mercoledì 27 settembre 2017

"PATRIA" DI FERNANDO ARAMBURU (UGO GUANDA EDITORE): VINCITORE DEL PREMIO STREGA EUROPEO 2018


Gli Scrittori ispanici sono decisamente di grande valenza e il basco Fernando Aramburu conferma questa tradizione letteraria con una concatenazione di libri che hanno conquistato un sempre maggior pubblico.
La sua ultima fatica, “Patria” (Ugo Guanda Editore) -  Premio Strega Europeo 2018, Premio della Critica 2017 -  è uno di quei romanzi che lascia il segno nell’intelletto e nell’anima di chi ha avuto la fortuna di assaporarne la narrazione, il contenuto, lo stile.
“Patria” è la Terra dei Padri. Parola magica, di significato anche sacrale, che, però, può essere lordata di sangue, molto sangue.
“Patria” racconta, attraverso due famiglie, del terrorismo basco e dell’ETA con la sue strategie di morte.
E’ proprio la famiglia, anzi, le famiglie, al centro della lunga e avviluppante trama, non la guerriglia in sé e per sé. Forse neanche la famiglia, anzi, le famiglie, costituiscono il baricentro della storia ma i loro singoli componenti. Le donne, gli uomini, i membri di quella, anzi, di quelle famiglie, sono i veri, incontrastati, autentici protagonisti di una storia disseminata di sviscerata e vivisezionata umanità. Ogni capitolo entra nelle famiglie, famiglie mai evocate per cognome ma soltanto tramite i nomi di battesimo dei suoi appartenenti: in ogni capitolo il lettore è accompagnato a conoscere con tattica delicatezza proprio i membri dei due nuclei familiari.
Due famiglie speculari e amiche che l’odio ideologico rende l’una passivamente vittima del virulento e incomprensibile odio materno e filiale dell’altra.
Due donne, piccole, provinciali, orgogliose, impettite, anche se una delle due paleserà una ben più miserabile piccolezza, provincialità e orgoglio dell’altra, una cupa e becera carognaggine di cui l’antica amica è priva.
Due mariti, da sempre legati, uno ammazzato dal figlio dell’altro: la viltà domina sull’amicizia anche se quest’ultima avrà l’ultima parola.
Ragazzi, ragazze, figli e figlie di quelle famiglie improvvisamente contrapposte nonostante siano amiche: nemiche per necessità, nemiche per costrizione.
L’odio tutto permea, tutto annerisce, tutto inacidisce, tutto cancella. L’odio, però, è dimentico che la spinta distruttiva che dentro di sè riposa conduce fatalmente il rancore alla propria autodemolizione, sospingendo le persone al perdono.
Ogni accadimento è visto dai diversi angoli prospettici degli attori che al suo interno si muovono, agiscono ed interagiscono. Ogni fatto è diversamente narrato a seconda di chi lo vive.  Ogni trancio di vita ha una diversa lettura a seconda di chi lo racconta. Il punto di fuga di una esperienza non è soltanto uno ma molteplici, quanti sono i satelliti umani che roteano intorno ad essa.
Parlare di analisi introspettiva dei personaggi è riduttivo perché Aramburu li fa “possedere” direttamente dal lettore che se li vede costruire dinnanzi rigo in rigo, pagina in pagina, sino ad un sfuggente abbraccio nel tramonto dell’opera.
Questo libro è un atto di amore per quei troppi volti di esseri umani consegnati all’oblio perché spagnoli e baschi avversi alla brutale violenza dell’ETA. E’ un volume che disvela l’oceanico dolore di moltitudini di familiari costretti al silenzio dalla tirannide dell’ETA. E’ un lavoro che rimuove l’asfissiante obnubilamento di crimini su cui non si poteva più tacere: “Ma ho scritto anche, partendo dall’impulso di offrire qualcosa di positivo ai miei simili, a favore della letteratura e dell’arte, quindi a favore di ciò che di buono e di nobile l’essere umano alberga. E a favore della dignità delle vittime dell’ETA nella loro umanità individuale, non come semplici numeri di una statistica in cui si perdono i nomi di ciascuna, i loro volti concreti e le loro irriducibili caratteristiche personali”.
E’ letteratura sul pentimento, sul rimorso, sul tempo che macera e scarnifica il cuore di un criminale che vede, come un novello Innominato, i propri delitti e, insieme ad essi, le proprie mani insanguinate e, attraverso queste, un’alternativa al male, al dolore, all’ inutile sofferenza provocati: “Il tempo, di colpo, scorreva all’indietro a gran velocità. Il tempo era un film che mostrava la sua vita al contrario. Rapidamente uscì dal carcere ed entrò in un altro carcere e poi in un altro, fu maltrattato, poi arrestato, tornò alla lotta armata, al pomeriggio di pioggia in cui il Txato lo aveva guardato negli occhi, al pub dove la prima volta aveva sparato a un uomo, alla Francia, al paese, e arrivato ai suoi diciannove anni le veloci immagini mentali si bloccarono di colpo. Allora immaginò un destino differente che culminava nel grande sogno della sua vita, essere ingaggiato dalla squadra di pallamano del FC Barcellona.”.
E che la consegna delle armi dei terroristi baschi avvenuta lo scorso aprile sia l’inizio di una nuova epoca.

Fabrizio Giulimondi




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