In
seconda battuta il lavoro studia la
disciplina concordataria del matrimonio intervenuta tra lo Stato italiano
e la Chiesa
cattolica con l’Accordo siglato a Villa Madama in Roma il 18 febbraio 1984, a modifica della
precedente disciplina dettata dal Concordato Lateranense del 1929.
Si valuta la compatibilità della disciplina del
matrimonio concordatario con il principio di laicità dello Stato e come lo stesso non si rinvenga affatto
compromesso dai vari accordi intervenuti tra lo Stato e le confessioni
religiose in Italia, ivi compreso quello intervenuto con la Chiesa cattolica. Infatti,
la laicità, pur elevandosi al rango di “principio supremo dell’ordine
costituzionale”, di per sé “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle
religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di
religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale” (Corte Cost., sentenza n. 203/89). E ciò nel rispetto – come
approfondisce in più recenti argomentazioni la stessa Corte – di quei
fondamentali principi costituzionali di uguaglianza di tutti i cittadini senza
distinzione di religione (art.
3 Cost) e di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni
religiose (art. 8 Cost), secondo i quali “l’atteggiamento dello Stato non può
che essere di equidistanza e imparzialità nei confronti di queste ultime, senza
che assumano rilevanza alcuna il dato quantitativo dell’adesione più o meno
diffusa a questa o a quella confessione religiosa …., imponendosi la pari
protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede
quale che sia la confessione di appartenenza”. Ciò comunque non frappone alcun ostacolo – ritiene
altresì la Corte
– alla “possibilità di regolare bilateralmente e quindi in modo differenziato,
nella loro specificità, i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica tramite lo
strumento concordatario (art. 7 della Costituzione) e con le confessioni
religiose diverse da quella cattolica tramite intese (art. 8)”.
Poste
tali preliminari precisazioni, è stato altresì osservato come neanche sia
ravvisabile alcun contrasto con il principio di laicità il procedimento
relativo alla (probabile, ma non sempre scontata) esecutività delle sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario nell’ordinamento
giuridico statale (c.d. delibazione), poiché lo Stato conserva
comunque la sua giurisdizione esercitando – ai sensi della nuova normativa
pattizia del 1984 (art. 8, n. 2) – un concreto potere di controllo su quelle
decisioni in ordine al rispetto o meno del diritto di difesa delle parti nel
processo canonico: un potere che è sicuramente più incisivo e penetrante
rispetto alla precedente normativa del 1929 (art. 34, c. 6), la quale –
viceversa – consentiva un’esecutività ex
officio totalmente sottratta al potere di disposizione delle parti stesse,
anche in relazione ai provvedimenti amministrativi di dispensa dal matrimonio
rato e non consumato emessi dal Romano Pontefice, i quali non sono più
attualmente suscettibili di ricevere tale esecutività in quanto esclusi dalla
nuova normativa concordataria, attesa la loro natura graziosa e non giudiziaria.
Del
resto, anche dal confronto europeo si rinviene parimenti disciplinata in
svariati Concordati con la
Chiesa cattolica la concessione degli effetti civili sia al
matrimonio canonico che alla sua eventuale declaratoria giudiziale di nullità,
purché non in violazione del divieto di trattamento differenziato senza giusto
motivo delle confessioni religiose, nonché del diritto di ogni cittadino a riconoscersi
in un ordinamento informato al principio di laicità.
Ne consegue che
solo in presenza di una grave e radicale violazione del diritto di difesa o di
altri diritti fondamentali delle parti nel processo canonico potrebbe
configurarsi una lesione del richiamato principio di laicità; ipotesi che, allo
stato, rimane in ogni caso scongiurata, in quanto unanime e consolidato
orientamento giurisprudenziale già ravvisa in quella lesione una contrarietà
all’ordine pubblico, impedendo – proprio in virtù di quel preventivo controllo
testé richiamato – l’ingresso nell’ordinamento dello Stato a decisioni che
siano in aperto contrasto con proprie norme fondative ed inderogabili.
A questo punto
viene compiuta una approfondita disamina degli istituti della nullità e del
matrimonio rato e non consumato.
La nullità
del matrimonio canonico si verifica quando il vincolo,
contratto davanti al ministro della Chiesa Cattolica, è nullo per la presenza
di un impedimento, in ragione di un vizio del consenso o di un difetto (grave)
di forma.
Se il matrimonio è dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico competente, perla Chiesa il
matrimonio non è mai esistito e quindi le parti possono contrarre nuovo
matrimonio dinanzi alla Chiesa.
A differenza dell’annullamento che interviene su un contratto che è venuto giuridicamente ad esistenza, sebbene viziato, la nullità non fa sorgere il legame negoziale, che risulta, pertanto, essere un simulacro di contratto.
Se il matrimonio è dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico competente, per
A differenza dell’annullamento che interviene su un contratto che è venuto giuridicamente ad esistenza, sebbene viziato, la nullità non fa sorgere il legame negoziale, che risulta, pertanto, essere un simulacro di contratto.
Il matrimonio
canonico è un Sacramento che ha - per semplificare - la forma di un contratto,
in cui è essenziale il consenso delle parti, libero, consapevole, posto nella
debita forma e in assenza di impedimenti.
La procedura
comporta l’audizione di coloro che hanno
contratto matrimonio, unitamente ai testimoni, che possano avvalorare la
deposizione delle parti sulla loro vicenda matrimoniale e, soprattutto, che
possano riportare fatti significativi su ciò che attiene più strettamente il
motivo di nullità addotto.
Nel caso in cui il motivo di nullità attenga a problemi psicologici, psichici o fisiologici, il Tribunale si avvale dell’opera di un perito.
Al termine dell’istruttoria, si ha una prima decisione, che può essere o affermativa o negativa.
Nel caso di sentenza affermativa, la causa passa automaticamente al Tribunale ecclesiastico di appello, che potrà con decreto confermare, senza svolgere ulteriore istruttoria, la pronunzia di prime cure , che a questo punto diviene definitivamente esecutiva, sancendo la nullità del matrimonio: le parti possono passare a nuove nozze davanti alla Chiesa.
Il Tribunale d’Appello può, in alternativa, ritenere che la causa meriti approfondimento, e quindi riaprire l’istruttoria, riascoltando le parti ed i testimoni o nominando un nuovo perito. Al termine di questa seconda fase istruttoria, se il Tribunale d’Appello conferma la sentenza resa in primo grado, il matrimonio è nullo. Se invece riforma la sentenza in primo grado, ritenendo che non consta della nullità, la parte interessata dovrà ricorrere in terzo grado di giudizio pressola Sacra Rota.
Nel caso in cui il motivo di nullità attenga a problemi psicologici, psichici o fisiologici, il Tribunale si avvale dell’opera di un perito.
Al termine dell’istruttoria, si ha una prima decisione, che può essere o affermativa o negativa.
Nel caso di sentenza affermativa, la causa passa automaticamente al Tribunale ecclesiastico di appello, che potrà con decreto confermare, senza svolgere ulteriore istruttoria, la pronunzia di prime cure , che a questo punto diviene definitivamente esecutiva, sancendo la nullità del matrimonio: le parti possono passare a nuove nozze davanti alla Chiesa.
Il Tribunale d’Appello può, in alternativa, ritenere che la causa meriti approfondimento, e quindi riaprire l’istruttoria, riascoltando le parti ed i testimoni o nominando un nuovo perito. Al termine di questa seconda fase istruttoria, se il Tribunale d’Appello conferma la sentenza resa in primo grado, il matrimonio è nullo. Se invece riforma la sentenza in primo grado, ritenendo che non consta della nullità, la parte interessata dovrà ricorrere in terzo grado di giudizio presso
Nel caso in cui,
invece, la sentenza in primo grado sia negativa, la parte interessata alla
dichiarazione della nullità deve appellare o davanti al Tribunale ecclesiastico
d’Appello normalmente competente, oppure dinanzi la Sacra Rota.
La procedura, sia
che la sentenza di primo grado sia affermativa, sia che sia negativa, prosegue
fino a che non si ottengano, in ogni caso, due decisioni conformi: due sentenze
favorevoli alla nullità, emesse da due tribunali di grado diverso, nel qual
caso il matrimonio è nullo; due sentenze
negative sfavorevoli alla nullità, emesse da due tribunali ecclesiastici di
grado diverso, nel qual caso il matrimonio viene confermato valido sin dalle
sue origini.
Il matrimonio si
dice rato quando le parti si sono sposate con la debita forma ed in assenza di
impedimenti del matrimonio canonico o di vizi del consenso del matrimonio
canonico. E’ consumato quando i coniugi hanno posto in essere la copula
coniugale. Se il matrimonio è rato e consumato non può essere sciolto da
nessuno, nemmeno dal Romano Pontefice. Se invece il matrimonio non viene
consumato, ciascun coniuge può chiedere al Papa la grazia di essere sciolti dal
matrimonio, per una giusta causa. Il procedimento è di tipo amministrativo e
non giudiziale, e si conclude con la dispensa del Pontefice, dopo
l’accertamento (per dichiarazione delle Parti, di testimoni e – se necessario –
per perizia) della mancanza di consumazione. Gli argomenti che possono essere
portati sono il c.d. “argumentum phisicum”, ovvero la verginità della donna, il
c.d. “argumentum morale”, o ancora la prova può essere fornita con altri mezzi, oppure si dimostra che i due
coniugi sono vissuti sempre separati. Per sé il matrimonio rato e non consumato
è un matrimonio valido, da cui si è dispensati per assenza di consumazione, a beneficio dell’anima dei
contraenti.
Ciascun coniuge può
passare a nuove nozze davanti alla Chiesa. Tuttavia, essendo una grazia papale,
non può avere alcuna efficacia per lo Stato: il provvedimento di dispensa non può essere
delibato, id est non è prevista la delibazione,
diversamente dai provvedimenti tribunalizi ecclesiastici di nullità del vincolo
nuziale.
La sentenza di
nullità resa dai Tribunali ecclesiastici vale per lo Stato italiano solo se è
affermativa e se è divenuta esecutiva in virtù del controllo realizzato dalla Corte d’Appello
statale competente, che deve valutare, oltre a quanto appena detto, che siano
stati rispettati i principi di difesa delle parti in giudizio e che la pronunzia
non sia contraria ai principi statuali; tutto ciò non è automatico, ma avviene
attraverso una procedura detta di delibazione, che deve essere portata avanti
da uno o da entrambi i coniugi.
In conclusione, non tutte le sentenze sono delibabili.
Fabrizio Giulimondi
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