martedì 10 dicembre 2024

“I RAGAZZI DELLA NICKEL” di COLSON WHITEHEAD (OSCAR MONDADORI, 2019): VINCITORE PREMIO PULITZER 2020



I ragazzi della Nickel” di Colson Whitehead (Oscar Mondadori, 2019), vincitore del Premio Pulitzer 2020, è una “lettura necessaria” per dirla con il Presidente Obama.

Crudo, impietoso, senzapelle, mostra l’abominio del razzismo dell’America del Sud degli anni ’60 tramite le vicende di Elwood e di altri ragazzi, poveri e neri, la cui unica colpa è proprio di essere poveri e, soprattutto, black.

Il libro si legge di volata ed è difficile non emozionarsi dinanzi a tanta brutalità, a tanta plateale ingiustizia e a tanta voglia di resistere, vivere e avere un futuro.

Il bieco razzismo è componente principale dell’atmosfera, anzi direi l’unico componente e l’ambientazione, il set, è reale, perché quella “scuola” dove venivano “rieducati” ragazzi minorenni è esistita veramente con tutto il suo carico di sofferenze e atrocità.

È un romanzo “cinematografico” perché nel leggerlo sembra di vedere scorrere le immagini di un film.

Questo romanzo “cinematografico” evoca potentemente alla mente due pellicole di grande pregio: “Sleepers” di Barry Levinson (1996) e “Le ali della libertà” di Frank Darabont (1994).

Jaimie, Turner, Desmond ed Elwood: dirty niggers per “educatori” spietati che godono nell’affliggere punizioni anche di malsana ferocia e crudeltà, non sono altro che bambini terrorizzati colpevoli solo del colore della propria pelle e di essere senza famiglia e senza soldi.

La colonna sonora della narrazione è costituita dalle parole pronunziate da Martin Luther King durante i suoi discorsi di rivolta e ribellione, parole di non-violenza e di accoglienza amorevole anche del nemico più spietato. Nel buio totale (“Il buio oltre la siepe”) di una microscopica cella dove Elwood è gettato per settimane, pestato e frustato, sorgono riflessioni che tolgono il fiato su come si possano realizzare simili parole e simili pensieri dinanzi a tanta cieca violenza e cattiveria; sembra di rivivere il “martirio d’amore” – come lo definì Papa Paolo VI - di san padre Massimiliano Kolbe ad Auschwitz.

Autentica e grande letteratura americana!

Fabrizio Giulimondi

venerdì 6 dicembre 2024

"NAPOLI - NEW YORK" di GABRIELE SALVATORES

 


Napoli – New York” di Gabriele Salvatores è uno “Sciuscià” rivisitato e visto con gli occhi di un regista degli anni 2000.

L’interpretazione è magistrale. Le espressioni mimiche dei giovanissimi protagonisti lasciano il segno e coinvolgono empaticamente ed emozionalmente il pubblico dalla prima all’ultima scena.

Dea Lanzaro nel ruolo di Celestina (dieci anni) e Antonio Guerra in quello di Carmine (quindici anni) sono due autentici prodigi, due veri portenti. Il viso di Celestina, da quando esce viva dalla esplosione della bomba della Seconda guerra mondiale (siamo nel 1949 a Napoli) sino all’ultima immagine che la ritrae a New York durante la “sfida esistenziale” giocata barando a carte, è pura narrazione corporea, fisica, mimica, vera, autentica e verace, di sguardi smorti e visi apatici, di volti rassegnati o pronti a tutto perché tutto hanno già conosciuto. Uno sguardo intenso e semplice, un viso come pochi, proteso verso il futuro, pronto a conoscere tragedie già vissute o magari un’altra vita, il cui solo pensiero dipinge un sorriso dolce e sognante.  

Pierfrancesco Favino oramai ci ha abituato a performance di alto livello. La sua statura di attore si conferma anche in questa prova.

Dagli Appennini alle Ande, da Napoli a New York, insieme alle storie, drammatiche o gioiose, di centinaia di migliaia di italiani che hanno lasciato tutto - o niente – per andare verso un nuovo orizzonte con lo  skyline della Grande Mela.

Credo che alcuni David di Donatello saranno assegnati a questa pellicola e, presumibilmente, ai due suoi incredibili, straordinari, unici  attori-ragazzini.

Fabrizio Giulimondi


                    


venerdì 22 novembre 2024

"SENZA EREDI. RITRATTI DI MAESTRI VERI, PRESUNTI E CONTROVERSI IN UN’EPOCA CHE LI CANCELLA" di MARCELLO VENEZIANI (MARSILIO NODI)



Non siamo eredi, non lasciamo eredi. Non ereditiamo niente, non lasceremo alcuna eredità. È questa, per dirla in breve e in modo diretto e brutale, la condizione odierna … Viviamo in un’epoca di contemporanei, senza antenati né posteri, uniti solo nel vago domicilio nello stesso tempo; non consorti, al più coinquilini … Nessuno continuerà la nostra opera, nessuno salverà quel che poteva, doveva essere salvato di ogni eredità … E i posteri, di questo passo, saranno privi di memoria storica e letteraria, e di coscienza critica. È l’epilogo coerente di una società senza padre, poi diventata società senza figli, società parricida e infanticida, all’insegna delle orfanità elettive. La società dei mutanti e dei no-nati, nel senso della denatalità e dell’aborto. Il nichilismo alla fine mantiene la promessa: di tutto resterà niente, dopo di noi il nulla”.

Viviamo tempi in cui il vuoto e la sua ricerca sono valori agognati ed esaltati ed il relativismo decostruisce persino ciò che cade sotto i nostri cinque sensi: un tavolo può divenire una sedia se così è stabilito da chi decide orwellianamente ciò che è vero e ciò che è falso; quello che bisogna dire e quello che non bisogna dire; ciò che è giusto pensare e ciò che è obbrobrioso pensare.

La necessità di un pensiero denso che punta all’essenza, a ciò che non muta, all’invalicabile, al senso del limite, è avvertita da chi mantiene una propria razionalità a-materialista.

Marcello Veneziani continua a tentare di fornire risposte e porre domande dentro un percorso che non privi l’uomo della Natura, una Natura vera, non ecologista o ambientalista; un percorso che non privi l’uomo della sua verità che in quanto tale spasima verso l’Assoluto.

L’autodeterminazione umana in ogni campo sta destrutturando l’essere umano come il cubismo confuse e spostò le parti del corpo umano. L’arte nel suo genio creativo può farlo ma se lo fa l’essere umano è lo stesso essere umano a rimanerne annientato: la libertà cancella se stessa.

Senza eredi. Ritratti di maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella” (Marsilio Nodi) tratteggia - similmente a "Imperdonabili" - in modo non didattico, accademico o didascalico sessantasei pensatori antichi, moderni e contemporanei, di ogni genere e tipologia e, attraverso questo tratteggio, maieuticamente e socraticamente fa fuoriuscire altri mondi, altre prospettive, altri orizzonti, altre visioni.

Come tutte le opere di Veneziani, il linguaggio è potente, le concezioni della vita e del mondo del tutto extra ordinem.

Nel mondo della pochezza globale, questo saggio, lo dico senza infingimenti, è per chi è in grado ancora di pensare, di analizzare, di voler capire e apprendere.

Per capire la vita, il mondo e la condizione umana il pensatore intreccia saperi ed esperienze, non è irretito da un sistema e da un lessico, o ingessato in un corso d’insegnamento. Il rapporto tra la realtà e la verità, tra la parola e il silenzio, si fa in lui intenso, diretto, assoluto, senza interferenze, senza linguaggi astrusi, puro  nell’impurità di un pensiero vivente che si dispone a trascendere la morte e a non finire con l’opera”.

Fabrizio Giulimondi  

sabato 2 novembre 2024

"LA CASA DEI SILENZI" di DONATO CARRISI (LONGANESI)

 


Donato Carrisi è tornato con un romanzo che supera i precedenti per linearità della trama ed incisività narrativa, con un crescendo wagneriano emozionale che gli ultimi lavori avevano talora dimenticato.

La casa dei silenzi” (Longanesi) è frutto di un reticolato di silenzi e inquietudini, memorie cancellate e messaggi che vengono dal futuro.

I sogni sono al centro del racconto. I sogni sono il tessuto connettivo dell’opera. I sogni legano personaggi e ambienti, presente, passato e futuro. Sono i sogni ha creare l’atmosfera, anzi sono l’atmosfera stessa. I sogni sono un mistero e il mistero della psiche è immerso nei sogni.

L’ “addormentatore di bambini” è tornato insieme a vicende che gettano il lettore in uno stato dopaminico.

La pareidolia.

Il signor B. Il signor Z.

La realtà è un simbolo e il simbolo la realtà.

Non riuscirete a smettere di leggere: leggere tutto e subito sarà una necessità compulsiva.

Tutto è reale. Nulla è reale.

La rosa è il nome di un fiore o di una bambina? Sartre e thriller.

Passato, presente e futuro non si distinguono, fusi in un unico magma spazio-temporale.

Magnolia.

Una donna dai capelli neri indossa un abito scuro. Lei vive nei sogni di Matias. Lei lo guarda. Lei esiste o è una proiezione onirica del ragazzino?

Una minuziosa ricostruzione di fatti immaginifici e reali che non fa staccare il lettore dal libro.

Limonata scarpa morte.

Non c’è più tempo.

La vera realtà dimora in ciò che non vediamo perché è ciò che non è visibile ad essere la vera realtà.

Il kafkiano grande scarafaggio.

L’evocazione esorcistica dell’incontro al secondo piano della casa dell’ipnotista con il perseguitato dallo stesso sogno che si è trasformato in un incubo terrifico nonostante la sua placidità.

Un sogno che si ripete per un anno. Un incubo. Nightmare.

Letteratura e cinema. Psicoanalisi, psichiatria e analisi dei sogni. Coscienza, inconscio e subconscio.

Spesso in quelle famiglie trova ad aspettarla lo scarafaggio. Cambia aspetto ma è sempre lui. Ormai a imparato a riconoscerlo”.

Fabrizio Giulimondi

giovedì 24 ottobre 2024

"DIMMI DI TE" di CHIARA GAMBERALE (EINAUDI)



 È arrivato il momento di rinunciare al controllo quando non mi serve a niente. Devo essere felice”.

Il nuovo lavoro di Chiara GamberaleDimmi di te” (Einaudi) è letteratura psicoanalitica allo stato puro.

L’Autrice di “Le luci nelle case degli altri” e di “Per dieci minuti” si racconta in un libro autobiografico forte, intimistico e intensamente introspettivo. La Gamberale mette a nudo senza riserve la propria vita dal periodo pandemico ad oggi, disvelando al pubblico il “blocco dello scrittore” in cui si è imbattuta, il rapporto totalizzante con la figlia, “Bambina”, di cinque anni e il non-rapporto con il suo “non-fidanzato”, il cui nome rivela solo alla fine. I nomi sono importanti perché il loro uso esprime un sentimento, legittima la persona, la rende reale.

Libro vero, sincero, coinvolgente perché autentico, “Dimmi di te” affronta tematiche scottanti seguendo – incredibile dictu!  un canone inverso: nonostante il bambino di una coppia sia gravemente disabile la madre esclude da subito di ricorrere all’aborto; viene descritto il cammino al contrario di un omosessuale, che si sposa con una donna dalla quale avrà due figli e con la quale ne adotterà altri due; v’è una grande attenzione per la maternità, per il rapporto fra madre e figlio e per la bellezza dell’allattamento al seno.

Credimi, fin da quando era piccolissimo, incrociavo il suo sguardo e capivo che le cose si sarebbero sistemate, che Angelo e io avremmo solo dovuto avere un po’ di pazienza….”

Dimmi di te” è intriso di una profonda spiritualità e narra il cammino di ricerca interiore percorso dalla Scrittrice.

L’Umanità nelle sue molteplici forme è rappresentata da Raffaello, Ivan, Riccarda, Grazia, Paloma, Stefano e Cate, che vengono tutti “intervistati” da Chara Gamberale. La Gamberale, per comprendere se stessa, scruta le esistenze degli altri: tirarsi fuori dalla palude in cui è immersa, uscire dal buco nero dove è stata risucchiata attraverso le parole e le esperienze degli amici di un tempo e di nuova acquisizione. Non solo. Molto possono insegnare le dinamiche relazionali fra l’adulto e il bambino e l’osmosi fra il singolo e la coppia. Molto può insegnare l’elaborazione del lutto, che sia da malattia o da suicidio. Sul confine gelatinoso fra la vita e la morte l’Autrice spende parole meravigliose nell’imbattersi in Nick nel cimitero di Ventotene: “…Questa vicinanza fra chi è nel mondo fisico, chi non c’è, chi ci sarà quando noi non ci saremo più…Non si muore. E’ l’unica risposta….Chi più di me potrebbe constatare che non siamo niente: siamo ossa. Ma io so che non moriamo, perché il respiro, qui al camposanto, è incessante….”

Fabrizio Giulimondi

sabato 19 ottobre 2024

"BAMBINO" di MARCO BALZANO (EINAUDI)

 


Ero stato un fascista, un soldato e in delatore. Non sapevo cosa fosse lavorare”.

Bambino” di Marco Balzano (Einaudi) è un romanzo duro, roccioso, impressionante, sull’orrore che l’uomo può realizzare in Terra nel voler sostituire l’ideologia alla realtà.

La città di Trieste nazi-fascista e poi comunista titina più che l’ambientazione della storia ne costituisce la trama. Trieste, con la sua bora ed i suoi segreti sanguinari, è la colonna vertebrale di una narrazione calda e tragica.

Mattia, un fascista portato alla violenza, alla angheria e al sopruso, scopre che la sua vera madre è un’altra e comincia a cercarla nei volti delle slovene del Friuli e dell’Istria, dove etnie e religioni sono affasciate fra loro da un antico sentimento di odio e cieca violenza.

L’avvento del fascismo, la Campagna di Grecia, l’8 settembre, l’arrivo della Stella Rossa nelle terre giuliano-dalmate, l’abisso delle foibe.

L’incubo nazista e poi quello comunista.

Le pagine del libro sono intinte di sangue, polvere e morte, stupri e torture: il lettore se ne avvede senza vederli come nelle tragedie elleniche.

Uno stomaco chiuso e un senso di angoscia e impotenza accompagnano questa ricerca di radici materne, di Cecilija, di Adriano, di Ernesto, del padre stesso di Mattia, Mattia che dovrà dismettere anche il proprio nome.

Bambino” diviene sempre più implacabile con lo sfogliare delle pagine.

Ogni volta che l’uomo ha voluto forgiare l’”uomo nuovo” ha forgiato solo l’incubo in Terra, uno “sprofondo che esala odore di carogne e di maledizione”.

Si legge in poche ore ma ciò che provoca la lettura del lavoro di Marco Balzano dura giorni.

Fabrizio Giulimondi

martedì 15 ottobre 2024

"L'OLIVO BIANCO" di CARMINE ABATE (ABOCA)

 


L’olivo bianco” (Aboca) di Carmine Abate - prolifero scrittore arbëreshë vincitore del Premio Campiello (2012) e di numerosi altri prestigiosi premi letterari -  fornisce al pubblico un’altra prova della sua poetica bucolica e della sua lirica della terra, degli alberi come entità spirituali, del dialogo silenzioso e affascinante della natura con l’uomo, delle famiglie che tramandano storie perché il futuro non le dissipi. Al pari delle piante che resistono alla furia delle acque grazie alle proprie radici, la letteratura di Carmine Abate si oppone ad un modernismo cieco, algido e anonimo.

Le pagine di Abate profumano dei fiori calabresi e sono saporitosi come le pietanze preparate dalla madre.

Spillace e Hora sono i due volti sognanti di Carfizzi, paese natale di Abate, luogo dell’anima, spazio metafisico delle memorie e degli affetti. Ogni storia, in fin dei conti, è una storia d’amore: Luca per la sua rarità botanica, l’olivo bianco; Carmine per la sua Elena; il padre di Carmine per quel mondo trasudante fatica, odori, sudore e bellezza; la madre per la sua famiglia e il suo cibo.

L’interpolazione di idiomi calabresi rende melodioso l’incedere del lettore, che avverte la sensazione di mettere le proprie mani sotto la colata soffice e calda della pasta mentre esce dal macchinario; percepisce le proprie mani scavare una terra pastosa e carica di umori e profumi, presagio della pianta che verrà.

Sembra di vederli quei boschi così gagliardi, lussureggianti, selvaggi e rigogliosi.

Sembra di respirare quell’aria così fina, tersa e pregna di fragranze pungenti e inebrianti.

I grafemi sprigionati dalla penna dell’Autore espandono i polmoni facendoli respirare un venticello primaverile e genuino, che “sa di erbe aromatiche, di mare, di pomodoro e mandorla fresca”.

   

Fabrizio Giulimondi