· La proposta di utilizzare le colonie penali agricole
come luoghi alternativi dove scontare le pene, prese forma e maturò, fra
l’unità d’Italia e la promulgazione del Codice Zanardelli, nell'ambito di quel
movimento filosofico e di pensiero denominato scuola classica criminale.
In sostanza tale scuola sostiene, in modo concorde ai principi illuministici
scaturiti dalla rivoluzione francese, che l'uomo è un essere totalmente
razionale e dotato di libero arbitrio, che gli permette di calcolare
razionalmente tutti i vantaggi e svantaggi. Le colonie agricole, infatti, visto
che sorgevano principalmente nelle isole o comunque in luoghi fisicamente
separati dalla società civile, ben si prestavano a comminare al proprio interno
delle pene che avevano come proprio fine principale la difesa sociale e la
prevenzione generale; tutto questo perché nelle colonie penali veniva ricreata
una specie di comunità civile, la quale rappresentava già di per sé un modo di
tutela della società libera. Inoltre, come abbiamo visto, gli scopi di
rigenerazione fisica e morale che veniva attribuito al lavoro agricolo, almeno
nelle intenzioni degli studiosi, doveva rendere alla società un individuo
cambiato, non più dedito al crimine.
Possiamo affermare che le colonie
ben si inseriscono in quella politica criminale della scuola classica per cui
non si punisce in relazione al delitto commesso, ma in vista delle sue
ripercussioni sul corpo sociale.
Il codice Zanardelli del 1889 e il regolamento carcerario che ne seguì
hanno riconosciuto e disciplinato le colonie penali, denominate "case di
pena intermedia agricole e industriali", in quanto, come spiegò lo stesso
Zanardelli, così facendo si eliminava "l'equivoco cui poteva dar luogo il
nome di colonia a causa del significato più proprio a tale vocabolo, che è
quello di indicare lontani possedimenti".
Il codice Rocco del 1930 e il regolamento carcerario 1931 hanno introdotto
il c.d. “doppio binario”, ovverosia - come spiega Mantovani - "il dualismo della responsabilità individuale - pena
retributiva e della pericolosità
sociale - misura di sicurezza".
La colonia penale è una misura
di sicurezza e, quindi, applicabile ai soggetti pericolosi sia imputabili che
non imputabili.
L'intero sistema penale (con il
codice Rocco) si trova quindi radicalmente cambiato nei suoi presupposti
essenziali, ed è facile capire come ciò non poteva non avere conseguenze
dirette anche sul sistema penitenziario. Anzitutto bisogna partire dalla
nozione di misura di sicurezza ascrivibile a quei provvedimenti che "hanno una finalità terapeutica, rieducativo
- risocializzatrice, e sono applicati a soggetti pericolosi che hanno già
commesso un fatto penalmente rilevante". In particolare, come osserva
Mantovani, le misure di sicurezza sono diverse dalle pene "poiché sono la conseguenza di un giudizio
non di riprovazione per la violazione di un comando, ma di pericolosità, non di responsabilità,
ossia di probabilità di futura recidiva. Non hanno perciò carattere punitivo,
ma tendono a modificare i fattori predisponesti all'atto criminale. Benché
implichino una diminuzione dei diritti o della stessa libertà personale del
soggetto, tale afflittività non è concepita in funzione punitiva, ma è la conseguenza
inevitabile di un provvedimento diretto ad altro scopo. Ne deriva che: a)
mentre la pena è determinata in quanto proporzionata al fatto già accaduto, la
misura di sicurezza è logicamente indeterminata in
quanto proporzionata alla prognosi di pericolosità: cessa soltanto col cessare
di questa; b) a differenza della pena, che ha come destinatari gli imputabili e
i semimputabili, la misura di sicurezza è applicabile anche ai non imputabili,
se pericolosi, cumulandosi nei
primi due casi con la pena, mentre nel terzo caso trova applicazione esclusiva".
Il legislatore ha ritenuto che le
misure di sicurezza dovessero essere scontate in istituti che garantissero al
meglio le finalità terapeutiche, di rieducazione e di risocializzazione del
soggetto, ed ha pensato che in tali istituti dovessero essere per coloro che
non erano affetti da vizi di mente, le colonie penali agricole e le case di
lavoro. All'interno di questi istituti il lavoro veniva considerato una
componente irrinunciabile alle finalità di recupero del soggetto, e ciò, se
aveva portato risultati positivi per i condannati, sicuramente si rendeva
egualmente utile per gli internati sottoposti a misura di sicurezza detentiva.
Inoltre le colonie penali, situate
prevalentemente su isole o in luoghi comunque distanti dalle città, si
adattavano bene anche alle ulteriori finalità che, per il Guardasigilli Alfredo
Rocco, le misure di sicurezza dovevano avere. Per Rocco infatti, le misure di
sicurezza sono: "mezzi di
prevenzione individuale della delinquenza, aventi carattere di integrazione dei
mezzi repressivi di lotta contro la criminalità, in genere, e della pena in
specie ... [Quelle] personali limitano la libertà individuale e tendono alla prevenzione con impedimento
materiale e diretto di nuovi reati, o con azione eliminatrice o modificatrice
dei coefficienti fisio - psicologici della delinquenza, ovvero con mezzi
diretti a sottrarre l'agente alle occasioni e agli influssi ambientali, e, in
genere, agli adescamenti criminosi. Di esse alcune (assegnazione a una colonia
agricola o a una casa di lavoro, ricovero in una casa di cura e custodia,
ricovero in un manicomio giudiziario, ricovero in un riformatore giudiziario)
sono detentive, applicabili in casi che richiedono tale grave limitazione della
libertà, sia per l'indole e il grado della pericolosità sociale, sia per la
necessità di un regime di cura o di educazione morale, o, in genere, di sociale
riadattamento, che non potrebbe essere conseguito con diversi mezzi".
Il codice penale del 1930 tratta il
tema delle colonie penali in riferimento alle misure di sicurezza detentive, e
l'art. 215 come prima misura di sicurezza elenca proprio "l'assegnazione ad una colonia agricola o ad
una casa di lavoro". Rocco al riguardo afferma che "la diversità profonda tra pena e misura di
sicurezza dovrà riflettersi, necessariamente, nella pratica organizzazione
degli istituti penitenziari e di quelli concernenti le misure di sicurezza. I
primi non possono che inspirarsi a criteri di severità e rigore idonei
all'attuazione di finalità repressive; i secondi (istituti concernenti le
misure di sicurezza, ndr) debbono
prescindere da tutto ciò che abbia carattere e scopo di intimidazione, mirando,
con adeguati mezzi, alla rigenerazione morale e sociale delle persone
pericolose.
Per quanto riguarda la durata
minima, l'art. 217 fissa un termine di permanenza nella colonia non minore di
un anno, durata che aumenta a seconda del tipo di pericolosità attribuita al
soggetto. Al riguardo i lavori preparatori rilevano che "il limite minimo di durata delle misure di
sicurezza è determinato avendo riguardo alle diverse cause e ai particolari
aspetti della pericolosità per ciascuna delle categorie di delinquenti
assegnati agli stabilimenti suddetti". La scelta dell'assegnazione ad
una colonia agricola ovvero in una casa di lavoro, sarà effettuatala dal giudice
"tenendo conto delle condizioni e
attitudini della persona a cui il provvedimento si riferisce" (art.
218 c.p.), fermo restando che tale scelta sarà sempre modificabile, anche in
corso di esecuzione.
Il regolamento carcerario che venne
emanato nel 1931, è un testo completo ed organico riguardante l'intera materia
della esecuzione penale. Per quanto riguarda il lavoro, la disposizione
dell'art. 271 è categorica nel prevedere che esso è funzionale allo scopo di
"riadattamento degli internati alla vita sociale", cercando di tenere
presenti nella scelta del lavoro le specifiche attitudini e le prospettive che
egli presumibilmente avrà una volta riottenuta la libertà. Nella intenzione del
legislatore, traspare in talune norme una concezione particolare dell'internato
tale da differenziarlo dal "comune" detenuto; si intravede cioè una
visione quasi "paternalistica" dello Stato, che in questo caso più
che altrove si preoccupa della gestione degli internati in modo pressoché
"protettivo ed avvolgente", tipica del pensiero ottocentesco delle
colonie penali. In particolare emerge la figura del direttore che, nella
concezione della colonia come di una "grande famiglia", rappresenta
per gli internati la figura di "un padre amorevole", che attraverso
la concessione di benefici e la possibilità di lavorare, educa i propri figli a
ritornare nella società che un tempo ebbero offesa. Ovviamente affinché questo
progetto di rieducazione potesse effettivamente funzionare, fu previsto un
sistema di punizioni, tese a controbilanciare i benefici e i vantaggi
soprattutto quelli derivanti dal lavoro.
In sostanza, il legislatore nel
prevedere le colonie penali agricole come istituti destinati a coloro che sono
sottoposti a misure di sicurezza recupera quella concezione, tipica degli
studiosi della seconda metà dell'Ottocento, secondo la quale la colonia doveva
costituire uno "stato intermedio" tra detenzione e libertà.
In realtà, si può osservare che nel
ventennio fascista la maggioranza dei lavori agricoli possedevano un carattere
non di mitezza ma al contrario di severità, in considerazione delle difficoltà
pratiche della bonifica e del dissodamento di terreni talvolta anche malarici.
L'entrata in vigore della
Costituzione repubblicana, se per un verso è stato un evento fondamentale sotto
molti aspetti della vita politica, economica, sociale e giuridica del Paese,
non ha avuto effetti diretti sull'ordinamento e sul funzionamento delle colonie
penali agricole. Un aspetto però basilare, che certamente viene ad essere
modificato dopo l'entrata in vigore della Costituzione, è la concezione del
lavoro carcerario, tema strettamente legato all'istituto delle colonie penali.
Laddove, infatti, all'art. 27, comma 2, Cost., viene esplicitamente detto che
"le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato", c'è un riferimento necessario anche al lavoro, in quanto
esso è parte o complemento necessario della pena detentiva, con la conseguenza
che anche il lavoro dovrà avere quei caratteri di umanità e di
risocializzazione dettati dal testo costituzionale . In ogni tipologia di
istituto penitenziario il lavoro dei detenuti dovrà "essere letto"
sotto questa nuova luce, abbandonando ogni retaggio del passato che vedeva il
lavoro solo come affittivo e punitivo.
A queste innovazioni sul piano
costituzionale, non fece seguito alcuna modifica concreta, e le norme sull'ordinamento
carcerario continuarono ad essere quelle del 1931, norme che mal si
conciliavano con il mutato clima politico e sociale di cui erano espressione i
nuovi principi costituzionali.
Alcune norme riguardanti proprio le
colonie penali furono sottoposte al giudizio della Corte costituzionale
(110/1974) affinché fosse verificata la loro legittimità in tal senso. In
particolare la Corte respinse l'ipotesi avanzata circa la inidoneità della
colonia penale agricola e della casa di lavoro a svolgere la funzione
rieducativa degli internati, con la motivazione che le carenze e le disfunzioni
che caratterizzano una norma nella sua concreta attuazione non possono avere
efficacia nel giudizio di costituzionalità.
Finalmente nel 1975 venne approvato
il nuovo ordinamento penitenziario (legge 354/1975, D.P.R. 230/2000), il quale
è un testo che, a differenza dei precedenti, è molto organico e ben
strutturato. Anzitutto, viene meno quella rigida distinzione normativa tra
detenuti ed internati, riguardando la maggioranza degli articoli entrambe le
categorie predette. Gli istituti per adulti vengono divisi in quattro categorie,
e cioè: 1) istituti di custodia preventiva; 2) istituti per l'esecuzione delle
pene; 3) istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza; 4) centri di
osservazione. Fra gli istituti per l'esecuzione di misure di sicurezza
detentive:
-
ospedali psichiatrici giudiziali;
-
case di cura e custodia;
-
case di lavoro;
-
colonie agricole;
-
possono essere istituite "sezioni per
l'esecuzione della misura di sicurezza della colonia agricola presso una casa
di lavoro e viceversa";
-
possono essere istituite "sezioni per
l'esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di
lavoro presso le case di reclusione".
-
N.B. Novità: creazione delle "sezioni per
internati" presso delle case di reclusione "ordinarie", facendo
di fatto cadere la distinzione della finalità degli istituti presente
originariamente. Questo ha portato col tempo alla graduale trasformazione delle
colonie agricole in "case di reclusione", dotate però di una o più
sezioni in cui ospitare gli internati. Tutto ciò ha permesso di allargare i
benefici e vantaggi che le colonie penali avevano anche ai detenuti, in
primis la possibilità di lavorare all'aria aperta ed essere liberi
durante tutto il giorno.
Bisogna non di meno aggiungere che
con la legge 10 ottobre 1986, n. 663 (c.d. legge Gozzini) viene abrogato l'art.
204 c.p. riguardante l'accertamento della pericolosità sociale presunta, in
quanto con l'art. 31, comma 2, della stessa legge, viene previsto che
"tutte le misure di sicurezza
personali sono ordinate, previo accertamento che colui che ha commesso il fatto
è persona socialmente pericolosa", venendo meno quindi al riguardo
ogni presunzione di legge. In altre parole gli articoli 21 e 31 di tale legge,
prevedono che l'assegnazione ad una colonia agricola - casa di lavoro può
essere disposta solamente se sia stata accertata in concreto dal giudice di
merito la pericolosità sociale ex art. 203 c.p., sempre secondo le circostanze
previste dall'art. 133 codice penale. Inoltre, altra importante conseguenza di
questa legge, è il fatto di dover ritenere ormai sorpassata l'ipotesi prevista
dall'articolo 217 c.p. riguardante la durata di tempo minima per l'assegnazione
ad una colonia penale o casa di lavoro; tutto a causa proprio del fatto che
adesso è l'accertamento in concreto della pericolosità sociale l'unico
parametro disponibile da utilizzare per stabilire la tipologia e durata delle
misure di sicurezza, anche in relazione alle forme di pericolosità qualificata.
SITUAZIONE SARDEGNA
·
Le colonie penali
superstiti in Sardegna sono tre, Is Arenas, Mamone e Isili, con 6200 ettari di
terreno e più di 400 “ospiti”[1] e dove
vengono coltivati frutta e ortaggi e allevato bestiame con tecnologia moderna E’
stato siglato nel marzo 2016 il protocollo d’intesa tra il Provveditorato
Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Sardegna e Confagricoltura. “Confagricoltura
presterà una assistenza mirata nel campo legale, fiscale, previdenziale,
tecnico-economica a favore delle aziende e delle colonie agricole che
continueranno ad essere gestite direttamente dall’amministrazione Penitenziaria
– si legge nel protocollo – potrà inoltre fornire la sua collaborazione,
direttamente o attraverso enti di formazione, per iniziative dirette allo
sviluppo e promozione di specifici percorsi formativi per i detenuti impiegati
nelle colonie”. “Sono stati quasi ultimati i lavori di realizzazione del
caseificio di Is Arenas – ha spiegato il provveditore Maurizio Veneziano che ha
siglato il protocollo con il presidente di Confagricoltura Sardegna Luca Maria Sanna – è di
grandi dimensioni e senza disturbare i produttori locali, potremo essere di
supporto alle aziende presenti sul territorio”. L’ipotesi è quella in futuro di
poter lavorare per conto terzi, ma non solo. “Si potrà anche studiare la
possibilità di ottenere i contributi comunitari – ha evidenziato Sanna – noi
daremo il nostro contributo e allo sesso tempo cercheremo di coinvolgere le
aziende locali”. Con i progetti già portati avanti dall’Amministrazione sono
stati assunti 5 ex detenuti. “Recuperare anche solo l’1 per cento dei detenuti
è già un grande risultato”.
I prodotti della terra e dell’allevamento (caseari,
miele, ma anche carni, ortofrutta e olio d’oliva) sono in vendita e
costituiscono un brand già conosciuto
nei negozi isolani: il “Galeghiotto di Sardegna”.
Le aziende agricole e di ristorazione
acquistano i prodotti frutto del lavoro degli “ospiti” (ossia gli internati)
delle colonie agricole e, fra questi ultimi, fanno in modo di assumere quelli
che hanno meglio imparato il mestiere e che, avendo terminato il periodo di
riabilitazione, rieducazione e risocializzazione, hanno ottenuto da parte del
magistrato di sorveglianza il provvedimento di cessazione della esecuzione
della misura di sicurezza.
ALTRE INFORMAZIONI
ESECUZIONE DELLA PENA
·
Anche l'amministrazione penitenziaria è a pieno titolo
coinvolta in un processo di rinnovamento nel metodo e nei contenuti di
un’azione, quella del trattamento, che come sappiamo è molto complessa.
N.B.: lo scorso anno il Comitato del
Consiglio d'Europa ha chiuso definitivamente la procedura di infrazione aperta
nei confronti dell'Italia per il caso Torreggiani: è stata inaugurata una nuova
gestione del problema carcerario che ha costituito una delle priorità del
Ministro Orlando.
Al 31 dicembre 2016 la popolazione carceraria è di
54.653 detenuti presenti nelle strutture penitenziarie: è vero che essa è
superiore alla capienza regolamentare di 50.228 unità, ma è anche vero che i
posti disponibili sono aumentati di 4 mila unità in questi anni.
Si stanno stabilizzando i risultati
rispetto agli anni precedenti: come dichiarato dal Ministro la popolazione
carceraria è diminuita di oltre 10.000 unità in 3 anni.
Questo significa che le iniziative
di questi anni non hanno solo risposto alla condanna della Cedu ma hanno avuto
respiro sistemico focalizzandosi su:
- nuova
concezione di carcere;
- rivisitazione
del trattamento detentivo;
- riorganizzazione
amministrazione penitenziaria, anch’essa interessata dal riordino della
struttura ministeriale intrapresa nel 2015.
I problemi si risolvono non solo
riducendo sovraffollamento/aumentando posti ma - è questa la vera sfida -
costruendo una nuova visione di carcere fuori dal carcere e potenziando la
sorveglianza dinamica
Su questa linea vi sono tangibili
risultati raccolti nel 2016.
1. dai dati sulle misure alternative
alla detenzione, sanzioni sostitutive e sospensione del procedimento con messa
alla prova emerge un rapporto tra detenuti in intramurario e quelli in
esecuzione esterna che è passato da 4 a 1 alla quasi parità;
2. sta
crescendo la fiducia dei cittadini sulla tenuta dell’esecuzione penale esterna
grazie agli incoraggianti dati sullo scarso tasso di recidiva di coloro che
sono sottoposti a misure alternative alla detenzione rispetto a coloro che
hanno scontato la pena in carcere
3. modifica
dell’approccio con la detenzione intramuraria nel quadro della rieducazione e
reinserimento sociale (art. 27 Cost.). La detenzione come extrema ratio e la
tutela dei diritti costituzionali del detenuto stanno conducendo ad un nuovo
modello di vita carceraria basato sulla detenzione come opportunità di crescita
personale.
Il Consiglio di Stato lo scorso
gennaio ha ritenuto “altamente apprezzabile la volontà del ministero di
provvedere dopo 85 anni alla riforma della Cassa delle Ammende”, di cui i
beneficiari saranno non solo i detenuti ma anche i destinatari delle misure
alternative e iniziative di giustizia riparativa.
Per favorire questo percorso di
riflessione si sono conclusi nel 2016 gli Stati Generali sull’esecuzione
penale, una grande consultazione pubblica sul mondo delle carceri - fatta di 18
tavoli tematici - che ha dettato le linee di cui il legislatore dovrà tenere
conto nel disegnare il nuovo ordinamento penitenziario (legge 23 giugno 2017,
n. 103, “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e
all’ordinamento penitenziario”) contiene una delega in tal senso.
In sintesi le nuove linee di
intervento:
- trattamenti
sempre più personalizzati e percorso diversificato per i minori;
- modelli
finalizzati ad effettivo reinserimento;
- prevenire
alienazione e vivere una vita il più possibile simile a quella dei soggetti in
libertà: per questo il fulcro sono le attività lavorative, ricreative,
culturali e sportive.
- ripensamento
degli spazi e nuova concezione dell'edilizia penitenziaria;
- revisione
del rapporto cura - detenzione: con il definitivo superamento degli OPG e la
creazione delle REMS, non più carceri ma strutture sanitarie riabilitative.
- mediazione
culturale e religiosa per favorire dialogo; spazi ad hoc per la libertà di
culto. Come dirò per i detenuti di religione musulmana il senso di isolamento
conduce alla radicalizzazione poiché la religione diventa un rifugio estremo.
• (Abolizione ospedale psichiatrico
giudiziario - REMS) L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario è stato l’ultima
“istituzione totale” per eccellenza, riunendo in sé gli elementi carcerari e
manicomiali e amplificando gli aspetti deleteri di entrambi. Il nuovo approccio
con le patologie psichiatriche che oramai i medici hanno da anni, non può non
indurre anche le strutture giudiziarie e penitenziarie a ripensare un nuovo
modo di trattare le persona socialmente pericolose responsabili di reati. Immaginare
nelle REMS come luoghi dove contemperare le esigenze di sicurezza sociale, il
rispetto della dignità umana e un intervento sanitario curativo della malattia
mentale.
• (ICAM)
Nel 2011 la legge di riforma n. 62 prevede per le detenute madri prive di una
casa e con un profilo di bassa pericolosità le Case Famiglie Protette come
alternativa al carcere, o alla carcerazione attenuata delle cosiddette ICAM
(Istituti a Custodia Attenuata per Detenute Madri).
Per la prima volta si prevedono
dispositivi di esecuzioni penale diverse: carcere per i reati più gravi,
Istituti a Custodia Attenuata per quelli meno gravi e Case Famiglia Protette
gestite dal terzo settore e istituite dagli enti locali, per affrontare al
meglio il problema assai critico rappresentato dalla detenzione delle madri con
i figli piccoli.
Nelle “Case Famiglia” protette le
madri con i bambini, in assenza di un luogo e abitazione presso i quali
eleggere il proprio domicilio, dovrebbero poter trascorrere la detenzione
domiciliare speciale o altro beneficio già previsto dalla legge Gozzini
(663/1986) e dalla legge Simeone (165/1998), oltre che dalla stessa legge 2011
n. 62. L'istituzione di queste strutture residenziali rappresenta, dunque, uno
snodo fondamentale per la piena applicazione della normativa al punto che il
legislatore ha voluto, attraverso un D.M. approvato il 26 luglio 2015, normare
le caratteristiche di queste strutture sia per quanto riguarda gli spazi, che
le modalità di accesso e di gestione.
All’assenza di Case Famiglia Protette
(unico caso a Roma: Casa di Leda) fa da contraltare una politica ministeriale
di forti investimenti in favore delle ICAM, che dal 2011 ad oggi sono diventate
tre: Milano, Venezia e Cagliari. A Rebibbia è in fase di progettazione un ICAM
che avviene trasformando una fattoria.
Tuttavia queste strutture hanno un
costo elevato a fronte di evidenti inadeguatezze, rispetto alle esigenze di
protezione, cura e crescita dei bambini ospitati. Si tratta infatti di Istituti
detentivi, pur attenuati, l’utenza accolta è molto varia (donne incinte, madri
con bambini, padri); e si riscontra un’ampia differenza di età dei bambini che
possono accedervi (0 – 10 anni).
Di contro le Case Famiglia Protette
risponderebbero al bisogno di un ambiente a misura di bambino, di un supporto
efficace alla genitorialità e all’inserimento sociale delle madri, di una
risposta variabile rispetto alle specifiche esigenze di età dei bambini
accolti, nonché infine, di un minor costo di gestione. Pertanto, si configurano
come la soluzione migliore per le detenute madri con le caratteristiche
definite dalla legge 62/11.
ARCHITETTURA
PENITENZIARIA
·
Si sta agendo nella direzione un’edilizia partecipata e più accessibile in senso non solo fisico ma
anche culturale.
Il dato storico-normativo di partenza è dato
dall’Ordinamento penitenziario del 1975 che versa in un momento di profondo adeguamento che riflette l’evoluzione della concezione della pena.
Non
dimentichiamo che le emergenze del terrorismo e della criminalità organizzata
hanno influenzato la configurazione
degli spazi carcerari rendendolo oggi
maggiormente coerenti con le moderne finalità rieducative della pena.
Sul piano legislativo il dibattito si
intreccia con la discussione dei
principi e criteri direttivi per la riforma dell’ordinamento penitenziario che
sono un capitolo autonomo del ddl S-2067 di riforma del codice
penale e di procedura penale approvato alla Camera e attualmente al Senato.
Idea di fondo della delega consiste in una
concezione di carcere non è più luogo di neutralizzazione dei diritti
(lavoro, istruzione, religione) e delle relazioni affettive dei detenuti.
Come la nuova configurazione dei luoghi può influire
su tali obiettivi.
Esempi:
-
percorsi di recupero sociale;
-
favorire l’integrazione dei detenuti stranieri;
-
rapporti tra detenute e figlie minori;
-
favorire le relazioni familiari.
L’interesse
di questo Governo per il tema
dell’edilizia carceraria è confermato dalle riflessioni degli Stati Generali da cui sono scaturite
proposte condivise con magistrati, esperti e rappresentanti della società
civile, partecipanti ai vari Tavoli. Si
parla di “Carcere fuori dal carcere” poiché il carcere abbandona la
concezione tradizionale che lo separa
dalla realtà circostante ed anche in questo un ruolo fondamentale lo giocano architettura e edilizia.
Il tavolo I è
stato dedicato a: “Lo spazio della pena: architettura e carcere”. Si muove
dalla considerazione che l’edilizia
carceraria se non l’unica non è l’ultima delle ragioni che hanno condotto alla
condanna della Corte di Strasburgo nel 2013.
Il nuovo edificio carcerario, più
rispettoso della norma, umano e dignitoso, è orientato verso l’adozione di
soluzioni spaziali che privilegino il progressivo passaggio, all’interno del
recinto detentivo, da modalità di
custodia chiuse a modalità di custodia aperte.
Dove non c’è attenzione agli spazi non
può esserci attenzione alla dignità del
detenuto, alla sua riabilitazione e alla creazione di opportunità per un
suo reinserimento sociale.
I
luoghi della detenzione tornano ad essere tema di elaborazione specifica da parte del mondo dei professionisti e
non più appannaggio dei soli uffici
tecnici
Alcuni esempi di strumenti partecipativi: Occorre
riconvertire porzioni delle strutture con nuove destinazioni che
privilegino gli spazi per la formazione, la cultura, il lavoro, costituendo
così un effettivo adeguamento degli istituti al nuovo modello penitenziario
individuato. Le attività di manutenzione ordinaria potranno essere realizzate
con il contributo dei detenuti, quelle di manutenzione straordinaria tramite
regolari gare d’appalto che contemplino un monte ore di stage formativo
riservato ai detenuti
·
Sorveglianza
dinamica: un carcere a “regime aperto” che, per i detenuti a media e bassa pericolosità, potenzi gli spazi
dedicati a lavoro, sport, attività ricreative e culturali, perché prevalga
l’aspetto riabilitativo della pena. Esempio
è il carcere di Nola (progetto ultimato) di ultima generazione
architettonica senza muro di cinta
e che appare come centro residenziale
Fabrizio Giulimondi
[1] Dati aggiornati al 3 maggio 2017:
Isili:
91 presenti su 101 posti disponibili (capienza 154 posti);
Is
Arenas: 122 presenti su 126 posti disponibili (capienza 176 posti);
Mamone:
207 presenti su 207 (capienza 392 posti).
Nessun commento:
Posta un commento