“Occorre sapersi conquistare le cose belle,
altrimenti diventiamo collezionisti di mediocrità o, peggio, scartiamo le
difficoltà per codardia. Ogni bellezza, senza eccezione alcuna, trasuda fatica.”
“Il reato di pensare. Oltre il conformismo,
esercizi di libertà” di Paolo Crepet
(Mondadori) è una sinfonia della creatività
divisa in trentacinque partiture; un arpeggio armonico di idee e riflessioni;
una profonda boccata di ossigeno per disinquinare cervelli all’ammasso, menti intossicate
dal conformismo, dal Politically Correct
e dal Wokimso, intelletti offuscati da
una densa cappa orwelliana imposta dal Pensiero Unico.
“Il reato di pensare” è un mosaico di parole
e immagini, è letteratura espressionista con al centro la riconquista dell’intelligenza,
della ricerca di risposte e dell’analisi delle verità sull’obnubilamento e l’imbarbarimento
delle coscienze. Saggio scorrevole e di grande interesse, “Il reato di pensare” si apre a qualunque mente, basta che abbia il
vivo desiderio di percepire la complessità delle dinamiche del mondo.
Paolo Crepet indica
la riscoperta della fatica come metodo di salvazione, rifuggendo la scorciatoia
della “comodità” causa della perdita della capacità di pensare da parte di
molti, forse troppi: “Anche il pensare
porta con sé una forma di dolore, perché è faticoso per antonomasia”.
Pensare,
tornare a pensare, tornare alla durezza del pensiero, autentica chiave di
lettura del libro e chiave di volta delle nostre esistenze: ”Come ha detto Jorge Luis Borges, ‘non c’è
piacere più complesso del pensiero’“.
Riappropriamoci
dell’essere discutibili e avversiamo l’indiscutibilità: “Se c’è una cosa che apprezzo in una persona è che sia discutibile, nel
senso che faccia discutere per le idee che propone … Che vi siano così pochi
uomini e donne discutibili per molti è un sollievo, per me è il segno di un
declino culturale”.
La
nuova ideologia globalizzante e totalizzante vuole rimuovere dall’essere umano,
sin dalla sua infanzia, la possibilità dell’inciampo, tenendolo ogni individuo lontano
da ogni rischio di “disallineamento”, qualificando razzista, omofoba o sessista
qualsiasi idea non rientrante nel modello costruito dal Grande Fratello. Il nuovo
e unico comandamento è una reductio ad
unitatem dell’azione cerebrale in modo che nessuno incorra in una presunta
sofferenza, così che tutti possano vivere in una grigia mediocrità di massa. La
nuova “felicità” è raggiungibile con il semplice inserimento di parole
scorrette nel novello “Indice” post-moderno: l’abrogazione delle parole conduce
automaticamente e fatalmente l’abolizione dei pensieri pericolosi.
“Forse questo è l’obiettivo finale:
depotenziare le immagini, le parole, il pensiero”.
Fabrizio Giulimondi