“Spesso noi esseri umani non ci rendiamo
conto di quanto Dio sia grande. Lui ci ha dato un cervello straordinario e un
cuore sensibile e capace di amore. Ci ha benedetto donandoci due labbra con cui
parlare ed esprimere i nostri sentimenti, due occhi con cui ammirare un mondo
di colori e di bellezza, due piedi con cui percorrere le strade della vita, due
mani che lavorano per noi, un naso capace di cogliere i profumi e due orecchie
con cui sentire parole d’amore. Come avevo sperimentato nel caso del mio orecchio
sinistro, non ci rendiamo conto di quanto potere ci sia in ciascuno degli
organi del nostro corpo finché non ne perdiamo uno.
Ringrazio Dio per i medici che tanto
lavoro hanno profuso su di me, per la mia guarigione e per averci mandati in
questo mondo dove possiamo lottare per la sopravvivenza. Alcuni di noi scelgono
via buone e altri vie cattive. La pallottola sparata da una persona mi ha
colpito, mi ha fatto gonfiare il cervello, mi ha rubato l’udito e ha tagliato
il mio nervo facciale sinistro, tutto nello spazio di un secondo. Ma passato
quel secondo ci sono stati milioni di persone che hanno pregato per la mia vita
e medici bravissimi che mi hanno restituito il mio corpo.
Ero una brava ragazza che nel suo cuore aveva solo
il desiderio di aiutare gli altri. A interessarmi non erano premi o soldi. Ho
sempre chiesto a Dio: Ti prego, voglio aiutare gli altri, aiutami a farlo!”
Questo
è il desiderio che sgorga dal cuore di Malala
Yousafzai, candidata al Premio Nobel per la Pace, autrice del libro
autobiografico “Io sono Malala”(Garzanti), che sarebbe opportuno divenisse obbligatorio sui banchi di
scuola degli istituti secondari e liceali, per dare aria alle menti di tanti
adolescenti offuscate dal politically correct. A questa straordinaria
pulsione intellettuale e morale di Malala
i talebani rispondono con tre colpi sparati a distanza ravvicinata contro la
sua testa.
Quale
è la terribile colpa di Malala per
meritare l’attentato? Vuole studiare. Malala
ha quindici anni quando le hanno esploso tre colpi di pistola e vuole studiare,
e vuole che studino tutte le ragazzine dello Swat, valle dove vive con la sua famiglia, e vuole
che in tutta la sua Patria, il Pakistan, vadano a scuola le bambine e le
ragazze, e vuole che abbiano una istruzione anche le donne del vicino
Afghanistan e tutte le musulmane a cui viene negata la conoscenza in molti Paesi (tanti! troppi!) a prevalente religione
islamica.
“Chi è fra di voi Malala?” “Io sono Malala” e poi tre esplosioni.
Malala è
così, semplicemente coraggiosa e umilmente straordinaria, anche grazie a un padre al di sopra del comune, che combatte
per il diritto allo studio delle donne e, per questo, mette su una scuola a rischio della propria
vita, contro la volontà dei talebani, fra una bomba e un attentato kamikaze.
Malala ha una madre,
analfabeta, che non vuole che lo sia anche la figlia.
Alla
segregazione del purdah, che
imprigiona il corpo con il burka e separa
fisicamente la donna dal mondo con tende
appositamente montate o pareti a ciò
costruite, agli islamici radicali per i quali quasi tutto è haran, forse la vita stessa, Malala
oppone una istruzione gratuita a tutti i
bambini: “Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi
più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare
il mondo”. La cultura è halal, la
vita è halal.
Le
vicende di Malala – che aspira ad essere la nuova Benazir Bhutto - si accompagnano con la storia del Pakistan.
Lungo
la narrazione – che, nel suo incedere, diventa sempre più marcata, trascinante e vibrante, fino alle note di grande drammaticità dell’epilogo - si intravedono i costumi, gli
usi, i precetti, le concezioni, i miti di quelle regioni dell’Asia meridionale. Nel
proscenio ammirerete le descrizioni delle bellezze naturali di quelle Terre e,
talora, se presterete un attimo di attenzione, potreste scorgerne i colori e,
magari, gustare i sapori delle pietanze tradizionali e, solo però se vi
lascerete andare, udire anche i suoni che vagano nell’aria e fanno da
sottofondo alle parole pronunziate da una ragazzina: una ragazzina che viene da un villaggio sperduto nella valle
dello Swat, che andava a scuola terrorizzata che le potessero buttare sul viso
dell’acido, a cui hanno puntato un’arma sul viso, e che adesso parla alle Nazioni Unite
a New York di fronte ai Grandi della Terra.
La
malinconia e la nostalgia delle ultime pagine rispecchiano la luce che Malala emana dai suoi occhi: perché ora
vive a Birmingham e non è più tornata a casa sua.
“Sedermi a scuola a leggere i libri è un mio
diritto. Vedere ogni essere umano sorridere di felicità è il mio desiderio. Io
sono Malala. Il mio mondo è cambiato ma io no.”.
Fabrizio Giulimondi
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