Una
grandiosa Angelina Jolie interpreta
il crepuscolo del soprano greco, la Divina Maria Callas (New York, 2 dicembre
1923 – Parigi, 16 settembre 1977), in “Maria”
di Pablo Larraín.
La
fotografia di Edward Lachman -probabile
vincitore di Premi al pari dell’Oscar – tratteggia immagini stupefacenti, con
primi piani intensi e tragici carichi di quella ellenicità che accompagna la
voce potente, senza spazio né tempo, oltre il visibile e l’invisibile, della
Callas; una voce che sprigionava l’essenza dell’animo di Maria, massima
cantrice di Puccini, le cui opere costituiscono l’ossatura della colonna sonore
del film di Larraín.
La tristezza
colora il viso, gli occhi della protagonista, colora la sua esistenza e la sua voce,
il portamento e l’incedere, il non volersi dare sconfitta mentre già ci si è
dati per sconfitti. La voce che non è più quella di prima; l’amore per Onassis
che però prediligerà come moglie Jacqueline Kennedy; la Diva, che come tutte le
grandi Dive, non accetta il proprio inesorabile declino. Le visioni. Le
allucinazioni. Il torpore della mente. Gli psicofarmaci. L’alcol. Lo sforzo sino
alla morte di tirare fuori la potenza vocale di un tempo. I fedeli servitori,
veri e unici amici (due grandi attori: Pierfrancesco
Favino e Alba Rohrwacher), con
cui la Callas condivide momenti di autentica serenità, sciolti in una semplicità
quotidiana e domestica che contrasta con lo scintillio di tempi andati.
Alti
livelli di recitazione fusi nella intensa tragicità ateniese di volti e occhi
che divengono un tutt’uno con l’atmosfera originata da un mobilio ancienne e da una Parigi distratta e punteggiata
da cori pucciniani come presenze ectoplasmatiche.
Fabrizio Giulimondi