“L'amore graffia il mondo” del compianto
Ugo Riccarelli (Mondadori), vincitore
della ultima edizione del Premio Campiello.
Parole morbide,
calde e musicali, sinfonicamente
orchestrate fra di loro, raccontano, con lo stile di un amarcord felliniano, la vita
di Signorina, ultima di cinque figli di primo e secondo letto, e del suo papà, Delmo, capostazione di un
paesino del torinese, socialista, le cui idee durante il ventennio lo inducono,
per onore e dignità, a dimettersi.
Il racconto
ripercorre l’occupazione di Abissinia, la guerra civile spagnola, la campagna
di Albania e il conflitto mondiale. E poi il risorgere della vita, la
ricostruzione, la libertà.
Signorina è una
eroina, nobile d’animo, il cui amore travalica tutto ed è donazione totale di
se stessa, perché una madre non è in grado di resistervi: “e allora gli si mise accanto e cercò inutilmente di ricacciare in gola
il boccone d’amore che ancora una volta voleva uscire da lei, per spiegargli
col linguaggio assurdo dei sogni quello che aveva capito, togliendosi con un
gesto lento l’orrenda camicia da notte che le avevano messo in ospedale. Per
mostragli il suo corpo nudo, graffiato, sanguinante. Guastato dall’amore”.
L’amore graffia: graffia
l’incontro con la persona amata e graffia il cuore di Signorina quando si
imbatte in Beppe; graffia durante il parto, nel dare alla luce Ivo, figlio
dell’atto di amore fra Signorina e Beppe e anche l’atto di amore graffia; graffia
nel compimento dell’atto di morte dell’aborto, perché tanto Dio è come quei cacciabombardieri
americani che lanciavano bombe su case, stazioni, vite, affetti, noncuranti
dello strascico di annientamento che lasciano; graffia il respiro di Ivo, ruvido
e corto, affetto da grave patologia polmonare, pur non sapendo la malattia che
l’amore di una madre, l’amore incondizionato di Signorina, precederà i tempi e
guarderà oltre, portando due nuovi
polmoni al figlio.
L’amore che porta
alla pazzia. L’amore geniale riposto fra le dita di Signorina, sarta eclettica
e abile e creatrice di modelli di gusto francese. L’amore che non lascia tempo
alla disperazione.
Questo è un romanzo
drammatico, triste, mesto, malinconico, inquieto, carico di illusioni e
disillusioni, colmo di speranze e sgarberie
della vita, pieno di sogni e magie infrante, pregno di fatica e
stanchezza, di notti insonni e occhi senza più lacrime, accusatore di un
tempo traditore che giocherella con le persone, parimenti a quelle divinità
greche, annoiate dall’inconcludente trascorrere dei lustri, mollemente impegnate
ad intervenire, benignamente o malevolmente, nelle esistenze degli esseri
umani.
Questo libro, però,
non è mai disperato, mai cupo, mai rassegnato, perché vi regna sovrano quel
sentimento chiamato amore. L’Autore cerca
“il modo in cui imprigionar la bellezza
per riuscire a renderla visibile, concreta.”.
Amore e senso di
colpa, forse perché non può esistere l’uno senza l’altro, forse perché l’uno è
indissolubilmente intrecciato all’altro, nell’eterno contrasto fra la
realizzazione di incantevoli capi di abbigliamento e il dover Signorina seguire attentamente, giorno e
notte, il figlio Ivo, mentre ha fame d’aria, mentre cerca un po’ di ossigeno da
ingerire, da ingoiare: forse perché l’amore dato al marito e ad un figlio
poteva essere donato anche ad un altro figlio, che dalla mano assassina di una
mammana Signorina ha consentito che gli fosse graffiato
via.
E’ storia di
affetti delicati ed autentici, di intimità, di focolare domestico, di casa, di
abbracci fra marito e moglie, fra padre e figlio, fra madre e figlio: ” Soprattutto mancava l’abbraccio rassicurante
delle madri, dei genitori, dell’odore familiare della propria casa, del
conforto delle proprie cose..”
E’ narrazione di
distruzione e di guerra, che tutto porta via e nulla rispetta. Sopraggiunge in
alcuni passaggi una potenza descrittiva da mozzafiato e la loro lettura provocano brividi lungo la schiena e strette allo stomaco e accelerazione dei
battiti cardiaci: “grappoli di bombe che
scendevano a spianare la stazione e a sfondare le case, a distruggere le
cucine, i salotti, i bagni, le camere da letto e gli ingressi, ad aprire con
maleducazione gli armadi e a gettare all’aria cinture, fazzoletti e sciarpe,
mutande, bretelle e tutto quanto adesso si mischiava con i mattoni sbrecciati e
i calcinacci, in un mucchio di rovine che fino a poco prima erano state le loro
vite.”.
Ugo Riccarelli, che
la terra Ti sia leggera!
Fabrizio Giulimondi
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