la sua famiglia, a pochi metri dal muro di cinta del campo.

L’orrore è indiretto, di rimando, visibile e invisibile, avvertito in chiave quasi subliminale dalla costante colonna sonora cadenzata dagli spari delle esecuzioni e dalle urla soffocate dei martirizzati, oltre dalla onnipresente cenere che regna ovunque

I primi piani delle splendide corolle dei fiori contrastano con le chiazze rosse accese dilaganti come simboliche macchie vermiglie di sangue, che si estendono con il dilagare del genocidio.

L’annientamento è sotto gli occhi di tutti, non solo di una sparuta truppa di SS, ma di centinaia di migliaia di soldati, civili e lavoratori con ruoli amministrativi.

La serena quotidianità e l’Inferno oltre il muro, ossia l’allegoria del presente.

Bellezza e orrore: la capacità del Regista di far percepire e far vivere quest’ultimo senza alcun segno di violenza.

Il finale è geniale e rimetto valutazioni ed interpretazioni agli spettatori, nell’auspicio che almeno una nomination all’Oscar vada in porto.

Fabrizio Giulimondi


                            


domenica 3 marzo 2024

“SOUND OF FREEDOM - IL CANTO DELLA LIBERTÀ” di ALEJANDRO MONTEVERDE

 


Sound of freedom - Il canto della libertà” del messicano Alejandro Monteverde, entra nell’antro oscuro del commercio di bambini per scopi sessuali. Il film è del 2018 ma stranamente è uscito nelle sale italiane solo da poche settimane. Son certo che se la trattazione del tema mostruoso della pedofila fosse stata legata alla Chiesa cattolica il lancio pubblicitario sarebbe stato fatto in pompa magna e su larga scala, coinvolgendo per settimane centinaia di sale cinematografiche e non poche unità, per pochissimo tempo e in poche grandi città. Lo sviluppo narrativo è basato su una storia vera, con richiami documentaristici alle immagini di quanto realmente accaduto, mettendo in risalto i legami dello sfruttamento sessale dei fanciulli -  anche di soli 6 anni- con gli ambienti dominati da ricchi magnati americani (evocando l’affaire Assange, Hillary Clinton e Weinstein).

La pellicola è dura ma non esagera nella brutalità delle scene che rimangono, pur particolarmente intense, sempre sulla soglia. L’interpretazione dei due fratellini honduregni Rocio e Miguel, brutalizzati dalla malvagità di individui senza alcun limite umano, è fuori dal comune. Lo sguardo della bambina nel rivedere il padre in ospedale, mentre gli accarezza il volto ancora incredula di poterlo rivedere insieme a Miguel (anch’egli finito nello stesso girone dantesco), penetra nell’anima dello spettatore per rimanervi a lungo.

È un lavoro sulla nobiltà d’animo ed il coraggio (inverati dall’agente dell’FBI Tim Ballard) e sulla quinta essenza del Male, quello con la M maiuscola, che da anni si vuole attribuire soltanto al mondo ecclesiastico, per nascondere le sue vere radici ove vive, prolifera ed imperversa: l’alta finanza e quegli stessi ambienti politici a stelle strisce che hanno come impegno primario, secondario e terziario la illimitata liberalizzazione di qualsiasi costume sessuale, comportamentale ed esistenziale, incluso l’amore transgenerazionale: indovinate che cos’è?

Fabrizio Giulimondi   


                    


lunedì 19 febbraio 2024

MARCELLO VENEZIANI: "L’AMORE NECESSARIO. LA FORZA CHE MUOVE IL MONDO” (MARSILIO NODI)

 


L’amore libero passa, soggetto alle labili volizioni della vita; l’amore necessario resta perché investe l’Essere e non il volere”.

Stiamo entrando nell’era del Non-Essere, nel quale soggetti liquidi galleggiano in un eterno presente, immersi dentro una cultura mortifera in continua autodeterminazione di se stessi, senza vincoli, limiti e freni, in seno ad una a-civiltà priva di orizzonti, patrie o religioni, perché ogni limite, vincolo, freno o orizzonte è un grave affronto all’uomo sradicato da se stesso, senza eredità biologica, controllato nell’uso della parola e calato in un ambiente ecologico privo di Natura. La Natura autentica è bandita, solo l’artificiale espansione dei propri desideri contano per l’uomo senza passato né futuro.

Simone Weil affermava che “pensare è un atto eroico”. Probabilmente l’ultima fatica letteraria di Marcello Veneziani, “L’amore necessario. La forza che muove il mondo” (Marsilio nodi), si pone entro questa energia intellettiva: Veneziani - prima con “Dispera bene”, “La cappa” e “Scontenti”, poi con “L’amore necessario” - compie lungo il tracciato del suo almanaccare ed argomentare una serie cospicua di atti eroici, forse epici.

Da quando l’essere umano è comparso sulla Terra e da quando ha vergato i primi segni sulle pareti delle caverne si è posto dinanzi al sentimento più misterioso, potente e non descrivibile: l’amore. L’amore è stato atto creativo e sarà l’ultimo segno alla fine dei giorni.

La storia dell’uomo è storia di amore, della sua degenerazione, l’odio, e del suo opposto, l’apatia e l’accidia.

L’Autore si intrattiene sull’amore nell’epoca del disamore globale: “L’epoca del disamore è l’epoca del disdio, il Dio disdetto, ancor prima che negato e confutato”.

L’amore è un dialogo con se stessi, con l’altro, con il mondo, con la Divinità, con la verità, l’amore è amor fati, abbandono ad un destino, necessità del passato e proiezione nel futuro: “Quel che precede la nostra libertà e la nostra volontà si chiama natura, identità, origine, destino”.

Una corrente metafisica scorre lungo la schiena del lettore per scuoterne l’anima, l’intelletto e il cuore mentre legge pagine memorabili sulla Patria, l’affetto materno, paterno e filiale e sulla vecchiaia: “Quanti vecchi come lui sognano di tornare a casa, di fuggire dagli ospizi variamente denominati….per riprendere il flusso amorevole della vita, e magari concludere la loro esistenza  non in un posto separato, asettico, privo  di ricordi e di odori nostrani, ma là dove hanno vissuto, patito, gioito, faticato, amato”.

Il pensiero non è sospinto solo da una brezza invisibile ma può possedere anche una sua corporeità, una sua fisicità, quando è talmente denso, profondo, colto ed erudito da essere percepito dai sensi, quasi che le dita possano sfiorarlo, le narici sentirne l’odore e gli occhi vederne le fattezze reali.

L’uomo, specie quello occidentale, sta percorrendo il moto ondoso all’incontrario, nella direzione inversa al suo naturale propagarsi, procedendo nella direttrice opposta alla “amorizzazione” originata da Dio.

Tutto ciò che è reale non esiste, divenendo esistente ciò che non esiste solo perché percepito come esistente: “Viviamo una guerra di liberazione permanente e globale dalla natura, dalla storia, dai limiti, dal corpo e da tutto ciò che ci fu assegnato dalla sorte, e dunque non deciso, non voluto da noi”.

Non esiste la “cosalità” ma solo la percezione dell’”Oltre il limite”, che diviene l’unica realtà ammissibile.

Chi oppone ed eccepisce ancore naturali assume la natura dell’homo neanderthalensis. La vera civiltà è nella sua negazione, il Non-Essere appunto, negazione dell’Essere.

L’amore come archetipo primigenio e come scopo finale è negato. Non v’è amor fati, né amor Dei, né null’altro, solo l’eterno e solipsico reinventarsi senza costrutto. Conta solo ciò che desidero e la sola legge è il mio desiderio e se la scienza lo rende tecnicamente realizzabile questo muta in diritto imperativo e categorico. Desidero, quindi sono: è il tempo di Cartesio rivisitato e corretto.

Il pensiero si fa parola, poesia, letteratura e neologismo, poi sentimento ed emozione ancestrale ed alchemica: “La patria, la religione e la famiglia sono confini che non solo delimitano la nostra vita rispetto al mondo esterno, ma sono argini al nostro egoismo che limitano il nostro individualismo, la nostra volontà particolare”.

 

 Fabrizio Giulimondi

 

 

domenica 18 febbraio 2024

“L’AMORE NECESSARIO. LA FORZA CHE MUOVE IL MONDO" di MARCELLO VENEZIANI (MARSILIO NODI)



L’amore libero passa, soggetto alle labili volizioni della vita; l’amore necessario resta perché investe l’Essere e non il volere”.

Stiamo entrando nell’era del Non-Essere, nel quale soggetti liquidi galleggiano in un eterno presente, immersi dentro una cultura mortifera in continua autodeterminazione di se stessi, senza vincoli, limiti e freni, in seno ad una a-civiltà priva di orizzonti, patrie o religioni, perché ogni limite, vincolo, freno o orizzonte è un grave affronto all’uomo sradicato da se stesso, senza eredità biologica, controllato nell’uso della parola e calato in un ambiente ecologico privo di Natura. La Natura autentica è bandita, solo l’artificiale espansione dei propri desideri contano per l’uomo senza passato né futuro.

Simone Weil affermava che “pensare è un atto eroico”. Probabilmente l’ultima fatica letteraria di Marcello Veneziani, “L’amore necessario. La forza che muove il mondo” (Marsilio nodi), si pone entro questa energia intellettiva: Veneziani - prima con “Dispera bene”, “La cappa” e “Scontenti”, poi con “L’amore necessario” - compie lungo il tracciato del suo almanaccare ed argomentare una serie cospicua di atti eroici, forse epici.

Da quando l’essere umano è comparso sulla Terra e da quando ha vergato i primi segni sulle pareti delle caverne si è posto dinanzi al sentimento più misterioso, potente e non descrivibile: l’amore. L’amore è stato atto creativo e sarà l’ultimo segno alla fine dei giorni.

La storia dell’uomo è storia di amore, della sua degenerazione, l’odio, e del suo opposto, l’apatia e l’accidia.

L’Autore si intrattiene sull’amore nell’epoca del disamore globale: “L’epoca del disamore è l’epoca del disdio, il Dio disdetto, ancor prima che negato e confutato”.

L’amore è un dialogo con se stessi, con l’altro, con il mondo, con la Divinità, con la verità, l’amore è amor fati, abbandono ad un destino, necessità del passato e proiezione nel futuro: “Quel che precede la nostra libertà e la nostra volontà si chiama natura, identità, origine, destino”.

Una corrente metafisica scorre lungo la schiena del lettore per scuoterne l’anima, l’intelletto e il cuore mentre legge pagine memorabili sulla Patria, l’affetto materno, paterno e filiale e sulla vecchiaia: “Quanti vecchi come lui sognano di tornare a casa, di fuggire dagli ospizi variamente denominati….per riprendere il flusso amorevole della vita, e magari concludere la loro esistenza  non in un posto separato, asettico, privo  di ricordi e di odori nostrani, ma là dove hanno vissuto, patito, gioito, faticato, amato”.

Il pensiero non è sospinto solo da una brezza invisibile ma può possedere anche una sua corporeità, una sua fisicità, quando è talmente denso, profondo, colto ed erudito da essere percepito dai sensi, quasi che le dita possano sfiorarlo, le narici sentirne l’odore e gli occhi vederne le fattezze reali.

L’uomo, specie quello occidentale, sta percorrendo il moto ondoso all’incontrario, nella direzione inversa al suo naturale propagarsi, procedendo nella direttrice opposta alla “amorizzazione” originata da Dio.

Tutto ciò che è reale non esiste, divenendo esistente ciò che non esiste solo perché percepito come esistente: “Viviamo una guerra di liberazione permanente e globale dalla natura, dalla storia, dai limiti, dal corpo e da tutto ciò che ci fu assegnato dalla sorte, e dunque non deciso, non voluto da noi”.

Non esiste la “cosalità” ma solo la percezione dell’”Oltre il limite”, che diviene l’unica realtà ammissibile.

Chi oppone ed eccepisce ancore naturali assume la natura dell’homo neanderthalensis. La vera civiltà è nella sua negazione, il Non-Essere appunto, negazione dell’Essere.

L’amore come archetipo primigenio e come scopo finale è negato. Non v’è amor fati, né amor Dei, né null’altro, solo l’eterno e solipsico reinventarsi senza costrutto. Conta solo ciò che desidero e la sola legge è il mio desiderio e se la scienza lo rende tecnicamente realizzabile questo muta in diritto imperativo e categorico. Desidero, quindi sono: è il tempo di Cartesio rivisitato e corretto.

Il pensiero si fa parola, poesia, letteratura e neologismo, poi sentimento ed emozione ancestrale ed alchemica: “La patria, la religione e la famiglia sono confini che non solo delimitano la nostra vita rispetto al mondo esterno, ma sono argini al nostro egoismo che limitano il nostro individualismo, la nostra volontà particolare”.

 

Fabrizio Giulimondi

 


sabato 17 febbraio 2024

“THE HOLDOVERS - LEZIONI DI VITA” di ALEXANDER PAYNE: PREMIO OSCAR 2024 COME “MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA” (DA’VINE JOY RANDOLPH)

 


The Holdovers - Lezioni di vita” di Alexander Payne, vincitore di due Golden Globe e del Premio Oscar 2024 come “Miglior Attrice Non Protagonista” (Da’Vine Joy Randolph), è un film morbido ed intenso, profondo e acuto. Gli ambienti lignei e le atmosfere sabaude della prestigiosa high school americana Burton ricordano quelli di “Scent of woman” e dell’”Attimo fuggente”, anche se, a differenza di quest’ultimo, il protagonista (Paul Giamatti) non ricopre affatto il ruolo del professore fuori le righe, antesignano di un modello educativo che cozza con le metodologie tradizionali della scuola dove insegna, non è certamente un Monna Lisa Smile in pantaloni, ma un parruccone antipatico ai colleghi e agli studenti. Nel Natale innevato lungo il crepuscolo del 1970, in pieno conflitto del Vietnam, la solitudine di sette holdovers (cinque studenti rimasti sventuratamente a scuola, una capo cuoca obesa e che ha perso il figlio in guerra e il famigerato docente) porterà ad un cambiamento, specie quando a rimanere solo con l’insegnante è Angus, interpretato dal bravissimo Domenic Sessa.

La storia serve per costruire il presente scrutandolo con una diversa lente di ingrandimento. Gli incontri servono per scoprire l’altro, per rendersi conto che il destinatario del proprio disprezzo non lo si conosceva affatto, nascendo il disprezzo proprio dalla sconoscenza della persona.

È una pellicola incantevole sulla solitudine che conduce le persone ad allontanarsi le une dalle altre per giungere ad odiarsi e sulle relazioni, che invece disvelano l’altro mostrandolo in un’altra luce che ne innova la fisionomia interiore.

Nel silenzio soffice della neve che immerge i personaggi in un particolare lucore, il loro “rinnovamento” sarà fatale.

 

Fabrizio Giulimondi






domenica 11 febbraio 2024

"CUORE NERO" di SILVIA AVALLONE (RIZZOLI)

 


Nessuno vuole il male vicino perché ha paura di contaminarsi”.

Quando si ha difficoltà a scrivere una recensione vuole dire che il libro ti è entrato dentro con una tale moltitudine di emozioni da non riuscire a trovare ordine nelle parole: queste ti attanagliano vorticando intorno a te in un turbinio di sentimenti.

Cuore nero” di Silvia Avallone (Rizzoli) non avrà pietà di voi e vi lascerà soli, travolti da stati d’animo come un torrente irascibile in piena.

Il passato non passa perché cancella il presente e risucchia il futuro. Presente e futuro sono sotto la coltre degli abiti cenciosi e maleodoranti del passato.

La sofferenza dei protagonisti è quella del lettore che opera un processo di metamorfosi in Bruno, Emilia e Riccardo attraverso uno stile letterario pungentemente delicato, addirittura morbido.

Cuore Nero” racconta il dolore, quello vero, quello tragico, quello che necessita di tagli in ogni parte del corpo per ridimensionarne gli effetti. Il dolore senza orizzonti per una finta fatalità, per una malattia mortale e per un crimine orrendo, devasta, destruttura, decompone, divide, cancella, annienta, ma può anche rigenerare ed unire, perché è famiglia anche quando c’è un padre che lotta per la figlia detenuta in un penitenziario minorile, avvertendo accanto la presenza della moglie, perché una mamma non muore mai e l’amore di un padre non conosce limiti: “Una famiglia è una fune, Adelaide. Un cavo d’acciaio che ti tiene, qualunque cosa accada”. Un padre che ricorda eroi mitologici greci. La mancanza di una madre che inverte l’incedere del tempo. Un fratello e una sorella che vedono languire le proprie esistenze nell’attimo in cui scompaiono dalla loro visuale i genitori. “La vita non chiede permesso, non si lascia programmare. Anzi, adora prenderti per il culo”.

Senza una famiglia si precipita nel buio. Fuggire da se stessi conduce alla propria cancellazione. Occorre riconoscere le proprie colpe, anche se terribili, non fuggire più da loro. Riccardo non è mai fuggito, si è caricato sulle spalle il pesante fardello della figlia e, a testa alta, ha cercato di aiutarla a scrollarsi di dosso i macigni che le zavorrano il futuro: “Fatte non foste a viver come brute”.

Lo Stato dovrebbe intervenire prima, quando una ragazzina è abusata e una moglie massacrata. Dopo potrebbe essere tardi per troppi: “ ‘E perché’ le aveva risposto la maschera occhialuta, grigio-imperturbabile della burocrazia, ‘che vita normale pretendi?’ ”.

Bruno è lo Stato. La direttrice del carcere è lo Stato. La cura degli altri e la passione per i classici consentono il superamento delle Colonne d’Ercole non solo altrui, ma anche proprie: “La verità è che né tu, né io, né nessuno è mai veramente fottuto finché è vivo”.

Bruno ed Emilia compiono un cammino a ritroso per ritrovarsi, perdonare e perdonarsi, consegnando il proprio dramma alle parole che lo assorbono togliendogli la patina del silenzio.

Questo romanzo, accompagnando l’anima dall’abisso all’alba, risulta essere di una bellezza struggente, che disvela lo scarno confine fra Bene e Male e quanto le persone debbano perdonarsi e perdonare, conoscere e riconoscersi, per tornare a scrutare la vita con occhi chiari.

Sui desideri non abbiamo potere, dobbiamo solo trovare il coraggio di ascoltarli”.

Fabrizio Giulimondi