“Maternità surrogata: un figlio a tutti i
costi” di Paola Binetti, con
prefazione di Livia Turco (Edizioni Magi), è un saggio, con taglio scientifico
e annotazioni bibliografiche, assolutamente imperdibile per chiunque voglia
approfondire la pruriginosa tematica dell’utero in affitto/maternità surrogata.
Uno
sguardo rigoroso e implacabile a trecentosessanta gradi sui contratti aventi ad
oggetto donne che affittano il proprio utero e cedono, prevalentemente previa dazione
di danaro, il bambino agli acquirenti (coppie eterosessuali o omosessuali) al
pari di una qualsiasi merce.
Il
linguaggio è appassionato e l’argomento scrutinato sotto un aspetto filosofico,
antropologico, psicologico, sociologico, biologico - genetico e normativo. Lo
sguardo si innalza dall’Italia per sorvolare i cieli europei, nordamericani, australiani,
asiatici ed africani. L’Autrice, con stile asciutto e scorrevolissimo, coinvolge
il lettore in un mondo di sensazioni ed emozioni violentate, lo attrae con abile
forza gravitazionale narrativa dentro la inscindibile commistione di fisicità e
amore di cui è composto il rapporto della madre con il proprio bimbo: “Il linguaggio madre-figlio, fin dai primi
mesi della gravidanza, si esprime attraverso il contatto dei loro corpi. La
sovraesposizione dei loro corpi, che vanno profondamente modificandosi per
adattarsi l’uno all’altro, pone sempre in primo piano il bisogno di crescere
del bambino; ed è il corpo materno che accoglie, che nutre, che protegge, con
un linguaggio silenzioso che comunica sicurezza e a cui non corrisponde una
adeguata sintassi, una grammatica, un lessico che racconti in tutte le
manifestazioni le loro vicende”. Questo scambio organico - empatico viene
interrotto da un atto di incommensurabile brutalità: appena uscito dal ventre materno
il bambino viene consegnato alla coppia committente per scomparire per sempre
dalla visuale e dalle braccia della donna che gli ha dato la vita: “Quando una donna prende atto che esistono in
giro parti scisse di sé, perché tali sono sia i suoi ovuli sia il bambino, ne
ricava la sensazione di una ferita profonda impossibile da rimarginarsi”.
La
disamina non trascura alcunché e la Binetti
tutto osserva e nulla tralascia, a partire dalla deriva eugenetica a cui ci stanno
conducendo il “mercantilismo del parto” e i desideri trasformati in diritti che
si impongono con sprezzo su quelli dei più silenziosi e indifesi, ossia dei bambini:
“A uscirne offesa, umiliata, svilita e
mortificata è … l’essenza dell’essere umano, che viene trattata come semplice
merce … comporta possibili derive eugenetiche … trattando i bambini come
prodotti da assemblare a proprio capriccio, scegliendo le caratteristiche
preferite sulla base di un catalogo e di una potenziale somiglianza”.
Ciò
che è tecnicamente possibile muta un’aspirazione in un non più ostacolabile diritto,
e annulla impietosamente il mistero, anche etico – antropologico, di ogni
singolo essere umano.
Commovente
e toccante il finale, che si accosta a chi legge disincarnandolo dal suo momentaneo
stato di lettore per proiettarlo verso altri spazi e altri tempi: “ (Il figlio) è un tempo che non finisce con
me; che va oltre me, così come lo spazio non è più quello che occupo solo io,
ma è il nostro spazio; è uno spazio che oltrepassa i miei confini e mi permette
di essere qui, dove sono, e là dove è mio figlio. Nel vissuto della maternità
spazio e tempo sono altro da quello che ho sempre vissuto e sperimentato, sono
un valore aggiunto che da alla mia natura una vera e propria marcia in più”.
Fabrizio Giulimondi
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