martedì 11 novembre 2025

"CINQUE SECONDI" di PAOLO VIRZÌ

 


Cinque secondi” di Paolo Virzì artisticamente e contenutisticamente è di altissimo livello. Narrazione e recitazione si abbracciano trascinando lo spettatore in una storia profonda e densa di significati. Ogni fatto raccontato ha più risvolti non esistendo una sola interpretazione, perché la realtà è molto più complessa della superficialità con cui gli occhi talora la guardano.

Valerio Mastandrea nei panni di Adriano è semplicemente straordinario e assomma in sé la tragicità della moltitudine di aspetti che compongono un essere umano, una sofferenza e un dolore che sovrastano anche la sua ex moglie (Ilaria Spada) e che non le fanno vedere ciò che si cela dentro il marito.

Il gruppo di hippie laureati – naturisti e superficiali - avvicinano di nuovo Adriano alla vita dopo essere precipitato in uno stato sociopatico.

Profondamente umano è Adriano che, surclassando l’ideologia che cancella la figura paterna, manifesta la sua paternità non solo con il figlio Matteo ma anche con Matilde (Galatea Bellugi), contessina e capetta, incinta di un “patriarcale” ragazzo dei “figli dei fiori”.

Le dichiarazioni spontanee di Adriano nell’aula del tribunale rapiscono il pubblico, che non è più in sala ma dentro lo schermo.

Sullo sfondo della campagna toscana – a parte la allegra compagnia sessantottina di viticoltori– tutti vivono un dramma personale e la parrucca bionda di Giuliana (Valeria Bruni Tedeschi) nasconde altro come il suo cuore desidera altro.

È un film sui padri in un’epoca storica in cui vengono quotidianamente demoliti.

Il finale appare chiaro, ma in realtà non lo è, perché l’essere umano prima di essere formato di membra costituisce una dimensione spirituale carica di mistero.

Fabrizio Giulimondi






venerdì 31 ottobre 2025

“AVANTI VA IL MONDO” (BOMBIANI, 2024) del PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2025 LÁSZLÓ KRASZNAHORKAI

 


László Krasznahorkai, vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2025, con la sua opera particolarmente rappresentativa del proprio tocco artistico “Avanti va il mondo” (Bombiani, 2024), traccia le ragioni per le quali è stata vista la sua letteratura dominare su quella degli altri aspiranti al prestigiosissimo riconoscimento.

Allucinatorio, onirico, surreale, ectoplasmatico, vaneggiante, sganciato dalla realtà, una realtà evanescente assorbita nel profluvio di parole incastonate in periodi lunghissimi privi di punti. L’assenza dei punti conferisce alla lettura un ritmo ansiogeno e martellante, togliendo al lettore il respiro e dando vita ad uno stile distonico a quello tradizionalmente adoperato. Come la pittura cubista e astratta ha rotto i canoni stilistici dell’arte figurativa classica, lo scrittore magiaro irrompe nell’ars scribendi deformandone i paradigmi rimodulati non secondo le regole estetiche canoniche, bensì nella volontà di inceppare i meccanismi misteriosi delle emozioni umane.

Le storie narrate non hanno un inizio e non possiedono una fine perché al momento della narrazione esse sono “già incominciate” e non si concludono affatto perché spetta a noi compiere l’attività creativa di individuarne una.

Krasznahorkai costruisce i ventuno racconti intorno ai dettagli più minuti e insignificanti, perché il significato sta nell’insignificanza e nella osservazione di ciò che sfugge alla quotidianità.

Shangai, Varanasi e altre città non possiedono una loro consistenza geografica ma rappresentano soltanto una scenografia che circonda la parola, unica e vera protagonista dell’esercizio letterario: i personaggi, gli spazi, i comportamenti, gli oggetti sono secondari, è la parola e la sua composizione, correlazione e confluenza in altre parole a dominare tutto, è l’irrealtà della parola a primeggiare sulla realtà delle cose.

L’opera letteraria di Krasznahorkai traspone in letteratura le modalità recitative di Carmelo Bene: il suono della parola sovrasta il vociare noioso degli individui. Nell’Amleto di Carmelo Bene il frastuono incalzante della interpretazione teatrale mette in secondo piano le vicende del principe danese.

Non v’è né realtà né irrealtà in quanto il lettore vaga in un terzo genere esistenziale, in un iperuranio letterario.

Una sinfonia scomposta di fonemi, un nuovo modo di concepire la scrittura, lo schema classico che cede il passo ad una destrutturazione della composizione letteraria ridisegnata secondo i dettami dell’anima che ne viene inevitabilmente scossa, come quando si rimane a lungo innanzi ad una figura umana ripensata in modo non umano.

Le assonanze e le dissonanze, le armonie e le distonie dei vocaboli non sono la base delle ventuno storie narrate ma sono le ventuno storie stesse.

Fabrizio Giulimondi

venerdì 17 ottobre 2025

"ESTRANEA" di YAEL VAN DER WOUDEN

 


Estranea” (Garzanti), opera prima della scrittrice olandese Yael Van Der Wouden, è un romanzo pieno di sfaccettature introspettive e risvolti psicologici.

Si possono percepire estranei gli altri ma si può percepire estraneo anche il proprio essere.

Isabel, personaggio tragico e di grande fascino, vede gli altri come estranei (Eva, Neelke e gli stessi fratelli), anche se è Isabel ad essere estranea a se stessa. Chiusa, cupa e abitudinaria, Isabel si identifica con la propria casa, che invero non è sua come non sono sue le posate, i vasi e quei piccoli utensili anonimi che per altri possono possedere un valore affettivo senza misura. Questo romanzo è un reticolato di particolari, di descrizioni di oggetti apparentemente minuti e senza significato, di emozioni e sentimenti silenti e travolgenti allo stesso tempo. La solitudine non è solo una assenza dell’altro, ma è vissuta in “Estranea” come uno stato dell’anima in cui si è soli con se stessi, lontani anche da se stessi, non percependosi più come “persona con cui stare”: Isabel vive una solitudine totalizzante; Vera, invece, è in compagnia con se stessa ma sola in mezzo ai suoi amanti, semplici mezzi per giungere ad un fine cui il passato l’ha costretta.

Isabel è fuoco sotto la cenere, una città che appare grigia e spenta mentre nei suoi tunnel e gallerie esplodono orge di colore e musiche e balli.

Dickens è sotto traccia, corrente elettrica che scuote sommessamente la narrazione, battito cardiaco che fa scorrere il sangue del racconto.

I dialoghi costituiscono l’ossatura del romanzo, dialoghi serrati, tesi, possenti, drammatici. Nulla è cosparso di lievità perché è la tragedia a dipingere ogni traccia del libro, inclusi i passaggi sensuali e sessuali della implosione lesbica. Il passato è ancora presente, perché è un passato terrificante che non può essere certamente dimenticato. La Storia implacabile forgia il presente mutandone il corso: la vita di Isabel cambierà quando saprà. La conoscenza è una eruzione vulcanica, un uragano, un terremoto, un’onda gigantesca ed implacabile.

Isabel si prende sulle spalle il peso del passato e del presente di Eva, un fardello pesante e sconosciuto alla non curanza di Hendrik e alla superficialità di Louiss.

Si può essere colpevoli anche senza sapere, complici quando non si poteva non sapere.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 22 settembre 2025

"LA REGOLA DEL SILENZIO" di OSCAR FARINETTI (BOMPIANI)

 


La regola del silenzio” del Patron di Eataly Oscar Farinetti (Bompiani) è un thriller letterario dove nulla di ciò che appare in realtà corrisponde alla verità. Il romanzo è sviluppato in più fasi: l’antefatto, il processo, la galera e la giustizia che trionfa. Il processo è del racconto il momento topico, la cui narrazione è veramente avvincente sotto l’aspetto delle dinamiche umane fra le parti processuali.

Il protagonista, Ugo Giramonti, ha il difetto di essere compos sui in ogni istante della sua vita, anche quelli più drammatici e sconvolgenti: troppo bravo, troppo buono, troppo saggio, troppo pio….direi irritante.

Il romanzo sarebbe più incisivo con qualche pagina in meno, soffrendo di descrizioni di operazioni bancarie, commerciali e contrattuali di troppo.

Le puntellature letterarie e filosofiche e le citazioni storiche arricchiscono l’architettura del romanzo anche se, talora, l’arpeggio complessivo può risultare in po' borioso, noioso e dissonante.

Fabrizio Giulimondi

domenica 20 luglio 2025

"30 NOTTI CON IL MIO EX" di GUIDO CHIESA

 


Del film “30 notti con il mio ex” di Guido Chiesa non deve trarre in inganno il titolo che può far pensare ad una commediola sanza 'nfamia e sanza lodo. Invece è tutt’altro.

La pellicola fa sorridere e anche ridere inducendo però nello spettatore anche riflessioni nel toccare problemi delicati e non rari.

Edoardo Leo, sempre bravissimo, è il padre di un adolescente (Gloria Harvey) che sta allevando da solo da due anni a causa della malattia mentale della moglie (Micaela Ramazzotti, sempre bravissima). La figlia vede accentuata la normale ribellione della sua età in conseguenza della assenza della madre e per aver assistito in passato a scene dirompenti.

La psichiatra della comunità dove la moglie/madre è stata curata (Anna Bonaiuto) fa sì che quest’ultima rientri in famiglia, con la immensa gioia della figlia e il disappunto (non celato) del marito, che nel frattempo aveva costruito una nuova relazione (Francesca Valtorta).

Lo sviluppo narrativo è intrigante e prende lo spettatore per tutti i 102 minuti di durata.

Gradevolezza, profondità e buona recitazione tengono in piedi una storia utile da godersi.

Fabrizio Giulimondi


                


venerdì 18 luglio 2025

GLI OCCHI NERI DI SUSAN” di JULIA HEABERLIN ((NEWTON COMPTON EDITORI, 2015))

 


La…persona che ha lasciato il biglietto ha distorto, a mo’ di avvertimento, una poesia dal titolo Black-Eyed Susan, la Susan dagli occhi neri, scritta da un poeta del XVIII secolo di nome John Gay. La poesia diceva che Lydia sarebbe morta se io non avessi tenuto la bocca chiusa.”.

Le Susan dagli occhi neri sono particolari tipi di margherite, fiori gialli con i petali arruffati e al centro un bottone scuro simile ad un occhio. La storia raccontata da Julia Heaberlin, “Gli occhi neri di Susan” (Newton Compton editori, 2015), sgorga da questi fiori e in questi fiori muore.

Questo romanzo thriller complesso e non sempre agevolmente intellegibile, forgiato con il fuoco della psichiatria, cela la maschera dietro la maschera…e ancora dietro altre maschere.

Il cervello del lettore non si deve distrarre, snodandosi la narrazione lungo i racconti e le analisi di geochimici forensi, medici legali, anatomopatologi, antropologi forensi, procuratori dell’accusa e avvocati della difesa, raccoglitori e studiosi delle ossa umana, perché le ossa umane spiegano molto della vita e della morte di una persona. Avvincenti i passaggi sul dibattimento del processo al serial killer (sarà lui il colpevole?), sullo strepitus fori e sulla cross examination.

È un libro che indaga la memoria quando per difendersi essa si auto-cancella rendendo cieca Tessie. Laddove il ricordo richiama alla mente una buca dove una ragazzina di 16 anni ancora viva è stata gettata insieme a giovani cadaveri e ossa umane, molte ossa umane, la cecità è l’unica strada percorribile.

Le ossa sono il materiale di cui sono fatti gli accadimenti, scheletri di ragazzine senza nome.

La visione è orrida ed è meglio cancellarla, meglio non vedere.

Chi va al patibolo è colpevole o innocente?

I tempi che cadenzano l’esecuzione capitale ritmano luoghi anonimi senza colore né spazio, evocanti “Dead man walking”, il film diretto nel 1995 da Tim Robbins.

Il Male che si cela dietro l’uomo può essere agghiacciante, senza ostacoli né confini o remore, perché quando è la malattia mentale a farlo fuoriuscire dalle profondità di un individuo, le azioni compiute saranno di rara oscenità.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 14 luglio 2025

"IO CHE TI HO VOLUTO COSÌ BENE” di ROBERTA RECCHIA (RIZZOLI)



Era come aver nuotato fino allo stremo, controcorrente, per salvarsi. Però adesso non ne comprendeva il senso. Per la prima volta pensò con distacco a ciò che era stato della sua vita dal pomeriggio delle arancine, scoprendosi improvvisamente estraneo a se stesso. Si frugava nei ricordi e nulla gli apparteneva più: la spensieratezza dell’infanzia, l’amore dei genitori, la complicità di Mizio, la bellezza di Betta, i turbamenti del corpo e la dolcezza di Flavia. Anche il dolore, forse, aveva smesso di appartenergli. Poteva lasciare andare tutto, perché quello era il mondo di Luca Nardulli. E Luca Nardulli neanche esisteva più. Trattenne il fiato, abbandonandosi a quella corrente che lo trascinava a fondo. In un’altra vita.”.

Dopo aver finito di leggere i romanzi di Roberta Recchia le emozioni – emozioni molto forti – permangono a lungo nel cuore del lettore.

Dopo l’opera prima “Tutta la vita che resta”, in “Io che ti ho voluto così bene” (Rizzoli) Roberta Recchia snocciola l’umanità in tutte le sue forme più minuziose.

Non bisogna farsi ingannare dal titolo che potrebbe far incasellare il lavoro nel genere “rosa-smielato”: al pari della sua prima fatica, il secondo scritto dell’Autrice analizza il misterioso dipanarsi dell’animo umano, la cui longitudine va dal ficiniano buio terrifico al biancore angelico.

Il dolore è l’inchiostro del libro che tratteggia il dramma delle vittime collaterali dei crimini, quelle che nessuno prende in considerazione, quelle che tutti disprezzano: i familiari degli autori dei reati, dei carnefici, dei criminali.

Uno stupro e un omicidio strappano le carni, cancellano le esistenze, annullano le anime delle vittime e dei loro parenti. I crimini annientano anche il mondo che gravita intorno al reo.

Io che ti ho voluto così bene” in modo spietatamente chirurgico entra nei meandri della sofferenza del fratello, del padre e della madre di uno stupratore-assassino.

Pagine e pagine di tragica e intensa bellezza dimorano in dialoghi che senza pietà colmano di commozione il lettore, costretto a riflettere su aspetti raramente considerati. I cambiamenti sorgono dai dialoghi. Sono le parole che mutano le decisioni dei protagonisti. Le stesse vite non sono più le stesse dopo scambi di battute autentiche, dure, impietose, tenere, velate dal ricordo, dalla nostalgia, oppure brutali, violente, cariche di odo represso, rabbia incontenibile che ha atteso venti anni ad esplodere.

L’incontro che toglie il fiato fra Luca e Maurizio è l’alba di due nuove esistenze.

La profondità è la cifra di questo libro.

Luca è un moderno eroe ellenico che tutto subisce perché in lui odio e amore albergano indistinti. Luca oppone il proprio petto alle valanghe deflagranti ed ai marosi impetuosi che lo sbattono qua e là come una piantina strappata alle sue radici.

Luca è l’umanità ad un bivio.

I personaggi inverano le mille sfaccettature della coscienza umana: zio Umberto la razionalità e la giustizia; Lilia la disperazione che divelle corpo e spirito; Mara la paura che cancella il raziocinio e porta a compiere feroci ingiustizie: ma Luca accetta il Fato, il Destino.

Un lucore religioso permea la narrazione, un senso di trascendenza e di Provvidenza quasi manzoniana. La famiglia è il luogo dove si custodiscono i patimenti delle persone, si lenisce l’orrore, si ricompongono percorsi travolti dall’imprevedibile. La vita anche dei delinquenti può essere ripresa centimetro per centimetro, sottratta al Male.

Questo è il romanzo sull’abbandono e la solitudine, sulla rassegnazione e la disperazione, sul riscatto e la rivincita.

Il perdono è la stella intorno alla quale roteano le vicissitudini raccontate dalla Recchia: il funerale di Lilia estetizza il perdono. Le ultime pagine galleggiano nell’aria per ore, giorni, e forse più.

La verità è che il perdono e la speranza sono fratelli gemelli.

 Fabrizio Giulimondi