“Welcome, welcome! The time has come to select the one
courageous young man and woman for be honor of representing District 12 in the
74° annual Hunger Games!”.
Non
sono mai stata più euforica nell’uscire da una sala cinematografica. Ieri sera
sono andata con mio padre a vedere l’attesissimo sequel di "Hunger Games - Catching fire" ("La ragazza di fuoco"). Il film, come il precedente,
è tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice statunitense Suzanne Collins.
Io
che ho letto tutti e tre i libri, divorandoli in quattro giorni, posso dire che
questo è uno dei rari casi in cui la versione cinematografica è nettamente
superiore a quella letteraria. Il regista, Francis
Lawrence, questa volta ha superato se stesso. La cura che ripone in ogni
dettaglio, il modo in cui è riuscito ad essere fedele al libro, rispettandone
testualmente anche i dialoghi, amplificando enormemente ogni scena dal punto
di vista emozionale, è straordinario. Ha
creato una drammaticità che, a mio parere, nel romanzo è scarsamente presente.
Gli
interpreti sono tutti da Oscar. La recitazione di Jennifer Lawrence (vincitrice del premio Oscar nel 2013 come
migliore attrice per Il lato positivo –
Silver Linings Playbook), nel ruolo della protagonista Katniss Everdeen,
non poteva essere fatta meglio.
A
dispetto di quello che pensa mio padre, credo che Jennifer Lawrence abbia reso perfettamente la tragicità del
personaggio, fondamentalmente freddo e distaccato, una maschera con la quale
protegge se stesso dagli sguardi degli altri. Per non parlare dei grandi attori
di Hollywood che compaiono nella pellicola, come Donald
Sutherland (uno dei primi vampiri della produzione orrorifica americana), Philip Seymour Hoffman ( come al solito
grandissimo) e Stanley Tucci( ve lo
ricordate in Il diavolo veste Prada?).
Ma
adesso passiamo alla trama, vediamo di capire di cosa stiamo parlando. Ci
troviamo in un futuro post-apocalittico dove una sadica e superficiale Capitol
City è circondata dalla povertà di dodici distretti che ogni anno, in occasione
degli Hunger Games, devono offrire un
“tributo” femmina e uno maschio che abbia una età compresa fra i dodici e i
diciotto anni.
Questi
verranno portati in un’arena per sfidarsi in un combattimento all’ultimo sangue,
al termine del quale è ammesso solo un vincitore. Questa crudele
realtà è vissuta come un normale show televisivo, nel quale i “tributi”, per sopravvivere, dovranno saper
piacere alle persone. La scrittrice si è palesemente ispirata all’antica Roma,
dove il Populus Romanus si divertiva a vedere i gladiatori uccidersi l’un
l’altro. La vita eccessivamente lussuosa che conducono gli abitanti di Capitol
City, richiama spesso il modo di vivere degli antichi romani, i quali vomitavano per ricominciare a mangiare, e lo scopo della loro esistenza era panem e circenses.
Nel
primo capitolo abbiamo visto Katniss offrirsi volontaria al posto della sorella
ed entrare in contatto con Capitol
City, il cui modo di vivere è anni luce distante da quello del Distretto 12, da
cui proviene la protagonista. Dopo che nell’arena, con una manciata di bacche
velenose, ha sfidato il Presidente Snow (Donald Sutherland), in questa seconda
parte si ritrova nuovamente a dover difendere la vita delle persone che ama: è
per questo che lotta Katniss, per la sopravvivenza delle persone a cui tiene
più di se stessa.
In
questa saga, che si distingue nettamente dalle altre, l’eroina è un personaggio
forte, indipendente, che, però, non si
sente tale. Lei vuole solo salvarsi la
pelle - come sostiene il Presidente Snow - . Lei non vuole alcuna
responsabilità sulle spalle, perché è troppo impegnata ad avere paura per la
morte degli altri per pensare ad una ribellione. Ma ciò che vuole lei non conta
più, perché è stata trasformata in un simbolo, nella Ghiandaia Imitatrice, ossia in quella scintilla che non può più essere contenuta e che incendierà tutta
Panem. La Ghiandaia Imitatrice è quella
speranza che non può più essere soffocata dai Giochi della Fame.
In
questo capitolo c’è molto di più del semplice stay alive, perché se c’è speranza non c’è sopravvivenza, c’è vita. E la vita non è quella degli Hunger Games, dove dei bambini si
uccidono a vicenda, mentre le loro madri li guardano morire davanti ad uno
schermo, ove l’unica aspirazione è quella di morire in fretta. La vita non è
quella di vincere per poi tornare a casa ed essere tormentato dai sensi di
colpa, perché la tua vita è stata pagata con altre ventitré. La vita non è non
riuscire più a dormire, perché ogni
volta che chiudi gli occhi rivedi le pupille bianche di quel ragazzo o di
quella ragazza che sei stato costretto ad eliminare per puro istinto di sopravvivenza. E’ forse
questa l’esistenza umana? Spedire con la forza adolescenti in un tritacarne ed aspettare che si ammazzino
l’un l’altro, mentre nelle case dei ricchi tutto continua placidamente. No, non
è questo vivere. Ora la vera vita, quella fatta di speranza, va conquistata con
il sangue e con i denti. Basta ricordare chi è il “vero nemico”.
Se
lo consiglio? Assolutamente si! Andate a vederlo, perché non capita spesso di
trovare un film in cui, in due ore e venti di azione condita con l’angoscia, non
ti addormenti sulla poltrona.
“Happy
Hunger Games! And may the odds be ever in your favor!”.