Una delle differenze che sussiste fra il modulo di formazione della Camera del
Deputati e quello del Senato della Repubblica si sostanzia nella presenza in
quest’ultimo di senatori che non accedono ad esso per via elettiva, bensì per
cooptazione: alcuni senatori sono designati direttamente dal Presidente della
Repubblica (c.d. senatori a vita nominati o di merito), mentre altri lo
diventano in forza della norma costituzionale, ossia i Capi dello Stato cessati
dalla suprema magistratura per dimissioni (come Francesco Cossiga) o scadenza
del termine naturale di sette anni (c.d. senatori a vita di diritto).
A norma dell’art. 59, comma 2, della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno
illustrato la Patria
per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.”.
Una prima questione che si è posta a questo riguardo è se
ciascun Presidente della Repubblica possa nominare cinque senatori a vita
nell’arco del suo mandato (che può arrivare a due come è recentemente avvenuto
con la reiterata elezione di Giorgio
Napolitano), oppure fino a cinque, di modo che il numero complessivo dei
senatori di nomina presidenziale non sia mai superiore a tale cifra: nella
prima ipotesi il potere di nomina è attribuito al titolare dell’Ufficio, mentre
nella seconda impersonalmente all’Ufficio
presidenziale.
La dottrina prevalente (primo fra tutti Martines) è a favore
della seconda soluzione, seguita dalla maggior parte dei Capi dello Stato (e,
pertanto, con l’implicito avvallo delle
maggioranze politiche via via costituitosi).
Si può affermare, sino alla innovazione procedurale portata
da Sandro Pertini, che “n’era derivata una consuetudine interpretativa,
da non contraddire senza alcun valido
motivo” (Paladin seguito da D’Orazio).
Il Presidente Pertini (1978-1985) nel luglio del 1984
designò Carlo Bo e Nomberto Bobbio a senatori a vita, varcando per la prima
volta la soglia dei cinque sentori a vita di nomina presidenziale presenti
nell’Aula del Senato. La nomina avvenne con il preventivo assenso del
Presidente del Senato, unitamente a
quello della Giunta delle Elezioni e delle Immunità Parlamentari. Pertanto, all’art. 59, comma 2, della Costituzione fu
conferita l’ interpretazione tracciata dal pensiero dottrinario di minoranza (Ferrari,
Modugno): il potere di nomina era
riconosciuto ad ogni singolo Presidente della Repubblica e non all’Ufficio presidenziale,
alla persona in quanto tale, che poteva nel corso del suo mandato nominarne
cinque.
Tale linea ermeneutica, fatta propria da Pertini (Leo Valiani, Eduardo de Filippo,
Canilla Ravera, Carlo Bo, Nomberto Bobbio) e poi confermata da Cossiga (1985-1992)
che ne nominò altri cinque (Giovanni Spadolini, Gianni Agnelli, Giulio
Andreotti, Francesco de Martino, Paolo Emilio Taviani), proponendo anche Indro Montanelli che però
rifiutò, ha rischiato di trasformare geneticamente la composizione del Senato
della Repubblica, avvicinandolo, seppur in minima parte, alla House of Lords britannica, che vede la
maggior parte dei suoi membri a vita, con una piccola porzione persino di discendenza ereditaria.
Alla fine del mandato presidenziale di Cossiga - avvenuto traumaticamente con le dimissioni
il 28 aprile 1992 - il numero complessivo
dei senatori a vita era salito ad 11 (9 di nomina e 2 di diritto).
Il Presidente Scalfaro
(1992-1999), fedele alla seconda interpretazione (non oltrepassare la
soglia dei cinque di nomina presidenziale), non procedette alla designazione di
alcun senatore a vita durante il suo mandato, mentre Ciampi (1999-2006) ne ha nominati cinque (Rita Levi
Montalcini, Emilio Colombo, Mario Luzi, Sergio Pininfarina, Giorgio Napolitano
(poi eletto Presidente della Repubblica), ma attendendo ogni volta che il
numero di senatori per merito scendesse sotto il limite di 5, rispettando così tale limite sino alla fine
del settennato.
Il Presidente Giorgio Napolitano, primo Capo dello Stato
eletto per due mandati (2006-20013; 2013- ), nel corso dei sette anni, ha nominato
un solo senatore a vita, Monti, divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri
dopo pochi giorni, mentre ne ha nominati
altri quattro (Abbado, Cattaneo, Piano e Rubbia) lo scorso 30 agosto.
E’ stata, quindi, confermata l’interpretazione più corretta e
consentanea al testo ed allo spirito della disposizione costituzionale, secondo
la quale i senatori di nomina presidenziale non possono superare il numero di
cinque.
Approcciamo, seppur sinteticamente, la nomina effettuata da parte del Presidente
Napolitano di Mario Monti a senatore a vita il 9 novembre 2011 e la
recentissima quadruplice designazione senatoria in un momento
politico-istituzionale di particolare delicatezza.
Una premessa è opportuno porla sui requisiti fondanti la
nomina a senatore a vita.
Il Presidente della Repubblica gode di un ampio margine di
discrezionalità nella scelta in parte qua,
avendo il solo limite, anche alla luce dei requisiti previsti dall’art. 59 (“altissimi
meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”), di non essere
guidato da criteri politici e di parte.
E’ richiesto sine
dubio il presupposto della
cittadinanza italiana oltre, presumibilmente, il requisito del raggiungimento dei quaranta anni di età, al
pari dei senatori elettivi, anche se alcuni costituzionalisti (Martines)
sostengono che su di esso potrebbe prevalere
il criterio selettivo degli “altissimi meriti nel campo sociale,
scientifico, artistico e letterario” (e, dunque, il senatore a vita potrebbe
avere una età al di sotto della soglia dei quaranta anni).
La conformazione delle nomine effettuate dall’attuale
Presidente, nella individuazione degli stessi nomi, nelle modalità, nei tempi e
nella stessa pluralità contestuale delle indicazioni (opzione mai sino ad ora
perseguita), può far sorgere il sospetto che vi possa essere una lesione della ratio dell’art. 59, comma 2, della Costituzione. La designazione
di una personalità come quella di Monti
a pochi giorni dalla sua nomina a Presidente del Consiglio potrebbe non
evidenziare a sufficienza i cennati elementi contenuti nella disposizione in
esame, anche per la palese propedeuticità della nomina a senatore a vita
rispetto a quella di Premier e,
pertanto, di uomo istituzionalmente di parte.
La simultaneità di quattro nomine di alte personalità
risultanti tutte appartenere ad una medesima area culturale e politica, potrebbe da una parte non configurare quella
necessaria terzietà ed equidistanza dalle parti in campo – terzietà ed equidistanza di cui
i senatori a vita nominati debbono essere
necessariamente titolari, anche alla luce delle eccellenze che essi esprimono a
livello nazionale ed internazionale nel settore letterario, artistico, sociale
e scientifico - che consentono loro di fornire alla Assemblea quel quid aggiuntivo di saggezza, equilibrio e cultura; dall’altra determinare il metus non infondato che, rebus
sic stantibus, si possa verificare, in caso di crisi dell’attuale Governo Letta,
una situazione simile a quella realizzatasi
vigente il Governo Prodi (2006-2008),
supportato al Senato – ove sussisteva una flebile maggioranza politica - dal costante voto dei senatori a vita, non
solo al momento del voto di fiducia, ma
anche in ogni passaggio parlamentare.
Last but not least: nomine
di senatori a vita di merito poste in essere in tal fatta potrebbero far venire alla luce –
preoccupazione insorta già dopo l’entrata in vigore della Carta Costituzionale
il 1 gennaio 1948 – un ristretto "Partito del Presidente" che, come appena
accennato, dinanzi certe contingenti evenienze storiche, potrebbe fare una
differenza di non poco momento a livello governativo, politico, costituzionale
ed istituzionale.
Lo capiremo solo vivendo.
Fabrizio
Giulimondi.
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