lunedì 30 giugno 2025

"STRANI DISEGNI" di UKETSU (EINAUDI)




Noi adulti riusciamo a disegnare ciò che percepiamo con la vista, ma i bambini disegnano l’immagine delle cose che si creano in testa”.

Strani disegni” dello scrittore nipponico che cela il suo volto dietro ad una maschera, Uketsu (Einaudi), è un romanzo giallo alchemico e criptico, ove l’omicidio è la soluzione.

Disegni, appunti e schemi supportano la narrazione. I numeri fanno da perno alle illusioni ottiche, la realtà si invera nei disegni che raccontano l’oscurità dell’individuo. È il disegno a rappresentare la realtà o è la realtà a rappresentare il disegno? Cosa nascondono quei cinque disegni? Cinque disegni come i cinque piani della palazzina?

I numeri originano dall’esoterismo biblico.

Previsione di futuro e sovrapposizione di disegni. La verità si pone in tutta la sua evidenza davanti a noi o è un altro inganno ottico?

Amore e morte si abbracciano sin dal primo vagito dell’umanità. Omicidio e sentimento si rincorrono. Efferatezza e passione sono due porzioni di una stessa mente lesa, angoli di una stessa anima ferita.

Brutalità e delicatezza: il mistero della molteplice unicità dell’essere umano.

L’esistenza umana agisce ad incastro e se le esistenze delle persone si incastrano in modo errato portano all’abisso.

L’omicidio come modalità relazionale. L’omicidio come primaria risposta alle criticità quotidiane.

Amore, morte e crimine tragicamente complementari fra di loro.

Da sempre, per sempre.

Fabrizio Giulimondi

martedì 24 giugno 2025

“LA DONNA DELLA PORTA ACCANTO” di FREIDA MCFADDEN

 

La donna della porta accanto” di Freida McFadden (Newton Compton editore) è un giallo con tinte thriller e un thriller con tinte gialle, morbido e diretto, intelligente ed immediato, senza involuzioni o retro pensieri

Ciò che appare è vero, inaspettatamente vero e quello che si percepisce potrebbe essere la soluzione, mentre la risposta riposa nei dialoghi e il visibile costituisce una prova inconfutabile. Il sospetto è traditore e l’apparenza è la realtà ma non viceversa, perché il mistero è nella sua autenticità. La narrazione fluida e ben oliata fa leggere il romanzo in un battibaleno, riprendendo schemi cinematografici ben conosciuti al pubblico: mai lasciare la propria magione di città per una di campagna….il cambio non è mai portatore di buona ventura.

I caratteri dei personaggi sono marcati come il tratto di un pennarello nero su un foglio bianco come la neve: chissà cosa celerà? Tutto? Nulla?

Chi ha orecchi, intenda.

Fabrizio Giulimondi

sabato 17 maggio 2025

"IL DIO DEI BOSCHI" di LIZ MOORE

 


Un romanzo è un genere letterario che comporta un notevole lavoro di costruzione narrativa da parte dello scrittore, un’autentica elaborazione ingegneristica ed architettonica fatta di parole e silenzi.

Un romanzo thriller impegna ancora più il suo ideatore perché la trama avviluppa in un reticolato labirintico molte storie e molti personaggi.

Il “Il dio dei boschi” di Liz Moore (NNE) è tutto questo all’ennesima potenza.

La parola “panico” deriva dal nome della divinità dei boschi, Pan, e sono i boschi il set dove si svolge il racconto, anzi, si svolgono i racconti, racconti che si intersecano e si aggrovigliano fra di loro. I boschi danno forma e forza all’atmosfera delle vicende il cui retrogusto è morbido e pungente, dolce e asprigno come alcune pietanze esotiche.

Prima scompare un bambino di otto anni. Dopo anni scompare la sorella di tredici. Camp Emerson è uno spazio silvestre dove adolescenti di famiglie facoltose trascorrono il periodo estivo. Il passato incombe, il futuro anche seppur celato da una verità che non si vuole rivelare.

La storia avanza e avvinghia il lettore alla sedia. L’Autrice sopravanza i pensieri di chi legge che vuole solo sapere. Sapere e capire. Le certezze vanno accantonate. I pensieri che albeggiano in mente non sono mai veritieri. Tutto è fallace. Tutto è grandioso nella pochezza umana. Eroi sono solo coloro che vivono ai margini, messi all’angolo già in gioventù, beffati dai propri familiari, parenti, amici, fidanzati.

Il tratteggio dei caratteri è solo apparentemente sfumato. In realtà, le linee sono marcate, incise su un foglio dalla carta porosa.

È tempo di cominciare a leggere.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 5 maggio 2025

“VOCI IN FUGA” (“AFTERLIVES”) DEL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2021 ABDULRAZAK GURNAH

 


Voci in fuga” (“Afterlives”) del Premio Nobel per la Letteratura 2021 Abdulrazak Gurnah (La nave di Teseo) è un romanzo il cui stile risente delle sue origini tanzaniane.

Il colonialismo tedesco e poi inglese dell’Ostafrika (Tanzania, Ruanda, Burundi), dopo la sconfitta subita dalla Germania al termine della Prima Guerra mondiale, costituisce il filo del ricamo della trama, attenta in maniera talvolta ossessiva ai particolari per poi tralasciare i grandi temi.

La Storia, le guerre, i conflitti, le evoluzioni e involuzioni sociali, la ferocia degli askari, non sono altro che il fruscio di sottofondo, perché per l’Autore contano solo le vicende esistenziali dei personaggi che si affastellano lungo il tracciato narrativo, punteggiato da tanti racconti che si inseguono senza mai trovare una conclusione, una definizione, una spiegazione, rimanendo in sospeso a galleggiare nell’aria afosa estiva africana, come se il finale non interessasse, essendo null’altro che l’orizzonte del deserto in cui si confondo sabbia e cielo.

Non contano cosa fanno o dicono i protagonisti e le comparse del romanzo, ma solo i momenti delle giornate vissute dai protagonisti e dalle comparse.

È certamente una letteratura diversa da quella europea o nordamericana, lenta come il cammino di una carovana di dromedari, lenta come il passare delle ore di un anziano che fuma la sua pipa Calabash in attesa che accada qualche cosa, lenta come il fluire dell’acqua in una oasi bruciata dal sole del Sahara.

L’Islam e le sue regole asfissianti le esistenze delle donne innervano le parole, i periodi e le pagine:”Sentiva che qualcosa in lei si rattrappiva e diventava teso come se si aspettasse sempre un rimprovero. C’erano tante cose che le erano vietate in quanto inappropriate.”.

Fabrizio Giulimondi

venerdì 25 aprile 2025

"UNA FIGLIA" di IVAN DE MATTEO

 


Una figlia” di Ivan De Matteo è un film ad altissima e permanente carica drammatica e di una bellezza seducente come non si vedeva da molo tempo nel cinema italiano. Stefano Accorsi interpreta magistralmente il padre e credo vada incontro al Premio David di Donatello come Miglior Attore Protagonista. Coinvolgente è l’arpeggio recitativo della figlia, la giovanissima Ginevra Francesconi, dotata di una notevole mimica e una peculiare espressione degli occhi che modula a seconda delle diverse ambientazioni narrative.

La trama è piastrellata da una attenta osservazione dello sviluppo e della maturazione psicologica ed interiore di ogni singolo personaggio che vive, ognuno da un angolo prospettico diverso, immani tragedie personali. Si è sempre soli nella sofferenza e più la sofferenza è grande e più si è soli. La ricerca introspettiva è circostanziata e densa e porta a scavare dentro all’intimità più profonda e nascosta dell’animo umano.

Quattro blocchi scenici come in un complesso statuario: uno è il padre, vittima di un crimine terribile; l’altro è la figlia, autrice del crimine; l’altro è, di sottofondo, la famiglia dell’assassinata; ultimo è la dimensione penitenziaria minorile, dal centro di prima accoglienza, all’istituto carcerario sino al collocamento in comunità, con la loro umanità e rassegnazione.

È la vita, in realtà, che riscatta le esistenze interrotte e rotte. È una nuova vita che fa rinascere la propria vita. Una nuova vita può essere il sentiero del riscatto, la vera nostalgia del futuro.

Un film privo di pregiudizi ma pregno di giudizi. Un film maieutico. Un film vero.

Fabrizio Giulimondi


                        


lunedì 21 aprile 2025

"LA CITTÀ PROIBITA" di GABRIELE MAINETTI

 


La città proibita” di Gabriele Mainetti (il regista di "Lo chiamavano Jeeg Robot") è un action movie di sapore tarantiniano e splatter, seppur non ad alta gradazione.

Lo schema narrativo cita spesso “Kill Bill”, tanto che la co-protagonista Yaxi Liu (interprete di Mei) ricorda parecchio nei combattimenti le movenze guerriere di Huma Thurman.

I corpi a corpo negli scontri a colpi di kung fu risultano avvincenti e evocano le pellicole degli anni ‘70 con il karateka Bruce Lee.

Convince, e non poco, Enrico Borello - per la prima volta attore protagonista in un film sul Grande Schermo - nel ruolo di Marcello, ragazzo pacifico che si trova coinvolto in vicende tragiche e connotate da estrema violenza, al termine delle quali capirà come è scomparso il padre Alfredo (Luca Zingaretti).

L’ambientazione a piazza Vittorio e nel quartiere multietnico dell’Esquilino a Roma rende particolarmente intrigante il racconto, reso ancor più colorito dalla presenza di Marco Giallini (Annibale, un “infamone” amico del cuore di Alfredo) e di Sabrina Ferilli (Lorena, madre di Marcello e proprietaria del ristorante, parte del set del film).

L’aspetto storiografico funge da interessante retrogusto del racconto: fra il 1979 e il 2015 in Cina era spietatamente proibito avere più di un figlio. La storia inizia in una provincia cinese con due sorelle che si “ritroveranno” nella periferia romana verde e un po' pasoliniana: la delinquenza borgatara-cinese, condita con prostituzione, immigrazione clandestina e brutalità, serve da bassorilievo ad una trama facilmente fruibile dallo spettatore, che potrà contare sul lieto fine.

Fabrizio Giulimondi

                        


"CLEMENTINA" di GIULIANA SALVI

 


Clementina” di Giuliana Salvi (Einaudi) è un mare placido, tranquillo, senza onde, che dalla metà in poi comincia ad incresparsi, ad assumere un moto ondoso spinto da venti sempre più turbolenti, sino ad esplodere sul finale in una tempesta dove acqua e bora si confondono in un amplesso rugginoso e violento.

Una famiglia. I Martello. Tre sorelle: Clementina, Maria e Anna. Tre fratelli: Francesco, Filippo e Emira. E poi Giuliana, Cesare, Emilia, Chiara, Margherita e Marga, anzi Margherita che è Marga. E Germain e Gianni. Storie che si rincorrono, si intrecciano, si sovrappongono, si inseguono.

La vita è dramma. Il dramma è vita.

La morte segue alla vita che segue alla morte in un eterno avvicendarsi senza tregua né respiro.

La vita ha senso perché la morte ne concluderà il cammino. La morte ha senso perché la vita ne ha conferito il suo misterioso significato.

La narrazione sa di cannella e miele.

La narrazione odora di gelsomino.

Clementina avvertì l’odore di cannella che le si fissò nelle radici. Inspirò forte ed espirò, e così ancora e ancora. Provò a piangere. Voleva piangere per sua sorella. Per Anna, che aveva avuto il privilegio di conoscere, di vedere bambina e donna. E per Emilia, che era rimasta bambina per sempre. Ma le lacrime non uscirono e i respiri non divennero singhiozzi.”.

Fabrizio Giulimondi